Nato dalle ceneri di una vecchia officina in disuso situata nel quartiere romano di Pietralata, l’Atelier Montez è oggi considerato una delle più ricercate ‘factory’ artistiche della scena capitolina. Si tratta di un’associazione culturale fondata da cinque giovani professionisti del settore: Giorgio Capogrossi, Alessandro di Fraia, Francesco Perri, Carlo Giordano e Giacomo Capogrossi. Sorta da circa due anni, si caratterizza per un’identità ben precisa, intrisa di un forte dinamismo culturale, dal respiro europeo. Ci siamo concessi una chiacchierata informale con colui che la dirige, il ventiseienne Giorgio Capogrossi, presidente dell’associazione e anche amministratore delegato della Kunstverein Familie Montez a Francoforte sul Meno. Il suo ambizioso progetto, di carattere internazionale, è volto a promuovere il ‘made in Italy’ in Europa e nel mondo e a riqualificare, con diverse attività culturali, le zone più periferiche della capitale.
Giorgio Capogrossi, l’Atelier Montez ha da poco aperto le sue porte al pubblico: come e quando è nata l’idea di questo spazio dedito al contemporaneo, inteso nelle sue molteplici forme artistiche?
“L’idea è nata due anni fa, nel 2012, tornando dalla Germania, dove ho risieduto per cinque anni. In Germania, ho lavorato con la famiglia Montez, la loro galleria e un network di artisti attivi sulla scena tedesca. Quando la città di Francoforte ha deciso di re-intervenire sull’assetto urbano per insediarvi la Banca centrale europea (BCE), la Kunstverein Familie Montez è stata chiusa. Senza lavoro e stimolato anche dalla mutevole situazione politica del nostro Paese, ho deciso di tornare in Italia. A Roma, mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti, dove ho conosciuto Alessandro Di Fraia, uno dei soci fondatori. Subito, mi sono messo alla ricerca di uno spazio che potesse consentirci di lavorare nel campo artistico. Siamo capitati, quindi, a Pietralata. E abbiamo trovato questo stabile dismesso, una vera e propria ‘discarica a cielo aperto’: uno spazio costellato da rottami di macchine, totalmente inutilizzato. Abbiamo preso contatto col proprietario, che vive in Toscana, il quale progettava dei costosissimi interventi di ristrutturazione dell’immobile, incendiato qualche tempo prima. Osservando l’officina, siamo rimasti colpiti dalla bellezza primitiva delle macchine, bruciate, che vi erano all’interno. E abbiamo deciso di metterle in mostra, creando un ‘involucro’ per queste magnifiche opere d’arte. L’esposizione è stata fantastica e vi ha partecipato anche Graziano Cecchini (l’artista che quattro anni fa dipinse di rosso l'acqua di fontana di Trevi) con il quale, in quell’occasione, abbiamo realizzato anche una performance. La nostra idea iniziale era quella di un utilizzo temporaneo dello spazio. Che poi si è trasformata in una vera e propria azione di riqualificazione della struttura, tale da renderla, pian piano, a norma di legge e fruibile al pubblico. Grazie alle manifestazioni organizzate in questi due anni, essenzialmente mostre e performance, abbiamo avuto la possibilità di autofinanziarci e procedere con la ristrutturazione”.
Cos’è, davvero, l’Atelier Montez?
“L’Atelier Montez è un team di professionisti e apprendisti del settore artistico che condividono uno statuto. Il nostro obiettivo, da un lato, è quello di riqualificare delle strutture dismesse della capitale rendendole fruibili ai cittadini; dall'altro, utilizzare le stesse strutture per creare e promuovere un prodotto artistico di qualità. La miglioria che vogliamo apportare a livello sociale e artistico è reale, tangibile: come direbbe Orazio, l’obiettivo è quello di ‘docere delectando’! Vorremmo creare un algoritmo, una catena, per cui tale riqualificazione possa in futuro essere estesa anche ad altre realtà, soprattutto locali. Il ricavato delle nostre attività costituisce indubbiamente un capitale sociale, che sarà quindi reinvestito in altri progetti, i quali permetteranno di migliorare la qualità del servizio al cittadino e di radicare la nostra presenza sul territorio”.
A Roma sono oramai plurime le proposte culturali legate al contemporaneo: come intendete differenziarvi rispetto alle altre realtà locali?
“Credo che il nostro spazio si distingua per la genuinità e veridicità con cui riesce a rappresentare la quotidianità degli italiani. L’Atelier Montez è, metaforicamente parlando, come un ombrello bucato che lascia trapelare dall’alto diversi stimoli e plurime suggestioni. E se piove, ci piove in testa! Ma soprattutto, l’Atelier Montez non è una galleria d’arte: non vuole vendere, ma produrre. Vuole creare un prodotto ex novo. Che siano oggetti d’arte, d’artigianato, oppure spettacoli teatrali o musicali, l’obiettivo è sempre quello di riattivare l’industria culturale italiana: il cosiddetto ‘made in Italy’, molto richiesto all’estero. Su commissione abbiamo realizzato, per esempio, 5 metri quadrati di decorazione per un soffitto in stile barocco di una casa privata nel Qatar. E abbiamo in programma di fare molto altro”.
Quale riscontro avete avuto finora dalle istituzioni locali? E come finanziate i vostri progetti?
“La circoscrizione ha trovato la nostra iniziativa anomala, ma interessante. Nel quartiere abbiamo collaborato con varie realtà, tra le quali figura quella dei “TiPiattIVi”. Il problema di Pietralata è che, al momento, non esiste un ‘nucleo operativo’, uno spazio o un’agorà dove potersi incontrare e discutere delle problematiche del quartiere. Tuttavia, esistono tante realtà isolate. La petizione di Turi Sottile per il M.A.P. Museo d'Arte Contemporanea Pietralata, ne costituisce un esempio. Abbiamo avuto il sostegno del Municipio, tramite Emiliano Sciascia e dell’assessore alla cultura, Elisabetta Ciciarelli, dai quali abbiamo ricevuto piccoli riconoscimenti ufficiali, fondamentali per andare avanti nel nostro lavoro. Le istituzioni locali ci hanno aiutato a farci conoscere e a dare voce e visibilità al nostro operato attraverso la pubblicazione sul sito di Roma Capitale delle nostre attività. Cosa sempre più difficile, visto che anche note testate giornalistiche, senza fare nomi, ci hanno proposto lunghi articoli in prima pagina sul nostro progetto in cambio di cifre esorbitanti. Tuttavia, ad oggi il sostegno del Municipio e dei privati ha riguardato solo la comunicazione. Finora, non abbiamo mai accettato alcun supporto economico, perché vogliamo rimanere liberi di poter esprimere la nostra posizione rimanendo estranei al giro di interessi degli sponsor, che potrebbero imporci dei vincoli. Come, per esempio, la scelta di artisti da proporre o da ospitare. Il nostro più grande mecenate si è rivelato essere il proprietario dell’immobile. Lui voleva fare del capannone uno stabile con degli appartamenti. Noi lo abbiamo invitato a riflettere sul suo vecchio progetto, convincendolo a investire nel nostro e nella cultura. Non solo per filantropia. Ma perché, così facendo, avrà maggiori garanzie economiche, offrendo allo stesso tempo dei servizi reali ai cittadini”.
Tu sei anche molto legato alla Germania, in particolare a Francoforte sul Meno, dove svolgi l’attività di amministratore delegato per la Kunstverein Familie Montez: di cosa si occupa l’azienda e quale forma di collaborazione prevedi di innescare con l’Atelier Montez?
“A Francoforte, insieme al Maestro Mirek Macke, sono membro del consiglio direttivo della Kunstverein Familie Montez, una galleria composta essenzialmente da un network di artisti. Ad aprile riapriremo un nuovo spazio e questo ci consentirà una vetrina eccezionale in tutta Europa. La nuova sede sarà, infatti, al centro della città tedesca, dove circolano grandi capitali. Rispetto alla situazione in Germania, la realtà romana parte un pochino più dal basso. Come ti dicevo, l’Atelier Montez non è una galleria: è una factory, un centro di produzione. Per questo ci teniamo a chiamarlo ‘atelier’ e non ‘galleria’. La connessione con Francoforte sarà possibile nel momento in cui le opere prodotte a Roma, da noi come da artisti validi che ospiteremo a titolo assolutamente gratuito (cioè senza chiedere denaro per l’affitto dello spazio), saranno presentate in Germania e, da lì, potranno circolare in Europa e non solo”.
A Roma il mondo dell’arte contemporanea riflette una situazione piuttosto problematica, come dimostrano, per esempio, le ultime vicende del Macro. Secondo la tua visione e attraverso anche la tua esperienza, Roma possiede le caratteristiche per ritornare un polo culturale del contemporaneo che possa competere con le grandi capitali europee e d’oltreoceano?
“A mio modo di vedere, Roma si trova in una fase di stallo: non esiste più un movimento simile a quello avviatosi in via Margutta a partire dagli anni Cinquanta. Roma, inoltre, è lontana da quel proficuo dialogo fra critici e artisti che fu tipico degli anni Settanta. La capitale si è svuotata dei suoi contenuti ed è spesso vissuta dagli addetti ai lavori come una sorta di ‘aeroporto’, un posto di passaggio. Le stesse gallerie, che dovrebbero promuovere i giovani artisti italiani, hanno trasformato questi ultimi in clienti. Per ovvie ragioni economiche, molti creativi, per poter esporre, devono pagare gli spazi e il nome della galleria che li ospita. Malgrado ciò, sono convinto che Roma possa tornare a diventare un polo culturale del contemporaneo, competitivo a livello europeo e mondiale. Bisogna solo avere la forza di rimboccarsi le maniche e di lavorare tutti assieme – creativi, critici e curatori – con costanza e umiltà, per produrre un prodotto artisticamente valido”.
In conclusione, quali progetti attendono l’Atelier Montez?
“Abbiamo sottoposto al proprietario dell’immobile un progetto, realizzato insieme all'architetto Francesco Perri, che potrà consentire di trasformare l’atelier da centro attivo nell’ambito della promozione dell’arte visiva, in un ambiente polifunzionale, che interessi anche altri settori artistici, come la musica e il teatro. Uno spazio in cui ‘fare’ ma, soprattutto, ‘elaborare’ un prodotto culturale di livello. Siamo quindi in attesa che il proprietario dello stabile risponda ufficialmente alla nostra richiesta e ci permetta di avviare i lavori di ristrutturazione. Auspicando una risposta in senso affermativo, ammettiamo di bandire ad aprile una gara di appalto per l’avvio del cantiere, in vista della prossima riapertura in ottobre. Dopodiché, vorremmo allargare il processo di riqualificazione urbana ad altri stabili dismessi in zone periferiche della capitale. Una sfida importante, che va di pari passo con un’altra sfida: quella di trasformare l’Atelier Montez in una vera e propria fabbrica del prodotto artistico ‘made in Italy’, da rendere sempre più competitivo e apprezzato all’estero”.
Nella foto i ragazzi dell'Atelier Montez. Al centro, Giorgio Capogrossi.