In attesa della riapertura degli spazi culturali, riflettiamo su una delle tante sfide che l’istituzione museale sarà chiamata ad affrontare nell’era post Sars-CoV2 parlando con il direttore del RIF e del suo nuovo progetto per una “città più equa, partecipata, inclusiva”
In questi giorni di chiusura al pubblico della maggior parte degli spazi culturali, dovuta all’emergenza epidemiologica in corso, il museo, come istituzione, ha l'occasione di ripensare se stesso e le sue funzioni, anche in vista della ripresa delle attività ‘post lockdown’ e in virtù del ruolo ‘sociale’ che dovrebbe rivestire quale centro di aggregazione per l’intera comunità, non solo locale. Una questione annosa e complessa, che non può prescindere dall’analisi delle ‘necessità’ dei diversi ‘pubblici’ e che dovrebbe essere affrontata tenendo a mente il rapporto – spesso sottovalutato – tra istituzione museale e contesto territoriale: in altre parole, tra museo e città. Ci è sembrato interessante sfiorare il tema in maniera ‘trasversale’, ovvero parlando di un progetto che, a partire dal luglio 2020, è stato lanciato proprio con l’obiettivo – citiamo testualmente – di “approfondire la conoscenza delle metropoli del terzo millennio, ma soprattutto immaginare e contribuire a realizzare, per il tramite di pratiche artistiche e relazionali, una città più equa, partecipata, inclusiva: la città di tutti”. Parliamo del RIF - Museo delle periferie, un progetto di Roma Capitale, Azienda Speciale ‘Palaexpo’, Municipio VI, ideato e diretto da Giorgio de Finis, che “intende accendere un riflettore sul tema delle periferie, nell’ambito di un’analisi più ampia del fenomeno urbano su scala globale”, a partire da Tor Bella Monaca, storico ‘quartiere-satellite’ della capitale. Un dispositivo che, a quanto sembra, intende stravolgere il più tradizionale rapporto tra contenitore museale, contenuto e tessuto urbano, rendendo quest’ultimo – e non l’opera d’arte in sé – l’oggetto reale di studio e di ricerca, al fine di “fare incontrare pezzi di città che si ignorano” e, se possibile, “superare confini e pregiudizi”. Il suo direttore, Giorgio de Finis, ci ha raccontato la genesi del RIF e la concezione che ne è alla base: un “museo accessibile” e mai uguale a se stesso.
Direttore de Finis, abbiamo letto che l’idea del Museo delle Periferie (RIF) è nata all’interno della sua precedente esperienza alla direzione del MACRO Asilo, grazie a tavoli di confronto che hanno messo in dialogo i diversi soggetti della città. Partendo da questo presupposto, vorremmo chiederle: nella definizione di questo suo nuovo progetto, quanto e in che modo hanno contato le sperimentazioni al Macro Asilo e, ancor prima, al MAAM?
“Molto. Anche se gli elementi di continuità sono tanti quanti quelli di discontinuità, che dipendono da quello che potremmo chiamare ‘site specific’. Tra gli elementi di continuità c’è, innanzitutto, l’utilizzo del dispositivo ‘museo’, che è un po’ anche la mia cifra da artista. Io progetto musei-giocattolo, con delle regole del gioco ogni volta diverse, ma che sempre permettano un’ampia partecipazione, non solo quella del pubblico (che nei miei musei è piuttosto attore), ma anche degli altri artist,i che devono sentirsi liberi di muoversi e immaginare a loro piacimento, nella cornice che di volta in volta propongo loro. Abbiamo già aggiunto due elementi ulteriori: l’inclusività e la coralità. La forma che assumono questi musei caleidoscopici non è prevedibile in anticipo e dipende, sempre, dal contributo fornito da chi decide di partecipare e dal gioco di relazioni che s’instaura con i contributi degli altri. Un altro aspetto che forse accomuna tutti questi progetti è la dimensione a scala urbana, il loro farsi città, magari in condizioni di minor attrito, come in un laboratorio. Aspetto che, insieme a una certa vocazione ideale, li rende tutti politici”.
Che genere di museo sarà il RIF?
“Un Giano bifronte: metà centro studi e metà museo; da una parte occupato a indagare il suo oggetto di studio (la periferia, e più in generale l’ecosistema urbano) dai più diversi punti di vista disciplinari e, dall’altra, libero di cancellare la lavagna e ridisegnare il mondo: la libertà che, a mio avviso, hanno gli artisti. Tra gli obiettivi del museo c’è poi quello di far incontrare pezzi di città che si ignorano, abbattere muri e pregiudizi e anche, se possibile, discriminazioni e ingiustizie”.
