Durante un fresco tramonto romano abbiamo incontrato un interprete importante della ‘Pop Art’, con idee decisamente originali per liberare la fruizione artistica da quel noioso ‘intellettualismo di nicchia’ che esclude le masse da ogni possibilità di crescita culturale
Metti una fresca e splendida serata d'agosto romano, l'accogliente terrazza dell'hotel Otium, un ‘albergo-bomboniera’ a pochi passi da piazza Venezia. Miscela il tutto e aggiungi un'interessante conversazione all'insegna dell'arte: ecco un cocktail dal quale non si può prescindere, soprattutto se l'attore di questa intervista è Massimo Paravani, uno degli interpreti più importanti della nuova 'Pop Art'. Infatti, Paravani ha aggiunto alla corrente artistica figlia degli anni ’60 del secolo scorso, un ingrediente essenziale, che lui ha denominato "cromatismo emozionale", come il titolo della sua mostra che, proprio all'interno dell'hotel, ha presentato qualche giorno fa e che è ancora visionabile. Trattandosi di 'Pop Art', questa stessa intervista, fin dalle prime battute, si è incanalata su binari inconsueti, ma altrettanto interessanti rispetto a quelli canonici. Anzi, a noi è risultata assai più autentica del solito e la pubblichiamo con orgoglio.
Massimo Paravani, quando ha scoperto l'arte?
"Sin dall'infanzia. Amavo disegnare, soprattutto nei pomeriggi estivi, quando il caldo induceva alla ‘pennichella’ tutta la mia famiglia. I miei soggetti preferiti erano, allora, le immagini dei fumetti, oppure le foto tratte dalle riviste, soprattutto i fotoromanzi".
Perché proprio questo tipo di immagini e non la realtà intorno a lei?
"Sa che finora non ci avevo mai pensato? Davo per scontata questa mia attrazione per le immagini dei giornali, perché fisse e immutabili, quindi facili da riprodurre. Ma adesso, ripensandoci, capisco che c'era molto di più del semplice fascino estetico che esercitavano, come l'espressione, la varietà delle inquadrature, il ‘taglio’ particolare della luce che, tutte insieme, mettevano in evidenza il vero, intrinseco carattere del personaggio ritratto, ben al di là della parte che in quella specifica storia interpretava, anche quando era semplicemente una foto di routine, in cui la ‘posa’ davanti all'obiettivo era una ‘maschera’ indossata all'occorrenza".
C'è un personaggio, in particolare, che l'ha colpita?
"Non uno solo, ma diversi, poiché ciascuno ha in sé particolarità che vanno approfondite. Per esempio, una delle prime tele che ho realizzate è stata un Gesù, quello interpretato da Robert Powell nell'omonimo film di Zeffirelli. Dopo ore di lavoro ininterrotto, alle cinque di mattina, il risultato mi ha sorpreso: avevo percepito qualcosa di più di ciò che veniva rappresentato nella pellicola. La vera essenza della figura di Cristo, il ‘nocciolo’ del suo messaggio, la sua personale tragedia erano lì, di fronte a me: ero riuscito a cogliere la sua sofferenza e a farla mia. Quell'esperienza è stata una tappa fondamentale della mia evoluzione artistica: ha apportato, infatti, due modalità nel mio approccio di costruzione dell'opera. Da un lato, l'immedesimazione con il ruolo, pubblico o fittizio, del personaggio ritratto; dall'altro, il tentativo di ricostruire, di cogliere l'autentica personalità dello stesso, che spesso rimane nell'ombra, sconosciuta ai più. Frida Kahlo, Freddie Mercury, Bob Marley, Falcone e Borsellino, Marilyn Monroe, Papa Francesco sono stati alcuni dei soggetti a cui ho rivolto la mia attenzione: ‘tasselli ideali’ di quel grande mosaico che è l'umanità”.
La sua famiglia le ha posto delle difficoltà, ha interferito con le sue scelte professionali?
"Assolutamente no. Mi hanno sempre lasciato libero di scegliere cosa fare e come farlo, garantendomi il loro apporto anche nei momenti di difficoltà che, ovviamente, non sono mancati. Una fiducia incondizionata, che ha contribuito in modo sostanziale a farmi proseguire nella strada intrapresa”.
Cosa pensa dell'arte contemporanea?
"Trovo che ci sia un problema di base: essa viene presentata in maniera troppo formale, seria, ‘ingessata’. In una parola: noiosa. Gli addetti ai lavori, credendo di fare il bene dell'arte, in realtà la danneggiano, rendendola un'esperienza di ‘nicchia’, riservata a pochi eletti, chiudendola nei recinti intellettuali. Io vorrei, invece, che fosse fruibile a tutti, divenendo un fenomeno realmente popolare, magari affidandosi a figure paragonabili alle star della musica o del cinema, ‘peinture star’ che abbiano nell'arte lo stesso compito divulgativo e promozionale”.
Una visione veramente rivoluzionaria la sua...
"Direi inevitabile: io vengo da una zona estremamente popolare di Roma e, credetemi, se chiedessi a una persona che vi abita di venire a una mostra la risposta sarebbe, inevitabilmente, molto colorita. Questo non dovrebbe accadere: è un danno per l'arte e per la stessa persona, che si ritrova ‘tagliata fuori’ dalla possibilità di crescere culturalmente, perdendo tutte quelle sensazioni ed emozioni che solo l'arte può dare. Credo che sia compito nostro, di noi addetti ai lavori intendo, quello di avvicinare le persone, di qualsiasi livello sociale e culturale, allo splendido universo artistico”.
Una missione?
"Nel mio piccolo, sì: sto combattendo una vera e propria ‘guerra’ per portare avanti questa mia visione. Ne è prova tangibile la scelta di portare le mie mostre in ambienti diversi da quelli tradizionali come, per esempio, negli hotel, nei bistrot o nei cocktail bar, al fine di esaltare questa nuova funzione ‘democratica’ pur non tralasciando, in futuro, di tornare alle ‘locations’ più tradizionali, magari adattandole ai miei peculiari concetti”.
Cosa pensa degli attuali circuiti commerciali?
"Trovo che, oggi, la funzione del gallerista ‘normale’ si sia troppo adattata a una semplificazione che la priva della sua valenza originale. Il gallerista di una volta era, anche e soprattutto, uno scopritore di talenti. La sua competenza travalicava totalmente dalla mera ‘messa in scena’ di una semplice mostra. Aveva un compito quasi ‘sacerdotale’: una ‘vocazione’ aderente agli scopi propri dell'arte, tra cui la volontà di elevazione spirituale. Recuperare questa originale funzione, adattarla ai tempi, significherebbe salvarla da un’obsolescenza sempre in agguato. Rispetto al passato, invece, gli artisti mostrano dinamiche nuove, servendosi di mezzi più ‘democratici’ per mostrare le proprie opere, liberalizzando, di fatto, il mercato ed eliminando pastoie divenute troppo strette e soffocanti”.
Grazie per il tempo che ci ha concesso: a quando la prossima mostra?
"Grazie a voi per lo spazio che mi avete dedicato e per la possibilità di esporre senza vincoli il mio pensiero. Sono in trattative con un bel locale, che possiede tutte le caratteristiche che desidero e spero di poter esordire a settembre. Se vi fa piacere, vi informerò in tempo utile”.
QUI SOPRA: 'ESTASI'
AL CENTRO: 'IL BACIO DEL SOLE'
IN ALTO: 'CHIC'
FOTO D'APERTURA: L'ARTISTA MASSIMO PARAVANI