Arrestato in questi giorni l’artista di Shanghai Dai Jianyong per aver 'photoshoppato' il volto del presidente Xi Jinping: un episodio tra i tanti che la dice lunga sul problema della libertà di espressione
Di recente in Cina l’artista di Shanghai Dai Jianyong è stato arrestato per aver rappresentato il presidente Xi Jinping con il volto ritoccato via Photoshop o deformato in smorfie. In particolare, come informa il gruppo Chinese Human Rights Defenders, sui social media l’artista avrebbe fatto circolare foto in cui Xi sfoggia un paio di baffi o strizza simpaticamente gli occhi al cielo. Come suggerito da Wendy Lin, coordinatore del CHRD di Hong Kong, in Cina il giro di vite sull’espressione artistica è sicuramente peggiorato negli ultimi anni, e la detenzione di Dai dimostra che umorismo e libertà di parola nel paese sono sempre sotto attacco. Ma la censura nel campo artistico è un fatto ormai consolidato e il caso di Dai Jianyong ormai costituisce 'solo' un episodio fra tanti.
La censura nella storia
Già nel Cinquecento, il povero Michelangelo Buonarroti, infatti, fu vittima di tale fenomeno, il quale si innesca quando l'arte, volontariamente o meno, supera i criteri del pudore e dell'oscenità prevalenti in una determinata epoca sfociando nella satira. Il suo celebre e noto Giudizio Universale dipinto nella Cappella Sistina fu, in effetti, ‘mortificato’ da quaranta ‘mutande’ censorie imposte ai nudi: quaranta veli posticci solo in parte tolti dal recente restauro. All’epoca, nel gennaio del 1564, fu la congregazione del Concilio di Trento a decidere di far coprire le parti ritenute oscene. Nel febbraio dello stesso anno, però, Michelangelo venne a mancare e pertanto le cosiddette braghe furono apposte da Daniele da Volterra che per l’occasione si guadagnò il nomignolo di 'Braghettone’. Dopo il caso michelangiolesco della Cappella Sistina ci fu quello, emblematico, di Édouard Manet, forse il pittore più censurato di tutti i tempi. L’amico, scrittore e critico letterario Émile Édouard Zola addirittura si mobilitò per scongiurare la censura della sua Déjeuner sur l’herbe, ma l’opera fu condannata ugualmente perché giudicata indecorosa, trascurata nelle rifiniture, sarcastica e irriverente verso il pubblico. L’opera, inoltre, copiava visibilmente quello che, con altrettanta ostentazione, intendeva ridicolizzare, ossia il dipinto Festa campestre del pittore veneto del Cinquecento, Giorgione. Olympia, altra celebre opera di Manet, introdusse inoltre un soggetto pornografico, una donna moderna svestita per il piacere dello spettatore. Ma Manet non fu di certo un caso isolato, soprattutto fra XIX e XX secolo. Se l’Allegoria della Medicina di Gustav Klimt destinata a decorare l’aula magna dell’università di Vienna fu rifiutata perché incentrata su una donna sopraffatta dalla malattia, anche Marcel Duchamp (il grande ‘provocatore’ del Novecento, colui che prese un gabinetto e lo trasformò in un’opera d’arte, per intenderci) venne ampiamente ‘redarguito’ dalle autorità e censurato a sua volta. Fontaine (denominazione data al celebre ‘pisciatoio duchampiano’), infatti, non è soltanto un semplice orinatoio, né un oggetto, ma un simbolo del principio di legittimazione dell’artista e della propria libertà espressiva sancito dalla regola ‘no jury, no prizes’. Qualcosa che ogni artista dovrebbe avere: l’opportunità di potersi esprimere liberamente senza subire la censura della giuria. Uno strumento, quello censorio, che nel corso del Novecento venne utilizzato da tutti i regimi totalitari, avversi alle opere d’arte d’opposizione e a quelle degenerate. Nel 1937, a Monaco, Hitler inaugurò la mostra Entartete kunst, con seicento opere astratte, cubiste ed espressioniste esposte al pubblico ludibrio e destinate alla distruzione. Alla mostra Bulldozer, tenutasi nel 1974 a Mosca, le opere astratte furono gettate in contenitori di metallo e distrutte, e i visitatori furono allontanati con gli idranti. Stessa violenza nella Cina comunista ove l’opera anonima Goddess of democracy, innalzata in piazza Tienanmen per quattro giorni tra maggio e giugno 1989, fu distrutta dai soldati che aprirono il fuoco sulla folla dei dimostranti che avevano occupato la piazza.
Arte e satira
Da La nona ora di Maurizio Cattelan, con Papa Wojtyla colpito dal meteorite, fino all’ Ultima cena di Alfred Hrdlicka, ritratta come un’orgia omosessuale, in tutta la seconda metà del Novecento l’arte, con diverse declinazioni, si è ripetuta in un medesimo gesto: provocare, rompere l’ordine costituito, anche da un punto di vista sessuale, religioso e politico. E talvolta facendo della ‘satira’ il suo peculiare eloquio, con risvolti anche discutibili e pericolosi soprattutto per i creativi che l’hanno utilizzata. È stato questo il caso di William Hogarth, un artista inglese settecentesco fuori da ogni schema, che iniziò la sua carriera come incisore e finì per fare il vignettista: a lui dobbiamo la prima vignetta satirica-politica nella serie dei quattro quadri intitolati Campagna elettorale, ove i gesti e le espressioni dei personaggi sono accentuati in modo caricaturale per contestare esplicitamente i politici inglesi del tempo. Poi ci fu Honoré Daumier, pittore, scultore, litografo e caricaturista francese, noto soprattutto per le sue vignette di satira politica realizzate con la tecnica litografica. Quest’ultimo collaborò con il giornale ‘La Caricature’, dove nel 1831 pubblicò una caricatura del re Luigi Filippo che, con il nome di Gargantua, divora le risorse del popolo e corrompe i deputati dell'Assemblea Nazionale. Per tale motivo nel febbraio del 1832 venne processato e condannato a sei mesi di carcere e alla multa di 500 franchi. Anche oggi, in molti luoghi del mondo la libertà di espressione e la satira (settori nei quali l’arte può sposare l’informazione) costituiscono una sorta di chimera, un’utopia difficilmente perseguibile. In Malaysia, ad esempio, il governo nel 2007 ha disposto la chiusura per un mese del Makkal Osai, un quotidiano in lingua tamil colpevole di aver pubblicato una vignetta blasfema con Gesù che fuma e beve birra. In Gambia, ancora, è stata di recente varata una legge che infligge pene fino a 15 anni per ‘colui che ritrae con una caricatura le autorità’. Ma la lista non finisce qui. Non possiamo non ricordare il triste episodio di Charlie Hebdo, periodico settimanale satirico francese, vittima nel gennaio scorso di un feroce attentato per la pubblicazione di una vignetta su Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico. Proprio in questi giorni, poi, la storia personale di Atena Farghadani, artista iraniana finita in carcere e destinata forse a due anni di reclusione per aver disegnato una vignetta considerata ‘offensiva’ e ‘ostile’ al governo, induce ulteriormente a riflettere sulle numerose circostanze di ‘arte negata’, delle quali anche fa parte il triste quanto bizzarro caso dell’artista cinese Dai Jianyong.
L'artista cinese Dai Jianyong