Dall’evento che si tiene il 22 aprile di ogni anno per sensibilizzare l’opinione pubblica e la comunità internazionale verso la tutela del nostro pianeta, è emerso come le buone pratiche in termini di salvaguardia dell’ambiente e di lotta allo spreco alimentare siano considerate dispendiose
Nata nel 1970 per sensibilizzare il mondo all’importanza della conservazione delle risorse naturali, la Giornata mondiale della Terra è riuscita, negli ultimi anni, a mobilitare oltre un miliardo di persone nei 193 Paesi dell’Onu coinvolti. È la più grande manifestazione ambientale dedicata al pianeta e, come previsto dalle Nazioni Unite, si celebra annualmente un mese e due giorni dopo l'equinozio di primavera, esattamente il 22 aprile. Ogni edizione ha il suo tema. E quello di quest’anno è stato: ‘Restore our Earth’, cioè ripariamo e riabilitiamo il nostro pianeta (dai danni già provocati, ndr). L’intento, quindi, non è solo sensibilizzare l’umanità sulla necessità di ridurre l’impatto ambientale attraverso l’utilizzo di processi naturali, l’impiego di tecnologia verde e di tecniche innovative, ma anche quello di cercare di rimediare al danno già fatto. Perché salvare la Terra non è più solo un’opzione, bensì una necessità
Gran parte dell’attenzione è rivolta agli sprechi alimentari
Secondo il ‘Food Waste Index Report 2021’ pubblicato dall’Onu e, in particolare, dall’Unep (United nations environment programme, ndr), la quantità maggiore di spreco alimentare avviene nelle abitazioni private, dove si butta circa l’11% di tutto il cibo acquistato. Si tratta di 74 chilogrammi all'anno per abitante. È importante l’impatto ambientale di questo fenomeno: si stima che le emissioni associate agli sprechi alimentari rappresentino dall’8% al 10% del totale dei gas serra. Dai i risultati dell’indagine di ‘The Fork’, emerge la consapevolezza dei consumatori. Per l’83,8% degli intervistati, i consumi alimentari hanno un impatto ambientale elevato o molto elevato. In particolare, carne, olio di palma, frutta e verdura di importazione, pesce non di stagione e mais ‘ogm’ sono percepiti come alimenti ad alto impatto ambientale, mentre frutta e pesce di stagione, legumi, cereali e soia sono considerati poco impattanti. Rimangono in una ‘zona grigia’ la carne finta, latte e derivati, nonostante la prima sia a base di ingredienti di origine vegetale.
Ma che cosa ci impedisce di diventare ‘green’ al 100% in fatto di cibo?
Per il 48% degli intervistati si tratta di un problema di reperimento: i prodotti a basso impatto ambientale sono difficili da trovare; il 42% invece ne fa un problema economico, sostenendo che il prezzo degli alimenti sostenibili sia troppo alto; infine, per il 22%, si tratta di un problema pratico, perché non trovano abbastanza tempo da dedicare alla spesa e, quindi, a una scelta più accurata dei prodotti. Per quanto riguarda i consumi fuori casa, invece, per il 77% degli intervistati sarà abbastanza o molto importante, nella scelta di un ristorante, la sostenibilità alimentare e l’attenzione a particolari regimi alimentari; il 27%, inoltre, sarà più propenso a chiedere una ‘doggy bag’, cioè un contenitore che consenta di portare a casa gli avanzi del pasto al ristorante rispetto a prima del ‘lockdown’.