Ci sembra di capire che il RIF sia un progetto in evoluzione e che siate in attesa di una sede definitiva: come state organizzando le attività al momento e quali saranno i prossimi step?
“La sede del museo, in via dell’Archeologia a Tor Bella Monaca (Roma) dev’essere ancora costruita, anche se c’è l’area e il progetto architettonico. Si tratta di un’opera a scomputo, che dovrebbe essere realizzata da privati. Mi auguro che il cantiere possa partire al più presto. Avere un luogo fisico è importante, si tratta di un presidio culturale in una zona molto difficile e con un forte valore simbolico: si tratta di un impegno e di un riconoscimento. E, potremmo dire, anche di un risarcimento. Detto questo, è evidente che un museo che ha per oggetto lo studio delle periferie del globo non può restare confinato tra quattro mura: è necessariamente nomade e diffuso sui territori. Abbiamo iniziato a ottobre, con un ciclo di lezioni ospitate al teatro di Tor Bella Monaca e, ora, in streaming on line: oltre cinquanta incontri per iniziare a capire di cosa parliamo quando utiliziamo la parola, abusata e stigmatizzante, ‘periferia’. E parallelamente, abbiamo avviato una ‘automappatura’ della periferia romana, per scoprire cosa ci riservano, in termini di innovazione, sperimentazione e immaginazione, quelle parti di città che, di solito, sono raccontate come grigie, brutte, tristi, pericolose. Stiamo anche realizzando alcuni interventi di arte pubblica nel Municipio VI e lanciando un progetto di gemellaggi tra quartieri del centro e quartieri di periferia che ho chiamato ROMO (Romolo + ReMO): innesti e ricuciture affidati ad artisti relazionali, che declineranno il progetto ognuno a suo modo. In ultimo, il grande appuntamento del festival delle periferie a maggio: una tre giorni diffusa e in presenza, dove sarà possibile, ma anche in diretta streaming su una piattaforma dedicata e customizzata, dotata di tre canali con 8 ore di diretta ciascuno al giorno e ampie possibilità di interazione. Ma sul programma, mantengo ancora un po’ di riserbo”.
Parliamo del rapporto tra spazio museale, pubblico e territorio: Icom Italia (International Council of Museums, ndr) nel 2019 aveva proposto di integrare la definizione di museo con la parola accessibilità, facendo riferimento anche al sistema di relazioni nel quale esso opera. Posto che l’argomento è ampio e se ne potrebbe discutere per ore, volevamo chiederle: che ‘volto’ ha, per lei, un museo accessibile e inclusivo?
“L’Icom Italia ha anche bocciato la definizione proposta a Kyoto*. Una definizione che il Macro, nella versione ‘Asilo’, di fatto stava già sperimentando. Il museo ‘ospitale’, come sapete, poteva essere frequentato tutti i giorni, era a ingresso gratuito e offriva un palinsesto che cambiamo ogni giorno, interessando pubblici molto differenti tra loro”.
Quale apporto potrà dare il RIF al dibattito sul tema dell’accessibilità?
“La questione è quella di rendere la città accessibile a quartieri che sembrano gli ‘scarti’ di essa”.
Come immagina il museo del futuro?
“Aperto, partecipato, gratuito, multidisciplinare e, soprattutto, mai uguale a se stesso. Sono contrario ai format, a ogni idea di standardizzazione, anche a costo di combattere la cosiddetta ‘professionalità’ di esperti e manager della cultura”.
*Museums are democratising, inclusive and polyphonic spaces for critical dialogue about the pasts and the futures. Acknowledging and addressing the conflicts and challenges of the present, they hold artefacts and specimens in trust for society, safeguard diverse memories for future generations and guarantee equal rights and equal access to heritage for all people.
Museums are not for profit. They are participatory and transparent, and work in active partnership with and for diverse communities to collect, preserve, research, interpret, exhibit, and enhance understandings of the world, aiming to contribute to human dignity and social justice, global equality and planetary wellbeing.
QUI SOPRA: UNA GRAFICA 'INSIEMISTICA' DEL MUSEO DELLE PERIFERIE
IN APERTURA: IL DIRETTORE DEL RIF, GIORGIO DE FINIS, IN UNO SCATTO DI ANDREA BOCCALINI