Il Museo archeologico nazionale di Napoli si scopre nel ruolo dello sperimentatore di nuove strategie comunicative decidendo di puntare su una App dal carattere ludico per veicolare il patrimonio a un pubblico sempre più ampio
”I bambini hanno diritto di dedicarsi al gioco”. E’ l'affermazione di principio dell'articolo 31 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. E l’attuale filone cognitivo di studi, a partire da Piaget (1937-1945) e Bruner (1976), pone il gioco quale condizione fondamentale per lo sviluppo intellettivo dell'individuo. Nella programmazione didattica e nelle proposte divulgative, l'istituzione museale apre dunque le porte anche alle pratiche ludiche, sempre più sofisticate e articolate, attraverso il ricorso a nuove sperimentazioni tecnologiche. Un caso tra tutti: il Museo archeologico nazionale di Napoli, che ha lanciato proprio in questo mese di marzo 2017 il primo videogioco al mondo prodotto dalla realtà museale. 'Father and Son' è il titolo preso in prestisto dall'omonima canzone del cantante folk inglese Cat Stevens. Ed è funzionale a individuare una specifica tipologia di pubblico, rivolgendosi sia ai padri, sia ai figli. Lo ‘storytelling’ è costruito attorno a questi due personaggi e si innesca da uno tra gli espedienti più tradizionali della narrazione: una lettera lasciata dal padre archeologo al figlio, che così può iniziare la propria avventura. Su indicazione del genitore, il giovane Michael dovrà attraversare le diverse epoche storiche, passando dall’Egitto, all’antica Roma, all’età ‘borbonica’, fino ai giorni nostri, per cercare i suoi documenti conservati all'interno dell'esposizione archeologica partenopea. Il viaggio senza tempo diviene, in tal senso, metafora universale dell'esistenza umana: per capire il presente bisogna tornare indietro e conoscere le civiltà che ci hanno preceduto. Ogni stanza in cui entra il ragazzo ha un'ambientazione specifica ed è altamente immersiva, attraverso il ricorso di brani con musiche originali di oltre venti minuti. Tuttavia, non c’è solamente un impegno di apprendimento passivo delle informazioni, ma anche di interattività del giocatore, che può 'switchare' tra i diversi livelli e, quindi, sperimentare enigmi, colpi di scena e i distinti finali proposti. L'iniziativa tentata dal museo napoletano è, insomma, l'applicazione delle regole del videogame per porre al centro il visitatore e cambiarne il rapporto con il passato, ricollocandolo direttamente in una nuova costruzione della percezione della Storia dell'arte, imperniata su un sistema comunicativo incentrato sul divertimento, sull'emozione, sull'intrattenimento. Il museo ha ormai adottato quest'approccio di ‘edutainment’, termine coniato per la prima volta nel 1973 dal documentarista Bob Heyman, ossia l'apprendimento di nozioni scolastiche attraverso altre forme di intrattenimento, veicolate dalla pervasività delle nuove tecnologie di interazione e mirate al divertimento. In questo caso, il ‘target’ di riferimento presuppone un software in grado di sviluppare la ‘intercreatività’, attraverso l'adesione alla 'mission' del gioco e, quindi, del museo. Si tratta di considerazioni tutto sommato ‘scontate’ negli altri Paesi, in particolare in quelli anglosassoni, ma che risulta un campo ancora ‘vergine’ dal punto di vista delle istituzioni museali italiane, le quali solo recentemente si sono aperte a questo nuovo mercato, ormai giunto alla propria maturità di riconoscimento, per una più ampia valorizzazione fruitiva del patrimonio culturale. L'effetto di tale 'engagement' è la possibilità di ampliare le prestazioni della dimensione esperenziale attraverso il design: si ripensano le opere conservate nel museo ridisegnandole con una nuova veste grafica, affinché ogni esperienza rappresenti un ‘unicum’ di ricordi e sollecitazioni. L'obiettivo perseguito è quello restitutivo di un apparato scenografico innovativo: attraverso la costruzione di sfondi acquerellati, o la riproduzione di famose strade e piazze partenopee, il visitatore sarà libero di scegliere, nella scoperta, con quali oggetti interagire, in modo che i luoghi parlino da soli. Il ruolo attivo del Museo archeologico napoletano è il primo esempio nazionale di un cambio di mentalità, già portato avanti in altri aspetti della società, come la comunicazione dei media sulla rete internet e i social network, nei confronti di un pubblico non più statico e lontano, ma più vicino, o che rende 'alla portata' del museo pubblici diversi, anche quelli non individuabili o apparentemente distanti. Il museo invita il pubblico a visitarlo. E lo fa uscendo dalle sue ‘quattro mura’ per una lettura del patrimonio non più solo locale, ma internazionale, come dimostra la scelta della lingua (l'inglese) e la distribuzione diffusa attraverso Apple Store e Google Play. Forse, si sta cominciando a pensare che parlare di 'brand awareness' non sia l'espressione di un'eresìa, ma di un nuovo tipo di investimento in professionalità e tecnologie diverse, volte a incrementare la comunicazione e il marketing del prodotto per un ritorno di immagine e di impatto culturale e turistico a livello mondiale.
Sitografia
App Father and Son: http://www.fatherandsongame.com/
Museo archeologico Nazionale di Napoli: http://cir.campania.beniculturali.it/museoarcheologiconazionale
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