La loro presenza è fondamentale per l’equilibrio degli ecosistemi e la biodiversità, poiché quasi il 90% della flora selvatica ha bisogno di ‘impollinatori’ per rigenerarsi, ma la progressiva e preoccupante riduzione delle colonie di api è l’evidente segnale di un grave disagio ambientale, che potrebbe mettere a rischio la sicurezza alimentare nel suo complesso
Suona quasi come una melodia, il tipico ronzio delle api laboriose, che è solito accompagnare la bella stagione. Perfettamente in armonia con la natura, ma fortemente disturbato da non poche ‘stonature’, che rischiano di compromettere la sopravvivenza dei preziosi impollinatori. Questo è quanto emerso durante la Giornata mondiale delle api tenutasi il 20 maggio scorso - e istituita, nel 2017, dalle Nazioni unite per sottolineare l’importanza di questi imenotteri seguita, il 22 maggio, dalla giornata dedicata alla biodiversità. Due momenti dedicati alla celebrazione dell’ambiente e di una sua ‘attrice’ di cui troppo spesso si trascura il ruolo, assolto per l’equilibrio degli ecosistemi e che, oggi, è a rischio estinzione. Le api, accanto alle ‘stakanoviste’ formiche, alle invadenti zanzare, alle variopinte farfalle, alle temute vespe e a coleotteri, rettili, uccelli e molte altre specie animali, sono probabilmente le migliori ‘trasportatrici’ da un fiore all’altro di polline. Ovvero: delle cellule fondamentali per la riproduzione vegetale. Cibandosi del prezioso nettare, gli ‘agenti’ impollinatori (prònubi, ndr) si ricoprono di polline che trasportano sino al fiore successivo, depositandolo nello stigma, la parte più esterna del pistillo, attraverso cui giunge a fecondare l’ovario, permettendo così la trasformazione del fiore in frutto. L’impollinazione ‘entomofila’ (tramite insetti), accanto a quella ‘zoogama’ (tramite rettili e marsupiali) e ‘ornitologa’ (a opera di uccelli), garantisce in tutto il mondo l’impollinazione di quasi il 90% della flora selvatica, fondamentale per l’equilibrio degli ecosistemi e della biodiversità, nonché di circa il 75% delle colture agrarie. Colture che includono frutta e verdura, ma anche combustibili, fibre come il cotone e il lino, materiali da costruzione. Si stima che, nel mondo, la produzione agricola legata all’impollinazione da agenti animali o insetti rappresenti un valore tra i 235 e i 577 miliardi di dollari. La biodiversità vegetale è, quindi, fondamentale non solo per l’alimentazione umana, ma anche per quella di erbivori cacciati dai predatori e costituisce l’habitat per numerose specie animali che, nella vegetazione, trovano riparo e luogo di nidificazione. E’ quanto emerge dal Quaderno: ‘Il declino delle api e degli impollinatori’, che l’Ispra (Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale, ndr) ha realizzato in occasione della Giornata mondiale delle api, al fine di rimarcarne l’importanza nel processo di impollinazione. A fronte della presenza di circa mille specie di impollinatori vertebrati (uccelli, mammiferi e altri), si stimano in circa sedicimila le diverse specie di api presenti in tutto il mondo. Solo in Europa, il 76% della produzione alimentare dipende dall’impollinazione veicolata dagli apoidei, con un valore economico stimato in 14,2 miliardi di euro all’anno e una ‘copertura’ di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali esistenti sul nostro pianeta. Solo in Italia, oltre l’80% della flora erbacea, arbustiva e arborea è da ricondursi all’azione degli apoidei selvatici e di allevamento. Un equilibrio tanto perfetto, quanto delicato, che oggi rischia di rompersi, mettendo a rischio un ecosistema globale da cui dipende il benessere e la sopravvivenza di una moltitudine di specie animali e dell’uomo stesso. Gli apicoltori, negli ultimi anni, hanno segnalato la progressiva e preoccupante riduzione delle colonie di api, registrando un massiccio ’spopolamento’ degli alveari, che rappresenta un deciso segnale di disagio ambientale tale da mettere a rischio la biodiversità e la sicurezza alimentare nel suo complesso. Uno spopolamento che può essere ricondotto a un insieme di fattori, alcuni endogeni (ovvero, a cause interne all’alveare, in particolare nuovi patogeni); altri esogeni, in cui l’azione umana compare come il principale responsabile. E’ quanto si evince dal Rapporto 2016 dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes), che punta il dito sull’inquinamento ambientale, sulla gestione agricola intensiva e sul connesso uso di prodotti ‘fitosanitari’ poco sostenibili, sull’azione di agenti patogeni e parassiti, nonché sui cambiamenti climatici, che esercitano una delle azioni più deleterie sulle specie animali. Inclusi gli impollinatori. E’ vero che gli effetti del ‘climate change’ sono, tradizionalmente, a lungo termine, la cui portata e i cui danni si chiariscono nell’arco di alcuni decenni: quando