I dati allarmanti sui cambiamenti climatici evidenziati dal recente rapporto presentato dall’Ipcc, mostrano quanto i danni che l’umanità sta causando all’ambiente siano evidenti e irreversibili
L’urgenza sul riscaldamento climatico esiste e non la si può, di certo, negare. Lo scorso 9 agosto 2021 è stata presentata la prima parte del sesto rapporto di valutazione che l’Ipcc (Intergovernamental Panel for Climate Change, foro scientifico dedicato all’osservazione e allo studio dei cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, ndr) redige periodicamente per fare il punto sulle conoscenze scientifiche relative ai cambiamenti climatici, ai loro impatti, ai rischi connessi e alle soluzioni per la mitigazione e l’adattamento. Il rapporto, che verrà completato nel 2022, lancia un deciso monito in merito alla necessità di una immediata e drastica riduzione dell’utilizzo del carbone e dei combustibili fossili e alla conseguente riduzione delle emissioni inquinanti, oggi a un livello tale da mettere a rischio l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi nei prossimi due decenni, obiettivo fissato negli accordi di Parigi. Al contrario, lo studio rivela come il riscaldamento globale stia aumentando velocemente, nonostante la riduzione del 7% di anidride carbonica avuta nel corso dei vari ‘lockdown’ imposti dall’emergenza sanitaria e consente (come precisa Valèrie Masson-Delmotte, co-presidente del gruppo di lavoro dello studio, di avere un quadro molto più chiaro del clima passato, presente e futuro, essenziale per capire quali possano essere le azioni necessarie per far fronte a questa emergenza climatica. I danni che l’umanità sta causando all’ambiente sono significativi, evidenti e irreversibili. Il superamento della soglia critica di ‘non ritorno’ di 1,5 gradi di aumento della temperatura globale, sta producendo un innalzamento del livello del mare altrettanto irreversibile in centinaia o migliaia di anni, con una frequenza crescente di eventi estremi che prima si verificavano, in media, solo una volta nel corso di un secolo. Ma la temperatura non è l’unica variabile in campo. Sono già in corso cambiamenti in diverse regioni nei valori di umidità, nei venti, nella neve e nel ghiaccio, nelle aree costiere e negli oceani. Il ciclo dell’acqua e l’andamento delle precipitazioni ne risulta condizionato, con piogge intense in alcune regioni e siccità in altre. Lo scioglimento del permafrost, la perdita della copertura nevosa stagionale, lo scioglimento di ghiacciai e calotte polari, l’acidificazione degli oceani e la riduzione dei livelli di ossigeno in mare sono chiaramente collegati dal rapporto all’influenza umana. Fenomeni destinati a crescere con l’aumento del riscaldamento. L’energia fossile è il principale imputato fra i fattori antropici alla base del global warming. Ed è sull’energia fossile che punta il dito il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Gutierres, commentando il lavoro dell’Ipcc: “Questo rapporto deve suonare come una ‘campana a morto’ per carbone e combustibili fossili, prima che distruggano il nostro pianeta. L’odierno rapporto è un codice rosso per l’umanità. I campanelli d’allarme sono assordanti e le prove sono inconfutabili: le emissioni di gas serra dovute alla combustione di combustibili fossili e alla deforestazione stanno soffocando il nostro pianeta e mettendo a rischio immediato miliardi di persone. Il riscaldamento globale sta interessando ogni regione della terra, con molti dei cambiamenti che stanno diventando irreversibili. Il riscaldamento”, ha spiegato Gutierres, “è accelerato negli ultimi decenni. Ogni frazione di grado conta. Le concentrazioni di gas serra sono a livelli record. I disastri meteorologici e climatici estremi stanno aumentando di frequenza e intensità. Ecco perché la conferenza sul clima delle Nazioni Unite di quest’anno a Glasgow (Cop 26) è così importante”.
