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4 Dicembre 2024

Igor Rosset: "La tecnologia uccide l'essenza della manifattura"

di Giuseppe Lorin
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Igor Rosset: "La tecnologia uccide l'essenza della manifattura"

Secondo l’artista bolognese, il concetto comunicativo rimane la vera anima per un’evoluzione artistica e culturale dell’umanità

All’epoca del neolitico, circa 8 mila anni fa, quando sulla Terra già viveva l'homo sapiens, il contatto con le divinità era la base della vita e del ‘progresso’. Per mantenere questo contatto, gli sciamani del gruppo sociale di appartenenza e, in seguito, i patriarchi, erano obbligati dalla loro casta a immolare vittime sacrificali, rappresentate dapprima da esseri umani e, in seguito, da simulacri antropomorfi e animali riprodotti in vario modo, così come esigeva la ‘devotio’ per ingraziarsi prima la natura e, successivamente, gli ‘dei’. Il buon esito delle attività si esternava nel ringraziamento quotidiano alle divinità protettrici dell’equilibrio economico, essenziale per la vita sociale dei primordi. L’avanzamento tecnologico nacque con gli intenti di portare a una comunicazione più rapida, che potesse interagire anche a distanza, dapprima sensoriale e di alta concentrazione. La cattura del pensiero e la reciproca trasmissione extrasensoriale, contemporaneamente ad altre civiltà che si evolvevano in latitudini diverse, permise la costruzione architettonica delle piramidi a gradoni, sia in Egitto, sia nell’America centrale. Eppure, all’epoca non esisteva internet. Pensiamo all’evoluzione dell’homo sapiens, alla sua concentrazione nel comprendere le cose che osservava intorno a lui e l’arte di riprodurle, per condividere ed espandere una qualsivoglia semplice forma di conoscenza, vuoi per necessità o amicizia o affetto, vuoi per arrivare a una vera e propria ‘rampa’ per l'informazione e lo sviluppo del tessuto sociale. Spesso, tale forma, con senso di ‘ego’ sostantivo maschile - che nei tempi nostri ha un po’ perduto il suo significato più profondo - ha portato a contraddistinguere l'Io in una società multirazziale, trasformandosi in ‘egoismo’: un sostantivo maschile anch'esso, che tuttavia ha sempre condotto all'oblio della follia. Anche l'arte, che ha trovato linfa vitale sin dagli albori dell’umanità, trova nelle tecnologie interattive una via di fuga che toglie carattere e animo all'opera stessa, a quell’opera geniale che veniva partorita, sin dai tempi della primordiale idea, da una mano talentuosa e dall'animo dell'artista. Rimane la bellezza di chi scrive e concepisce poesie, perché dal calamaio si è passati alla macchina da scrivere, fino ad arrivare a un immutevole concetto del bello e del profondo, che nessuno potrà mai intaccare, neanche l’alta comunicazione algoritmica, poiché la poesia è un bene incosumabile. L'avanzamento tecnologico sta influendo prepotentemente nei comportamenti, rendendoci più distratti o, addirittura, incapaci di comunicare come prima. Si tratta di una psicosi che, fin quando non ti tolgono lo smartphone dalle mani, o non interviene un blocco per esaurimento del credito che spegne irrimediabilmente WhatsApp per esaurimento delle batterie, non ci si accorge di avere. O, per lo meno, mediamente non ce ne rendiamo conto, restando prigionieri dell’inconsapevole. Si resta quindi increduli, sopraffatti da attacchi di panico per non poter più comunicare: gli occhi vagolano alla ricerca di chi ti potrebbe prestare il proprio cellulare per mandare l’ultimo sms, l’ultimo messaggio, mentre i battiti cardiaci aumentano irrimediabilmente. In definitiva, la tecnologia ha reso l’homo sapiens uno ‘schiavo’. È anche vero che la cultura sarebbe la risposta adattiva di un determinato gruppo sociale all’ambiente. Ma essa è dinamica, non statica. Il dinamismo culturale è creato dai meccanismi di costruzione della realtà e dell’ambiente stesso, che provoca una sequenza continua, secondo la quale la risposta culturale modifica l’ambiente, che a sua volta influisce sulla risposta culturale successiva. Nel suo percorso di evoluzione, tecnologica e scientifica, l'umanità si scontra, dunque, con se stessa, arenandosi e chiudendosi nell’introversione, nell'intolleranza, nei propri istinti egoistici, talvolta nella malvagità. Dunque, l'homo sapiens si sta involvendo: è questa la verità? Eppure, ci sono artisti che, liberi dalle restrizioni tecnologiche, usano delle tecniche ‘nate’ o innate. Per esempio, sotto la ‘stella’ dell'astrattismo come visione del cielo e dei colori, pur cercando di mantenere un legame per comunicare con il classico, almeno nei punti di luce dove la comunicazione più ‘antica’ avviene tramite la purezza dell’archetipo primordiale, riuscendo ancora a trasmettere all’uomo sensibile e comprensivo il messaggio classico dell’arte.

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POSEIDONE di Igor Rosset Acrilico e inchiostro - Pinacoteca di Pireau

L’archetipo è dunque quel modello che nelle primitive religioni animiste indicava solo l’energia, la prima formulazione del concetto di Dio. È proprio da questo concetto che si è sviluppato quel sedimento di umanità che si ripropone in continuazione, con l’esigenza della psiche umana di aver bisogno di un essere strapotente e divino. E’ l’archetipo dell’inconscio in comunicazione particolare con la nostra coscienza solo attraverso il sogno, o indotto da specifiche sostanze. Senza tralasciare le origini, la tecnica dell’osservazione del cielo e dei suoi colori, nel rispetto della comunicazione sensoriale, pur mantenendo il legame con l’aspetto classico nei punti di luce, si è imperniata e concatenata in un percorso che porta a una visione ‘optica’, così come alcuni accademici della Grecia moderna hanno riscontrato.

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CITTA' DELLE CITTA' di Igor Rosset - Acrilico e inchiostro 50/70

Alcuni nomi sono quelli di Takis Parlavanzas e Botis Thalassinos: artisti dalle idee ultramoderne, legate alla trasmissione comunicativa dell’archetipo. La tecnica ‘optica’ e quella ‘cinetica’ generano una visione pittorica, attribuita dall’onorevole Alfonso Parisi - già governatore del Rotary club, fondato nel 1905 a Chicago dall’avvocato Paul P. Harris - al maestro Takis Parlavanzas, originario del sud della Grecia, nonché accademico di Atene e Parigi per la scultura e la pittura. Una sua opera, contesa indebitamente da M. K. Dionisio, è esposta innanzi al Museo archeologico regionale di Gela (Tp): una statua di mezza tonnellata in bronzo e alta due metri, che raffigura il poeta tragediografo Eschilos deceduto proprio a Gela nel 456 a. C., noto nelle sue espressioni poetiche tragiche dell'antica Grecia. Ecco perché Takis Parlavanzas, inizialmente ‘nemo propheta in patria’, decise di esporre in Sicilia la sua opera bronzea ammirata a Gela, poiché lì si sviluppò il suo desiderio di consegnare quest’opera, dedicata a Eschilo, al sindaco della cittadina siciliana, in nome della storia del poeta di Eleusi. L’opticismo cinetico è uno studio sulle linee e i colori. Come si faceva per gli obiettivi fotografici, che il maestro di quest’arte pittorica, Takis Parlavanzas, attribuì a un giovane italiano di terra emiliana, il maestro Igor Rosset, poiché ritenne che, dopo le opere del pittore russo Wassily Kandinsky, le creazioni del giovane Rosset fossero all’altezza di competere artisticamente con le opere esposte nella mostra della fine degli anni '80 sui pittori del '900 al Palazzo Grassi di Venezia, dove le linee geometriche e il cielo risultano essere i protagonisti. La nuova forma artistica utilizza energie invisibili, come il magnetismo o l’elettricità nel suo invisibile movimento. Era nata una visione ottica diversa, che pur mantenendo le linee geometriche e il cielo nel rispetto totale della tradizione della luce focale, produce campi luminosi e ombre come nelle opere classiche. Ovvero, esattamente ciò che Kandinsky abolì in più di un'opera, dando forma di luce stellare in più punti, ma perdendo, al contempo, il senso della classicità dell'opera. Igor Rosset rimase sconvolto da questa percezione comunicativa dell’opera di Kandinsky, al punto di voler rielaborare l’opera stessa, riallacciandola al ’classico’. Avendo avuto la possibilità di scambiare alcune idee con grandi maestri e discepoli, Igor Rosset, in questi ultimi anni, si è trovato proiettato in un contesto in cui ha identificato l'arte pittorica e scultorea ai margini del legame della stessa, introducendo motivi cinetici ‘innovativi’ nell’alternanza di bianchi e neri, che sostituiscono le fondamenta dell'arte stessa.

Maestro Rosset, secondo lei che ruolo può avere, oggi, la poesia nell’arte comunicativa tecnologica?
“Non trasformiamola in ideologia: la narrazione dei poeti comporta concetti legati a un vissuto indissolubile, che li proietta verso una crescita costante. Spetta a noi raccontare ciò che il passato ci ha regalato, nel bene e nel male, con una sfumatura che contraddistingue i pittori e gli scultori, ovvero il loro animo”.

Le novità tecnologiche appiattiscono le potenzialità umane, secondo lei?

“Le novità tecnologiche tolgono, a mio parere, l'essenza della manifattura. Mia madre mi disse, un tempo: ‘Tu hai talento, mio  caro Igor. Lo si riconosce dal connubio di idee, mano e animo’. Con quanto detto, spero di aver reso più chiaro possibile la visione del concetto comunicativo dell'arte”.

L’artista
Igor Rosset, proviene da una famiglia di pregiati pittori. Il nonno, Enzo Recalchi e la madre, Gemma Recalchi in arte ‘Reca G.’, sono stati i primi suoi maestri. Influenzato dal realismo del nonno e dal surrealismo della madre, già a 11 anni gioca con i colori. A vent’anni si interessa alle correnti artistiche del ‘900 restando affascinato dal surrealismo kandinskiano, con stupore compiaciuto della madre. A quarant’anni viene notato da Basilio Chalkidiotis, pittore di fama internazionale, discepolo di Salvador Dalí e di Giorgio de Chirico, che ne riconosce il portentoso talento, iniziandolo ad un percorso artistico più profondo. Conosce lo scrittore Tasso Koytsotanashs, uomo di profondi valori che, stupefatto dai dipinti, lo introduce nella realtà artistica del mondo greco. Successivamente, conosce il pittore simbolista di fama internazionale, Panos Papazacos, che lo invita ad abbracciare l’arte greca diventando membro per l’Unesco.

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’SUMERI’ di Igor Rosset – Acrilico 70/100

Diversi quadri del maestro Rosset sono esposti nella pinacoteca  Museo di Parnassos in piazza Georgiou Karytssi, 8 di Athinai, gestito dall’Associazione filologica di Parnassos, tra questi suoi quadri, assume una rilevanza generazionale “Sumeri”, esposto nel salone d’onore accanto alle opere di Takis Parlavanzas.



Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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