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29 Marzo 2024

Materia ed estasi

di Arianna De Simone
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Inaugurata in questi giorni alla Galleria Fidia di Roma una mostra dedicata al tema della nuvola intesa come eterno divenire del reale: una serie di lavori degli artisti Flavio Tiberio Petricca e Alessandra Cagnazzo apparentemente molto distanti per approccio, stile e presupposti culturali, ma ben armonizzati tra loro in una compatibilità artistica sorprendente

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Lo scorso 30 ottobre, presso la Galleria Fidia di Roma, sita in via Angelo Brunetti n. 49, è stata inaugurata un’interessante mostra d’arte – visitabile sino al 28 novembre p. v. - fascinosamente intitolata: ‘Materia ed estasi’. Per saperne di più, ‘Periodico italiano magazine’ ha intervistato la curatrice e storica dell’arte, Serena Di Giovanni, insieme ai due autori delle opere esposte: la fotografa Alessandra Cagnazzo e l’artista Flavio Tiberio Petricca. Da quest’incontro è nato un bel dibattito: una suggestiva ‘polifonia’ a quattro voci che riportiamo qui di seguito.   
    
Serena, Flavio e Alessandra, cominciamo dal titolo della mostra: perché ‘Materia ed estasi’?
Serena Di Giovanni: “La mostra è strutturata su due livelli: da una parte la materia, suggerita dalle opere materiche, sensuali, ‘tattili’ di Flavio Tiberio Petricca; dall’altra, l’estasi generata dalla contemplazione della materia medesima e delle sue forme mutevoli, apprezzabile, in particolare, nelle nuvole astratte e intangibili di Alessandra Cagnazzo. Volevamo dare l’idea di questa polarità, di questo duplice aspetto”.
Flavio Tiberio Petricca: “In pratica, io sono il San Tommaso della situazione”.
Alessandra Cagnazzo: “In effetti, fra me e Flavio c’è stato, sin dall’inizio del progetto, un dialogo inconscio, una forza ispiratrice che ci ha portati a questa ‘conversazione espressiva’, che Serena Di Giovanni ha saputo captare e sintetizzare nel suo ‘Materia ed estasi’ con grande sensibilità”.

Il ‘fil rouge’ della rassegna, le nuvole e la loro mutevolezza: in quale modo avete affrontato questo soggetto?
Alessandra Cagnazzo: “Ho sempre riflettuto, attraverso i miei scatti, sulla mutevolezza del cielo e delle sue creature. La mia produzione fotografica ha attraversato vari momenti di riflessione e approfondimento di questo magnifico soggetto, anche in virtù di mie proiezioni. In fondo, questo sono le nuvole: la materializzazione del cercare umano, la ricerca di risposte a ciò che muove l'anima”.
Serena Di Giovanni: “Alessandra e Flavio sono due artisti completamente diversi, sia per il medium utilizzato, sia per il modo di declinare il concetto di nuvola. Le nuvole di Flavio sono tattili e tangibili. C’è quasi un ossimoro insito in quest’espressione: dire che una nuvola è ‘tattile’, richiamare il senso del contatto, la sensazione aptica del tocco, è un qualcosa che va oltre la nostra percezione della nuvola, eterea e intangibile. Le nuvole di Flavio possiedono una carnalità e una sensualità caratteristica della materia utilizzataLa_Nuvola_di_Petricca.jpg: materiali industriali, per lo più, che fingono forme organiche e trasmettono un senso sinestetico di compenetrazione percettiva di più sensi, dal tatto alla vista, fino all’olfatto. La nuvola, in questo caso, funziona come soggetto di partenza, dal quale poi approdare a forme completamente diverse”.

Tuttavia, i lavori di Flavio si distinguono per la spiccata qualità gestuale e materica: quali sono stati i tuoi modelli?
Flavio Tiberio Petricca: “Rispetto a lavori tradizionalmente dipinti o disegnati, le opere ‘materiche’ mi hanno sempre appassionato e attratto, a cominciare dai graffi sui ‘menhir’. Le prime opere d’arte che hanno attirato, inequivocabilmente, la mia attenzione, anche quando esclusivamente dipinte, possedevano un gioco di luce e un colore pastoso, che accompagnavano le figure fino quasi a scolpirle plasticamente. Come non amare, poi, la sensualità, la vividezza, la teatralità di artisti quali Tiepolo, Rubens o Luca Giordano, sinuosi e orgiastici? Come non restare folgorati dalle carni del Bernini o dalle pennellate dense e grasse di Rembrandt? Non saprei davvero quali autori o quali opere abbiano, nello specifico, alimentato la mia sensibilità estetica, poiché nella Storia dell’arte non c’è cosa che non ami o che trovi fuori luogo”.
Serena Di Giovanni: “Secondo me, Flavio risulta influenzato dalla cultura barocca del seicento, coniugata con la sua attenzione al tattile”.
Alessandra Cagnazzo: “Per parte mia, nelle opere di Flavio vedo autenticità, come autentico è lui: un artista che non ama parlare di sé, per pudore e riservatezza. Ho la sensazione che le sue nuvole fuggano la materia di cui sono fatte, come in un movimento eolico, tendente alla dissoluzione per poi raggiungere l’estasi”.