Antonio Gultierres chiede impegni concreti non solo ai governi, ma anche alle imprese. Impegni che “dobbiamo all’intera famiglia umana, in particolare alle comunità e alle nazioni più povere e vulnerabili, che sono le più colpite nonostante siano le meno responsabili dell’emergenza climatica di oggi. Se uniamo le forze ora, possiamo evitare la catastrofe climatica. Ma, come chiarisce il rapporto, non c’è tempo di indugiare e non c’è spazio per le scuse. Conto sui leader di governo e su tutte le parti interessate”, ha concluso il segretario generale delle Nazioni Unite, “per garantire il successo della Cop 26”. C’è da auspicare che i moniti della comunità internazionale, diffusi per mezzo dei suoi rappresentanti e scienziati più autorevoli, vengano raccolti nel corso del vertice che la città di Glasgow, in Scozia, ospiterà dal 9 al 20 novembre prossimi, riunendo oltre 30 mila delegati tra cui capi di Stato, esperti e attivisti, con l’auspicio di riuscire a definire un piano d’azione comune e coordinato tangibile, per fronteggiare l’emergenza climatica. Un piano che non potrà che essere sfidante, considerate le evidenze sottolineate dall’Ipcc e la posta in gioco. Una strategia globale che dovrà necessariamente fare i conti non solo con le nostre economie in cerca di riscatto dopo il letargo forzato dello scorso anno, ma soprattutto con quelle dei Paesi tradizionalmente meno sensibili alle tematiche ambientali. Per l’Italia, flagellata recentemente da incendi diffusi, la conferenza di Glasgow, così come quella sulla biodiversità che si terrà a Kunming in Cina il prossimo ottobre, rappresentano “un’occasione imperdibile per attuare gli accordi di Parigi”, ha sottolineato il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in occasione dell’apertura, lo scorso giugno, del summit dei ministri degli Esteri del G20, “con l’adozione di impegni ambiziosi di breve termine e il sostegno all’obiettivo della neutralità climatica, che auspichiamo essere al 2050, in base agli impegni presi da un numero crescente di Paesi”. Sarà proprio l’Italia a offrire ospitalità ai lavori preparatori della conferenza di Glasgow, tra il 28 settembre e il 2 ottobre prossimi, a Milano. Resta ancora da comprendere se, come e in quale misura la competizione globale si lascerà ‘placare’ dagli scenari disegnati dall'Onu. Il superamento dell’era del carbone richiede investimenti non indifferenti e un deciso cambio di paradigma nella produzione industriale, da affrancare in meno di due decenni dalla dipendenza dai combustibili fossili e arrivare all’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050. Per l’Ipcc è ormai imperativo quadruplicare entro il 2030 la capacità di produrre energia da fonti alternative (quali l’energia solare ed eolica). In questo scenario, all’alba dell’avvio di una transizione che richiede investimenti significativi, per alcuni non è da trascurare il ricorso anche al nucleare, già utilizzato in altri Paesi (come Francia, USA, Cina, Russia e Giappone), ma bandito in Italia dal referendum del 2011 e da un precedente referendum che si tenne nel 1987. Le centrali di ultima generazione, in effetti, possiedono una tecnologia che consente di abbattere le emissioni inquinanti, con ricadute positive sia in termini di costi, sia di smaltimento e, soprattutto, di sicurezza. In ogni caso, la questione di fondo investe non solo l’individuazione di metodi e modelli produttivi più sostenibili, ma la stessa ‘civiltà del consumo’. E’ venuto il momento di ripensare l’economia competitiva e globale e di abituarsi a una sorta di ‘virtuosismo a chilometri zero’, prediligendo prodotti a filiera corta, che coniughino buona qualità, costo conveniente e basso impatto ambientale. Vedremo quali saranno le soluzioni che verranno condivise dalla comunità internazionale, per fronteggiare l’emergenza climatica. Quel che appare ormai certo è che le decisioni debbono essere prese ora. E che le strade di riconversione del nostro modello di sviluppo dovevano essere imboccate anche prima. "Domani", parafrasando Alok Sharma, presidente designato della prossima conferenza di Glasgow, potrebbe essere “già troppo tardi”.