Una bella rassegna di Palazzo Braschi in Roma dedicata a una pittrice di grandissimo temperamento, che sta appassionando il pubblico in quanto autentica antesignana dell'affermazione del talento femminile
Per la festa della donna, vorremmo per un attimo lasciare da parte le ipocrisie e le frasi fatte sull’emancipazione femminile e sulla parità dei sessi, che tanto ci fanno sorridere e che sentiamo ripeterci ogni anno come una filastrocca. E provare a ricordare una donna che ha ambìto a quella parità con tutte le sue forze: stiamo parlando di un’artista che ha segnato la storia dell’arte non in quanto donna, bensì perché realmente eccezionale. Una pittrice del seicento a cui, in questi giorni, si sta dedicando una bella rassegna a Palazzo Braschi in Roma: Artemisia Gentileschi. Si tratta di un’artista la cui parabola umana e professionale (lei è vissuta tra il 1593 e il 1653) è stata sicuramente straordinaria. Artemisia era una donna di temperamento: un’antesignana dell'affermazione del talento femminile, in un’epoca in cui per le donne era difficile anche uscire di casa da sole. Artemisia era dotata di un carattere e una volontà fuori dal comune, oltreché di un talento che le consentì sin da giovanissima, giunta a Firenze da Roma, di entrare all'Accademia fiorentina delle Arti e del Disegno. Fu la prima del suo genere a imparare, già adulta, a leggere, a scrivere e a suonare il liuto, dunque a frequentare il mondo culturale. La sua caparbietà e la sua grande forza morale le consentirono di superare le violenze familiari, le difficoltà economiche, di coltivare il suo amore per il nobile Francesco Maria Maringhi, che si dimostrò un fedele compagno di vita. Fu stuprata, Artemisia, come molte donne di ieri e di oggi. Venne violentata da un fedele amico del padre: il pittore Agostino Tassi. Eppure, durante il processo contro di lui, lei resse ‘botta’ facendo del sarcasmo sulla vana promessa di un matrimonio riparatore: un dettaglio che traspare dai documenti d’archivio ricordati nell’esposizione romana, che rimane aperta al pubblico fino al 7 maggio 2017 e che fornisce un'occasione per osservare da vicino capolavori come la famosa ‘Giuditta che taglia la testa a Oloferne’ del museo di Capodimonte. Ma soprattutto, la rassegna romana ci fa conoscere la Artemisia pittrice, perché la Gentileschi dev’essere ricordata non solo per il triste primato di unica artista donna riconosciuta e affermata nella sua epoca, ma soprattutto per la capacità di eguagliare, se non superare, tanti pittori ‘maschi’ del suo tempo. Era in grado di ritrarre le donne come mai nessun uomo avrebbe potuto fare: le sue 'Giuditte vendicatrici', le sue 'Cleopatre', le sue 'Ester', le sue 'Maddalene', le sue sante e le sue dame sono tutte donne di ‘polso’, di carattere, sempre protagoniste e mai spettatrici della propria esistenza. Sono donne senza scrupoli, abituate a ‘sgomitare’ per farsi strada nella vita: anche a uccidere, se necessario. Proprio come lei: ce lo dicono i documenti e le carte emerse dagli archivi, grazie alle quali è stata organizzata la mostra di Palazzo Braschi. Una rassegna che, finalmente, ritrae un’Artemisia diversa: non la solita ragazza sofferente e vilipesa, ma una donna furba, fraudolenta (pare non pagasse i suoi debiti) e appassionata. Perché in fondo, se ci pensiamo, solo in questo modo era possibile essere donne e pittrici nell’epoca in cui ella visse e produsse. Ecco, pertanto, il nostro migliore augurio per la festa dell’8 marzo: che tutte le donne possano trasformarsi quotidianamente nelle eroine ritratte in un dipinto di Artemisia; che possano diventare scaltre, forti, tenaci; in una sola parola: protagoniste della loro vita, senza lasciare la lotta per i loro diritti confinati in una sorta di ‘compleanno’ da ‘soffiare via’, come il fumo evanescente delle candeline.
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