È possibile decidere quando morire? E nei casi di Alzheimer come è possibile comprendere la volontà del paziente, laddove la demenza profonda ha distrutto le aree del cervello preposte al pensiero critico, alla memoria e alla capacità di giudizio?
Parlare di eutanasia significa affrontare un argomento ancora tabù: decidere della propria morte significa, molto spesso, violare la legge o farla violare, nel caso in cui la persona che decide di porre fine alla propria esistenza non riesca a farlo da sola. Nelle cliniche di ‘fine vita’, che si trovano soprattutto in Svizzera, il paziente viene ammesso a seguito di una serie di colloqui psicologici e dopo un’anamnesi volta a dimostrarne l’incurabilità e l’insostenibilità della condizione umana in cui versa. In alcune strutture, l’eutanasia viene medicalizzata, attenendosi ad alcuni protocolli molto rigidi; in altre, è il paziente stesso a decidere quando assumere il mix di farmaci mortali, ponendo fine in maniera autonoma alla propria esistenza.
Al di là degli aspetti tecnici, la questione è moralmente spinosa: non è forse vero che i medici devono attenersi al giuramento di Ippocrate, attraverso il quale si impegnano a preservare la vita con ogni mezzo? E come è possibile giudicare e decidere quando è giunto il momento di morire, per una persona che non può esprimere la propria volontà? È di questi giorni un caso accaduto nei Paesi Bassi, dove un medico ha praticato l’eutanasia su una paziente affetta da Alzheimer profondo. La signora in questione, all’epoca in cui ricevette la diagnosi, nel 2012, aveva dichiarato la sua volontà di dare “un addio umano per i miei cari”, ricorrendo all’eutanasia “quando io, io stessa, considererò i tempi maturi”. Il medico che ha praticato l’eutanasia sulla donna, ora in pensione, è finito sotto processo, poiché avrebbe praticato un’iniezione di farmaci mortali nonostante le proteste della donna. Ma, come ha dichiarato, “la paziente non era mentalmente competente, nulla di ciò che la donna ha detto al momento della sua morte è stato sufficiente per invalidare la dichiarazione scritta”. Secondo il medico, la donna non poteva più capire il significato di concetti come ‘eutanasia’ e ‘demenza’.
L’Olanda ha depenalizzato l’eutanasia nel 2002, fornendo delle linee guida ben precise, alle quali i medici debbono attenersi. Nonostante la famiglia della paziente difenda con forza l’operato del medico, sembra che le indagini siano scattate quando si è saputo che la donna, prima dell’iniezione, era stata sedata con un tranquillante disciolto nel caffè e, nonostante questo, si sia ribellata.
L’Unione europea, peraltro, non ha ancora studiato una legge comune: l’eutanasia è legale in Olanda, Belgio e Lussemburgo; in altri Paesi, come Norvegia, Repubblica Ceca, Ungheria, Spagna e Danimarca, il malato può decidere di interrompere le cure, se considerate ‘accanimento terapeutico’. La Svizzera rimane l’unico Paese ad accogliere richieste dall’estero: in tutti gli altri, l’eutanasia viene concessa solo a coloro che ne hanno la cittadinanza. In Francia, si ha diritto a cure palliative, che accompagnano al decesso; la Gran Bretagna autorizza all’interruzione delle cure, fatte salve alcune condizioni introducendo, già dal 2002, il concetto di ‘aiuto al suicidio per compassione’ e prevedendo, dal 2010, sanzioni meno dure rispetto al passato.
L’eutanasia rimane fuori legge in Portogallo, Irlanda e Italia, dove hanno fatto notizia e apripista alla questione le scelte di Welby, Englaro, dj Fabo e l’impegno di diverse associazioni, tra le quali la più conosciuta è la ‘Luca Coscioni’. La legge italiana vieta l’eutanasia in qualsiasi forma. E chi la sostiene rischia l’incriminazione per omicidio volontario (articolo 575 del Codice penale) o, nel caso in cui dimostri il consenso del malato, di omicidio del consenziente (art. 579) con pene dai 6 ai 15 anni. Nel caso del suicidio assistito può essere applicato l’art. 580 c. p. relativo all’istigazione al suicidio con pene fino a 12 anni, alle quali si possono sommare altri reati minori, come l’omissione di soccorso. Le cose stanno cambiando dopo l’approvazione della legge n. 219 del 2 dicembre 2017, che delinea le linee guida per il testamento biologico, considerato il primo passo in avanti verso una legislazione che regoli, finalmente, l’eutanasia.