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28 Marzo 2024

Il falso problema del 'burkini'

di Serena Di Giovanni
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Il falso problema del 'burkini'

La laicità occidentale può dimostrarsi superiore e realmente secolarizzata solamente se saprà evitare certe contrapposizioni radicali contro le credenze religiose, dimostrando di saper attendere con saggezza e pazienza gli esiti inesorabili della modernizzazione globale

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La Francia ha dichiarato guerra al 'burkini', la tenuta da bagno appositamente creata per tutte le donne sportive e pudiche. Un capo di abbigliamento, in verità, estremamente vario, largo o attillato a seconda delle occasioni, la cui creazione è attribuita ad Aheda Zanetti, un’australiana di origini libanesi. Il termine 'burkini' sarebbe nato proprio dalla ‘contaminazione’ tra le parole ‘burqa’ e ‘bikini’, non senza conseguenze ingannevoli. Il ‘burqa’, infatti, noto indumento indossato dalle donne di alcuni Paesi musulmani ‘ortodossi’, ne copre la totalità del corpo e del viso, lasciando scoperto semplicemente un lembo in corrispondenza degli occhi, mentre il ‘burkini’ mostra l'intero volto ‘muliebre’. Proprio per questa sua particolare caratteristica, la tenuta non sembrerebbe infrangere la legge francese, che vieta il velo integrale nei luoghi pubblici. Ma, allora, come spiegare le affermazioni del primo ministro francese, Manuel Valls, su questo particolare capo di abbigliamento, e le polemiche che ne hanno fatto seguito? In cosa il ‘burkini’ minerebbe l'ordine pubblico del Paese? Probabilmente, come si evince dalle dichiarazioni di alcuni sindaci francesi, nel richiamo evidente a una appartenenza religiosa ritenuta pericolosa per la Francia. Ma facciamo ordine, partendo dalle fonti. In primis, dal Corano, in particolare i versetti 24, 30-31, 33, 55 e 33-59, nei quali si parla di "conservazione delle parti private" e si ricorda alle credenti di indossare un abito tale da non essere riconosciute e insultate, di non mostrare le loro bellezze. Analizzando il testo sacro si comprende, in primo luogo, come le donne credenti di fede musulmana debbano sì coprire le loro nudità, ma contestualmente indossare abiti sobri, che non le pongano troppo in evidenza. Insomma, il Corano non è così estremista, né tantomeno specifico, come sembra. Il ‘burkini’, a guardarlo bene, è tutt'altro che un abito sobrio, secondo la concezione che alcuni popoli arabi associano al termine. Anzi, di burkini ne esistono di vari tipi: alcuni sono addirittura attillati e sexy e non nascondono affatto i corpi femminili che avvolgono. Proprio per questo, più di qualcuno ha ritenuto il capo 'disdicevole' e 'sconveniente'; molti, invece, hanno lamentato i costi eccessivi del costume (manco fosse quello di Michael Phelps), sottolineando l'aspetto economico e il business legato all'indumento in questione. Tralasciando quest’ultimo aspetto, di per se' paradossale, le stesse donne arabe hanno fatto del ‘burkini’ una questione ideologica. Per esempio, Maryan Ismail, antropologa italo-somala, lo ha definito "la punta dell'iceberg di un'islamizzazione fondamentalista che tenta di imporre la propria visione", mentre la consigliera comunale musulmana eletta col Pd, Sumaya Abdel Qader, si è dimostrata contraria al divieto francese, invocando la libertà individuale di poter scegliere se indossarlo o meno. Al di là delle polemiche, noi crediamo che la questione, certamente manipolata per veicolare l'opinione pubblica contro l'islam e le sue tradizioni, riveli quanto una larga parte della popolazione occidentale sia saccente, poco tollerante e presuntosa. Se, infatti, il tema deve essere al centro dei dibattiti della popolazione islamica, che giustamente ha l'occasione, attraverso il 'burkini', di porre all'attenzione di tutti la delicata questione dell'emancipazione femminile nei Paesi arabi, il resto del mondo non perde occasione per imporre una propria visione del problema. Il più delle volte, senza tener conto della tradizione e della cultura islamica, facendo, come al solito, di tutta ‘l'erba’ un ‘fascio’. Molti occidentali, per lo più di sesso maschile (e questo è un altro paradosso…) nel demonizzare il ‘burkini’ ignorano, infatti, la distinzione che sussiste tra la dottrina islamica e l'islam storicamente realizzato. Non fraintendeteci: siamo i primi a sostenere che le donne debbano essere sempre rispettate e che ogni essere umano abbia il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni. E, spesso, ci siamo trovati a condannare con forza i ripetuti episodi di intolleranza e di violenza a danno del genere femminile. Un fenomeno - lo ricordiamo - assolutamente universale, diffuso tra atei e credenti di qualsiasi fede. Ma il punto, in questo caso, è un altro: in questa sede ci domandiamo, in particolare, se sia davvero corretto imporre, sempre e comunque, il nostro punto di vista in nome di una presunta libertà di espressione. Abbiamo mai pensato che, forse, per le stesse donne arabe mostrare alcune parti del proprio corpo in pubblico sia un qualcosa di disdicevole e imbarazzante? Pensiamo alla situazione inversa: se qualcuno, in occidente, ci vietasse di andare in spiaggia in ‘bikini’ e imponesse a tutte quante noi il ‘topless’, come ci sentiremmo? Ci potremmo considerare libere di andare a mare o, magari, preferiremmo restare in casa? Inoltre, siamo sicuri che l'emancipazione femminile passi per il numero di centimetri del nostro corpo scoperti ed esposti al pubblico? Forse, credere di poter cambiare 'dall'esterno', attraverso leggi restrittive, tradizioni religiose e culturali millenarie solo perché non conformi al nostro modo di vedere o percepire il mondo, potrebbe essere un grave errore, perché la Storia insegna che combattere l'intolleranza con l'intolleranza, o la coercizione con la coercizione, non ha mai aiutato a sanare il problema dell'integrazione e del rispetto fra i popoli. Al contrario, ciò ha finito per acuire contrasti sempre più insanabili. Probabilmente, come sostiene la giornalista Farian Sabahi, quello del ‘burkini’ è solamente “un falso problema”, sollevato per distogliere lo sguardo da questioni collaterali ben più gravi. Come sostiene la giornalista e storica di origine iraniana, l'indumento non copre il viso, le mani o i capelli e, in fondo, è nato solo per agevolare le donne musulmane nello sport. Non solo: alcuni ‘burkini’ sono rivolti a donne che devono evitare i raggi del sole e che non vogliono rinunciare a un'attività all'aperto. Inoltre, vietarlo non scongiura il pericolo del terrorismo, bensì getta nuova ‘benzina’ sul ‘fuoco’, ghettizzando ancor di più la comunità musulmana.

 
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Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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