è ormai troppo tardi per intervenire e tornare indietro. In quest’ottica, si legge proprio nel Quaderno dell’Ispra, un valido aiuto potrà essere fornito da una maggiore attenzione verso le tematiche ambientali presentate nella Politica agricola comune (periodo 2021-2027), denominata ‘Pac post’ 2020, i cui negoziati sono in corso presso l’Unione europea. Mentre gli Stati membri sono in discussione, i piani di azione che dovranno rispondere ai 9 obiettivi fissati per la 'Pac post' 2020 sono: 1) garantire un reddito equo agli agricoltori; 2) aumentare la competitività; 3) riequilibrare la distribuzione del potere nella filiera alimentare. Tutte azioni finalizzate a: 4) contrastare i cambiamenti climatici; 5) tutelare l’ambiente; 6) salvaguardare il paesaggio e la biodiversità; 7) sostenere il ricambio generazionale; 8) sviluppare aree rurali dinamiche; 9) proteggere la qualità dell’alimentazione e della salute. Il ricorso a pratiche agricole sostenibili, passando per la conservazione e il ripristino degli habitat naturali e la ‘riprogettazione’ delle tecniche agricole, sono visti come gli strumenti più idonei al fine di evitare l’ulteriore declino delle api e degli altri impollinatori. Ma affinché queste soluzioni possano avere efficacia diviene fondamentale la drastica riduzione del ricorso a pesticidi (principalmente insetticidi e fungicidi), per ‘consentire’ il recupero delle popolazioni di insetti e dei relativi servizi di controllo biologico dei patogeni e dei parassiti. Così come è fondamentale mantenere un giusto rapporto tra aree a prato e aree coltivate, ricorrendo a forme di rotazione delle colture, che consentano di mantenere una presenza costante di nettare e polline, senza i quali gli impollinatori verrebbero privati della necessaria fonte di alimentazione, e quindi, dei necessari ‘strumenti’ che permettono loro di assicurare la conservazione e la riproduzione delle specie vegetali. La presentazione del Quaderno predisposto dall’Ispra è avvenuta nel corso di una tavola rotonda trasmessa in streaming sul canale Youtube: ‘Ispravideo Streaming’. Nell’occasione, si è ricordato anche che il tema della biodiversità era stato indicato come argomento fondamentale dell'anno 2020 dalle Nazioni Unite, che avevano previsto una fitta agenda di eventi e appuntamenti bloccata dall’emergenza sanitaria, finalizzata a promuovere un accordo globale diretto a invertire il declino dell’integrità biologica del pianeta. L’attenzione da parte di esperti e addetti ai lavori continua a essere molto alta, mentre il grande pubblico, spesso, non è ancora pienamente consapevole dell’importanza della biodiversità, per la sua salvaguardia del processo di impollinazione, di cui le api, come si è detto, ricoprono un ruolo importantisismo. Senza contare, inoltre, la ‘funzione’ che le api possono assolvere quali indicatori dello stato di salute degli ecosistemi naturali, fungendo da ‘bioindicatori’ e ‘bioaccumulatori’: nel primo caso, l’organismo, animale o vegetale, estremamente sensibile alla presenza di fattori inquinanti all’interno del proprio ecosistema; nel secondo, si indica l’accumulo negli organismi di sostanze inquinanti e persistenti presenti negli ecosistemi. La riduzione delle colonie di api, se non addirittura la loro scomparsa, avrebbe conseguenze devastanti sulla biodiversità, sulla produzione agricola e sulla stessa varietà e sicurezza alimentare, obbligando al ricorso a costose forme di impollinazione artificiale per rimpiazzare un ‘servizio’ totalmente gratuito, che ci viene donato da questi preziosi imenotteri, che spesso allontaniamo con timore nel momento in cui li sorprendiamo a ‘svolazzare’ intorno a noi. Certamente, le api possono infliggere dolorose punture. Ma nel momento in cui dovessimo incontrarle, non va dimenticato che i prodotti più nutrienti e gustosi presenti sulle nostre tavole dipendono in gran parte dalla loro presenza. Se il 2020 doveva essere, per l’Onu, il ‘super anno’ della natura e della biodiversità, purtroppo sarà invece ricordato, con assoluta certezza, come l’anno del Covid-19, in cui l’umanità intera ha ricevuto una lezione severa su come la natura possa sfuggire al nostro controllo, imponendoci un nuovo modo di vivere. Una natura che, troppo spesso, pretendiamo di voler domare, studiandone i segreti e cercando di imbrigliarne le forze più spaventose, che di tanto in tanto si ribellano al potere dell’uomo. La natura ci ha ricordato più volte che, malgrado la magnificenza delle nostre macchine, è sufficiente una particella infinitamente piccola per stravolgere le nostre vite. Probabilmente, dovremo cercare di recuperare un rapporto più ‘umano’ e sostenibile con colei che ci ha visti nascere e crescere, offrendoci rifugio e permettendoci di prosperare, evitando un ‘confronto’ finale in cui, con ogni probabilità, saremmo perdenti.