La mostra personale di un artista contemporaneo assolutamente da segnalare per la sua riflessione sul ‘bello’, tra corpi geometrici, umori surrealisti e suggestioni metafisiche: un invito disperato ad andare dentro e oltre noi stessi
Nelle scorse settimane, al civico 55 di via Margutta in Roma si è tenuta la personale di Giampiero Abate, un artista contemporaneo attivo nella capitale specializzatosi nella tecnica dell’aerografo e nell’applicazione di software 3D alla pittura. Curata da Alessandra Redaelli e allestita tra splendidi oggetti di design, la piccola mostra ruotava intorno a cinque opere incentrate sulla figura umana, idealizzata e ‘trascesa’ nella pura perfezione dei solidi platonici: il tetraedro, l’esaedro, l’ottaedro, il dodecaedro e l’icosaedro, rispettivamente composti da 4, 6, 8, 12 e 20 facce congruenti. Ispiratosi a certa tradizione rinascimentale – Paolo Uccello, Piero della Francesca, Luca Pacioli o Leonardo – Abate ha condotto una riflessione classica, di ‘policletea memoria’, sul bello, infondendo nelle apollinee proporzioni tra corpi e solidi geometrici, umori surrealisti e suggestioni metafisiche attraverso le moderne tecnologie digitali e la pittura ad acrilico. In un’epoca artistica dalla sensibilità “disturbante, dolorosa e antigraziosa” come quella attuale – la curatrice cita le mosche di Damien Hirst, le incisioni al ventre di Marina Abramovic o ancora il divertito disincanto di Jeff Koons – questo artista avverte l’urgenza di tornare a riflettere sul concetto di bellezza e sul suo perseguimento da parte dell’uomo: le sue opere parlano del drammatico anelito a una dimensione ‘altra’, ignota e irraggiungibile, cui l’uomo cerca di elevarsi. L’umanità smaltata e perfetta, da lui ritratta contro fondali scuri e opprimenti, si torce in pose bloccate come in un’istantanea: un flash improvviso che teatralmente denuncia la disperata necessità di un ordine, di una nuova armonia. Quest’ultima, suggerita dalla presenza sinistramente metafisica dei cinque corpi regolari, perfetti, silenziosi ed eterni. Questi uomini e queste donne, tuttavia, non sono tra noi, non sono reali. Nella loro impersonale perfezione anatomica, costruita asetticamente per mezzo di un software, essi sono nello stesso tempo ‘dentro’ e ‘oltre’ noi: trattasi forse della nostra psiche, da sempre in bilico tra Dioniso e Apollo, passionalità istintiva e ragione, oscurità e aspirazione alla chiarezza? Probabilmente, è così.
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