E Alessandra, invece? Come hai affrontato il tema della nuvola?
Alessandra Cagnazzo: “Ho semplicemente aspettato l’idea, giunta improvvisamente come accade, in genere, in ogni momento creativo. Le mie ‘nuvole pop’ sono i ricordi che mi accompagnano, i momenti della mia vita che non voglio dimenticare, che mi serve tener presenti per guardare al futuro con ottimismo, ma anche con la giusta consapevolezza”.
Serena Di Giovanni: “Le nuvole di Alessandra sono completamente diverse: la Cagnazzo lavora sui concetti di tempo e di memoria. La nuvola viene ripresa dall’obiettivo fotografico – c’è, perciò, una riproposizione della realtà ‘hic et nunc’, così come la vediamo... – e con il suo lento mutare riesce a trasmetterci l’idea del tempo che scorre. D’altra parte, però, la sua arte si lega anche al concetto di memoria, che porta con sé tutta una dimensione onirica, per la quale noi, in una forma assunta dalla nuvola, possiamo rivedere, in base al nostro vissuto, alla nostra memoria e al nostro modo di percepirla, forme diverse. Sostanzialmente, la Cagnazzo va a lavorare più sull’aspetto percettivo ed estetico della nuvola, sulla visione e sulla percezione di quella forma da parte del fruitore. Flavio, invece, più sull’aspetto aptico, tattile e materico del soggetto”.
Flavio Tiberio Petricca: “E’ indubbiamente vero che, da qualche anno ormai, la mia mente è focalizzata su un tema ben specifico. Cresciuto accanto a una persona non vedente, oltre ad aver subito il fascino sinuoso e irresistibile della materia in generale, ho sviluppato una particolare sensibilità verso alcuni ‘dislivelli’ percettivi e mi sono interrogato su come porvi rimedio: d’improvviso, è diventato di prioritaria importanza portare al tatto ciò che era tangibile solo per lo sguardo. Tutti, per esempio, osserviamo il tramonto, che al di là di una visione romantica conosciamo come un momento ben determinato della giornata, governata dalla luce. Se solo per un attimo ci calassimo nei panni di chi questa banale constatazione non può farla, si aprirebbe un mondo di vuoti. Spesso, si pensa che un’opera nasca esclusivamente da un impulso interno e poco chiaro, mal definito: spesso è così. Ma un’opera può anche esser frutto di un sentimento ben decodificato e canalizzato. Da qui, alcune mie serie mirate a riempire dislivelli naturali; il sole che batte sui petali di un fiore; i riflessi galleggianti sulla superficie dell’acqua; una nuvola appunto. Una sorta di ‘alto e bassorilievi’ composti da materiali particolarmente evocativi, per raccontarli”.
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Le tue parole ci hanno incuriosito, Alessandra: puoi illustrarci la serie di fotografie che hai suggestivamente intitolato: ‘Si può ricordare una nuvola’? E voi? Cosa ne pensate?
Alessandra Cagnazzo: “Per questa serie, l’ispirazione è venuta da alcuni versi di Guy De Maupassant, nei quali il poeta paragona la nuvola al ricordo di un amore passato. Sono molto suggestivi, raccontano le fasi di un sentimento amoroso e recitano: ‘Il bacio colpisce come una folgore, l’amore passa come un temporale, poi la vita torna a calmarsi come il cielo e ricomincia come prima. Si può ricordare una nuvola’? Io ho cercato la risposta e l’ho trovata in modo progressivo, inconscio. Le mie nuvole sono ricordi. Non solo i ricordi di un amore passato: in quel caso sarebbero ben poche, le ‘mie’ nuvole. Ma esse rappresentano ciò che è conservato nella nostra mente e nel nostro cuore, ciò che resta intorno a noi, nel cielo delle nostre memorie. Le vediamo ‘ballare’ in aria come nuvolette allegre, vivaci, piccole e leggere su colori accesi, solari, oppure su colori tenui e distesi o, al contrario, muoversi lentamente come grandi ‘nuvoloni’ cupi, pesanti, su cieli grigi: ciascuna di esse è legata a un ricordo, a un incontro, a un viaggio, a una persona, un sentimento del nostro vissuto”.
Serena Di Giovanni: “Io penso che il titolo della serie sia azzeccatissimo. E che il riferimento a Maupassant abbia un senso per la ricerca artistica che Alessandra sta conducendo: una sorta di impressionismo in chiave ