A causa degli elevati costi delle opere d’arte, i nostri musei hanno cominciato a proporre alcune soluzioni per abbattere le spese: una di queste è costituita dalle ‘acquisizioni in comproprietà’, proprio come avviene nel calcio
C’è crisi, si sa. E questa ha colpito tutti i settori, senza distinzioni di sorta. Così accade che, per fronteggiarla, ci si debba arrangiare, coalizzarsi, unire le forze e fare fronte comune. Lo hanno capito perfino i musei, i quali, con i costi delle opere che lievitano toccando livelli record, cominciano a proporre delle soluzioni per abbattere le spese. Una di queste è costituita dall’acquisto di un’opera d’arte in ‘comproprietà’, proprio come avviene nel calcio. Comprare in compartecipazione: sembrerebbe essere questa la formula magica in grado di dimezzare l’onere finanziario di un oggetto di valore culturale e artistico. Lo hanno compreso, qualche giorno fa, il Louvre e il Rijksmuseum, pronti a un’interessante quanto inedita alleanza per accaparrarsi il ‘cartellino’ di due celebri opere di Rembrandt, uno dei più grandi pittori della storia dell'arte europea e, forse, il più importante di quella olandese. Stiamo parlando dei ritratti di Marlen Soolmans e di sua moglie, Oopjen Coppit, una coppia di tele di proprietà della famiglia Rothschild, che ora vorrebbe disfarsene. Peccato, però, che il prezzo richiesto è al di fuori della portata dell’illustre museo parigino (le tele ammonterebbero a circa 160 milioni di euro, mentre il Louvre, per le nuove acquisizioni, ne avrebbe a disposizione solo 8…). Da qui, un’idea tutt’altro che banale: condividere la spesa con un altro museo, segnatamente con il Rijksmuseum di Amsterdam, in cui sono conservate diverse tele e disegni dell’artista.
La responsabile alla Cultura francese, Fleur Pellerin, avrebbe così inviato una missiva alla famiglia Rothschild, proponendo l'acquisto in comproprietà. Se la proposta fosse accettata, le tele verrebbero acquisite insieme e, in seguito, esposte a Parigi e ad Amsterdam, con una turnazione di due o tre anni. L’uso dei condizionale, in questo caso, è doveroso, dal momento che l’affare non si sarebbe ancora concretizzato. Ciò in quanto perché manca ancora l'assenso della famiglia Rothschild. Inoltre, il Louvre e il Rijksmuseum, per portare a termine il ‘colpaccio’, dovrebbero comunque raccogliere una somma considerevole, probabilmente attraverso donazioni e, meglio ancora, progetti di ‘crowdfunding’, i quali rientrano nel fenomeno della cosiddetta ‘sharing economy’, sempre più diffusa in diversi settori.
Il fenomeno dell’art sharing: qualche esempio
Come è ovvio, il caso del Louvre non è l’unico al mondo. E’ chiaro che, se l’affare andasse in ‘porto’, si tratterebbe, probabilmente, di uno dei primi esempi transnazionali di acquisizione in comproprietà di un’opera d’arte, anche se non mancano, in Italia e all’estero, altre casistiche simili. Per esempio, nel 2012, un celebro dipinto di Tiziano Vecellio, ‘Diana e Callisto’, è stato acquistato per 45 milioni di sterline congiuntamente dalla National Gallery di Londra e la National Galleries of Scotland, che ora lo espongono a turno, ogni diciotto mesi. L’opera, in realtà, non ha fatto altro che unirsi alla sua ‘compagna’, ‘Diana e Atteone’, acquisita nel 2009 per 50 milioni di sterline sempre dalla National Gallery di Londra e dalla National Galleries of Scotland, che anche in questo caso ne condividono la proprietà e sempre dal medesimo proprietario: il Duca di Sutherland. E come potrebbe accadere per il Louvre, anche per ‘Diana e Callisto’ le due istituzioni hanno ricevuto i contributi eccezionali di alcuni donatori mediante l'Heritage Lottery Fund (i fondi del lotto, per intenderci, utilizzati per la salvaguardia del patrimonio artistico inglese), l'Art Fund (istituzione che si occupa di aiutare economicamente gallerie e musei nazionali fornendo dei finanziamenti, promuovendo delle petizioni pubbliche, facilitando gli scambi delle opere tra diversi musei e organizzando campagne di crowdfunding) e il Monument Trust (altra realtà impegnata nel sociale e basata sulle donazioni di privati). Oltre a ciò, larga parte della quota è stata messa a disposizione dalla stessa National Gallery che, intelligentemente, ha utilizzato il denaro donato dal pubblico e dai visitatori nel corso degli anni per appropriarsene. In territorio extraeuropeo segnaliamo, tra i tanti esempi possibili, quello che nel 2007, a Los Angeles, ha visto due musei cittadini, il Museum of Contemporary Art e il Los Angeles County Museum of Art, dividersi la proprietà (e le spese) di ‘Hell gate’, imponente scultura dell’artista contemporaneo Chris Burden, deceduto proprio quest’anno. Peraltro, anche negli Stati Uniti, come nei citati casi europei, l’operazione è stata resa possibile grazie ai fondi messi a disposizione da una fondazione locale: la Broad Art Foundation. Recentemente, anche in Italia si sono verificati episodi di ‘Art sharing’. A Prato, per esempio, il Comune e il ‘Centro Pecci’ sono diventati comproprietari di tutte le opere d’arte della Associazione Pecci: una decisione, in questo caso, presa per salvaguardare il patrimonio artistico locale, ma anche finalizzata ad ammortizzare le spese. È nata così, proprio nel 2015, la ‘Fondazione per le arti contemporanee in Toscana’, i cui soci fondatori sono, di fatto, il Comune e l'Associazione stessa, comproprietari del patrimonio artistico del territorio.
Arte e crisi economica
Questi casi di ‘Art sharing’ portano a ipotizzare un cambiamento del mercato artistico, in relazione alla crisi economica degli ultimi anni. In effetti, diversi studi di settore ci dicono che il sistema ha subìto, in questi primi 15 anni di XXI secolo, diverse modifiche, ma non quelle che ci saremmo aspettati. Se, infatti, il mercato, negli ultimi decenni, sembra essersi ‘spostato’ soprattutto in Oriente, in particolare in Cina e in Russia, la crisi che ha colpito l’economia mondiale non avrebbe, secondo gli esperti, influenzato i prezzi delle opere d’arte semplicemente perché quello artistico è considerato un ambito di investimento indipendente, non correlato ai mercati finanziari; inoltre, la crisi ha colpito soprattutto il ceto medio, poco interessato all’acquisto di opere. In altre parole, l’arte, per il fatto di essere considerata ‘elitaria’ e, diciamolo, anche piuttosto ‘snob’, si sarebbe ‘salvata’ dal crollo dell’economia mondiale. Risultato? I prezzi delle opere sono ‘alle stelle’ e in continua crescita. Tanto che, nel 2008, in piena crisi finanziaria, mentre le borse precipitavano, il valore delle opere moderne e contemporanee conosceva un’impennata senza precedenti. Allo stesso tempo, però, molte istituzioni museali pubbliche, maggiormente colpite dalla recessione, hanno fatto sempre più ricorso, specialmente nei Paesi anglosassoni, al sistema delle donazioni e del fund raising, per promuovere progetti di tutela e valorizzazione delle arti, affidati, in molti casi, ad associazioni e fondazioni private costituite su base volontaristica. Una serie di realtà più o meno complesse, composte da ‘filantropi’ con una discreta disponibilità economica, tra le quali rientra la già citata Art Fund di Londra: istituzioni promotrici di una forma di tutela ‘aperta’, fondata sulla compartecipazione attiva di privati cittadini, della quale il Fai (Fondo per l'ambiente italiano) costituisce un esempio tutto italiano.