Partita nel novembre scorso la nuova missione scientifica di Enea e Cnr in Antartide, dove l’Italia svolge un ruolo di avanguardia, per studiare i cambiamenti climatici che stanno avvenendo sul nostro pianeta
I lavori di analisi e di ricerca che poniamo oggi all’attenzione dei lettori, si rivolgono alle evoluzioni dei cambiamenti climatici, rilevati grazie agli studi applicativi che si stanno svolgendo in Antartide grazie all’impegno di numerosi tecnici italiani, in piena e attenta sinergia con ricercatori provenienti da tutto il mondo. E’ partita anche quest’anno, infatti, la nuova ‘campagna estiva’ del programma nazionale di ricerche al Polo Sud condotta da Enea e Cnr. La missione durerà 4 mesi, durante i quali scienziati e tecnici italiani opereranno in condizioni ambientali estreme, sfidando forti raffiche di vento e bassissime temperature. Una campagna che prevede la partecipazione di 250 tra tecnici e ricercatori, sia italiani, sia stranieri, a supporto di circa 50 progetti di ricerca, dall’ecologia alla medicina, dall’astronomia alla farmacologia, che verranno sviluppati presso le basi antartiche nazionali e internazionali, in un clima di collaborazione che caratterizza l’unico continente riservato interamente alla scienza, nonché uno dei principali motori del sistema climatico del nostro pianeta. Le ricerche consistono in rilevamenti sul terreno e nei fondali antartici e nei successivi studi applicativi. I fenomeni emergenti, analizzati in riferimento alle terre coltivabili in Europa, già oggi contribuiscono a evidenziare gli alti rischi scaturenti dai cambiamenti climatici per l’intera economia e, soprattutto, per il settore agricolo, di cui l’Italia è protagonista in prima linea. Ricerca, studio e analisi sono, in quest’ottica, sinonimo di prevenzione, in vista di un’ottimizzazione dei tempi produttività, nel rispetto della continuità e sistematicità del ciclo produttivo e distributivo, per l’inquadramento nel mercato concorrenziale. Tutelare il mercato significa, anche e soprattutto in Europa, perfetta adiacenza alle norme attuative che regolano il controllo degli alimenti, di ogni singolo prodotto e di tutti gli elementi usati per arrivare al risultato finale. E’, dunque, l’insieme di fattori endogeni ed esogeni a caratterizzare l’evoluzione dell’intero sistema economico, scientifico e politico, per uno sviluppo che pretende un sistema di monitoraggio ad ampio raggio, includendo studi di settore scientifici già da tempo operativi in tutto il mondo, per trarne dei rilievi di applicazione utilissimi nel campo dell’analisi economica e per gli stessi investimenti in Europa, anche nell’attualissima area del Mediterraneo. Introduciamo, pertanto, la missione di ricerca Enea con quest’intervista all’ingegner Francesco Pellegrino, in collegamento diretto con la spedizione italiana avviata in Antartide.
Ingegner Pellegrino, innanzitutto, perché monitorare l’Antartide? E questa missione internazionale, di quanti tecnici si compone e da quali Paesi arrivano?
“Da queste parti, vige il Trattato Antartico, per cui l’Antartide è un territorio di nessuno, che può essere utilizzato per soli scopi pacifici e di ricerca scientifica. In base al Trattato, i Paesi del mondo più tecnologici e avanzati hanno scelto dei punti di ricerca in un territorio avanzato più grande dell’Europa. L’Italia è presente così come il Giappone, la Corea, la Francia e la Nuova Zelanda. La base italiana, inaugurata nel 1985 e aperta nel cosiddetto ‘periodo estivo australe’, da ottobre a febbraio, opera nella Baia di Terranova, sul mare di Ros, a sud est dell’Antartide, su un mare che rimane ghiacciato fino a metà gennaio: è il periodo in cui si possono ammirare i pinguini dopo lo scioglimento dei ghiacci”.
Come è coordinato il progetto di ricerca? Operate anche su progetti comuni?
“L’attività di ricerca, prevalentemente, è di natura biologica, marina e climatica. Essa riguarda la glaciologia, la sismologia e la vulcanologia. I ricercatori dal Cnr e dall’Enea, insieme alla parte tecnica della mia unità, hanno il compito prevalente di gestire le infrastrutture e gli impianti, aprire la base, avviare gli impianti e la pista di atterraggio per gli arrivi dalla Nuova Zelanda. I progetti non sono comuni, ma ciascuna Università presenta, in un determinato periodo dell’anno, lo svolgimento di un progetto, affinché sia attribuibile il territorio di studio a una commissione scientifica prescelta. Il Csna è la commissione per l’Italia che, approvando e applicando il progetto, supportiamo a livello tecnico e logistico, con la creazione di campi remoti e la possibilità di spostamenti per la ricerca sul territorio. L’Italia, inoltre, condivide con la Francia un’altra base sul ‘plateau antartico’, a 2 mila metri di altitudine. I cambiamenti climatici e l’analisi degli stessi viene fatta in questo ‘punto zero’ del nostro pianeta, in un ambiente perfettamente privo di effetti inquinanti, il cosiddetto ‘effetto serra’, proprio per capire come il mondo civile risulti inquinato da questi fenomeni. I cambiamenti sul posto permettono di analizzare gli ossidi azotati e l’anidride carbonica. Dalle analisi in Antartide, in realtà, c’è traccia di idrocarburi, o benzene proveniente dai venti e dalle correnti marine”.
Quali sono i rischi connessi ai cambiamenti climatici?
“Le temperature medie decennali sono in aumento e il processo di ‘deglaciazione’ sta vistosamente crescendo: si vede meno ghiaccio e ci si accorge di questo fenomeno visibilmente. Tutto ciò è un grande rischio per l’umanità, in quanto lo scioglimento porterebbe a un aumento dei livelli dei mari e alla catastrofica previsione di una parziale scomparsa di Paesi come l’Italia, per lo meno di quei comuni posti sotto i 200 metri di livellamento sul mare, nel giro di qualche secolo. Tali preoccupazioni esistono e sono fondate. E non è prevista alcuna conclusione di questi studi: anzi, i presidi scientifici stanno aumentando".
Cosa avete dedotto, sino a oggi, dalle vostre indagini di ricerca?
“Che la comunità scientifica internazionale è molto preoccupata e che lo è a ragion veduta. L’Antartide è un punto di osservazione unico e privilegiato, essendo il posto più lontano dalle attività umane e dal mondo civile. Molti studiosi vanno anche al Polo Nord, ma è troppo vicino alla civiltà. L’Antartide, invece, è completamente disabitato dall’uomo, lontano quasi 8 mila chilometri dalla Nuova Zelanda, che è la nazione più vicina. Non esiste posto miglior di questo per gli studi sul clima e i cambiamenti in atto sul nostro pianeta. Ma non è solo il cambiamento climatico il motivo per cui siamo qui: c’è anche la ricerca applicata all’industria su microrganismi marini in uso nella farmacologia, come la ricerca dei batteri per malattie incurabili. E’ un discorso correlato all’industria e all’agricoltura, anche in funzione pre-competitiva di ricerca applicata”.
NELLA FOTO: I LIMPIDISSIMI FONDALI DELL'OCEANO ANTARTICO