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21 Novembre 2024

Report Ipcc: non abbiamo molto tempo

di Emanuela Colatosti
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Report Ipcc: non abbiamo molto tempo

A Interlaken, in Svizzera, il 20 marzo scorso si sono conclusi i lavori di sintesi degli ultimi 5 anni di studi del panel intergovernativo dell’Onu composto da 39 membri della comunità scientifica internazionale, i quali hanno monitorato i fattori di rischio del cambiamento climatico e gli effetti di un pianeta troppo caldo

In attesa del 2030, il VI report del Panel climatico dell’Onu per il clima (Ars6, che sta per Sixth Assessment Report, ndr) conferma il rischio sempre più reale di un futuro più caldo di almeno 3 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. La corsa per cercare di non superare la soglia, vicinissima, del limite di sicurezza di 1,5 gradi rispetto al 1850 non viene presa abbastanza seriamente da nessun governo. Gli Stati Uniti realizzeranno in Alaska un’altra centrale di estrazione di petrolio; la Cina popolare,Figura_1_Ipcc.jpg grande distributrice di energia elettrica in Asia, mentre investe nel rinnovabile, costruisce altre 129 centrali a carbone; in Europa prolificano rigassificatori. Continua a mancare un progetto politico chiaro, concertato a livello internazionale, che consideri il clima il primo punto dell’agenda. L’Ipcc (gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu, ndr) ha reso pubblici, il 20 marzo scorso, i dati aggregati delle proiezioni da qui ai prossimi 100 anni, qualora non venissero attuate le politiche climatiche necessarie ad arginare la catastrofe. Un pianeta più caldo significa l’aumento sensibile di molti fattori di rischio. Primo tra tutti: la guerra per le risorse. L’acqua, per esempio, in molti Paesi tra Africa, Asia e America del sud è già considerata "l'oro blu". La scarsità di un bene primario come l’acqua si ripercuote non solo sugli usi quotidiani dei singoli individui, ma anche sull’industria, in particolar modo quella alimentare.
"L'integrazione di un'azione climatica efficace ed equa non solo ridurrà le perdite e i danni per la natura e le persone, ma fornirà anche benefici più ampi”, ha dichiarato il presidente dell'Ipcc, Hoesung Lee. Il cambiamento climatico danneggia interi ecosistemi. Soprattutto, quelli fragili, come oceani e boschi, con conseguente riduzione della biodiversità. Ha effetto indiretto anche su di noi, vicini di casa costretti a modificare la natura per addomesticarla, per renderla abitabile. Il consumo di suolo e la deforestazione selvaggia portano ad aumentare il rischio di deterioramenti idrogeologici, che quasi sempre si riflettono sugli strati di popolazione più fragili.
Secondo ChriFigura_2_Ipcc.jpgstopher Trisos, uno degli autori del rapporto, "i maggiori guadagni in termini di benessere potrebbero derivare dalla priorità di ridurre i rischi climatici per le comunità a basso reddito ed emarginate, comprese le persone che vivono negli insediamenti informali. L'accelerazione dell'azione per il clima”, ha aggiunto, “sarà possibile solo se i finanziamenti aumenteranno in modo considerevole: finanziamenti insufficienti e disallineati frenano i progressi".
Circa la metà della popolazione mondiale vive in regioni altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Solo nell'ultimo decennio, in quelle zone, le morti per inondazioni, siccità e tempeste sono state 15 volte superiori rispetto agli altri ‘angoli’ del pianeta. L’unica soluzione per il futuro è investire su un modello di sviluppo in grado di adattarsi al cambiamento climatico. E di contrastarlo. Energia pulita, mobilità morbida e dieta prevalentemente, se non totalmente, vegetale: politiche climatiche e ambientali atte a indirizzare la produzione industriale e le scelte di consumo individuali in questa direzione, porterebbero non solo a migliorare le condizioni di vita, ma anche generare un guadagno economico di ritorno. Basti pensare a quanto il sistema sanitario di ogni singolo Stato sovrano ‘spende’ per curare malattie correlate all’inquinamento atmosferico o alimentare.
Con i grafici a, b e c della figura 1, si mette in luce gli effetti dell’inazione delle politiche ambientali a livello sovranazionale in termini di emissioni di gas serra. I flussi blu e verde raffigurano ciò che saremmo in grado di poter fare con l’adozione di politiche ‘net zero’. Il flusso rosso, invece, indica dove stiamo andando: un futuro indicato dal grafico c della figura 2. Le generazioni nate tra il 1980 e il 2020 dovranno fare i conti, durante la propria vecchiaia, con un pianeta globalmente più caldo di 2 gradi. E di 4 rispetto alla generazione nata nel 1950. Come hanno giustamente scritto su Twitter gli attivisti di Extintion Rebellion: “Persino gli scienziati pagati dai governi ci dicono di ribellarci ai governi: cos’altro aspettiamo”?

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QUI SOPRA: SCIOPERO PER IL CLIMA A SAN FRANCISCO (FOTO DI LIN AN LIM PER UNSPLASH)

AL CENTRO: FIGURA 2, IN FUTURO AVREMO UN CLIMA PIU' CALDO DI 4 GRADI RISPETTO AL 1950

SOPRA: FIGURA 1, IL LIMITE DI 1,5-2 GRADI PUO' PRODURRE UNA RIDUZIONE DEI GAS SERRA 

IN APERTURA: MANIFESTAZIONE A BERLINO (FOTO DI MIKA BAUMEISTER PER UNSPLASH)

 





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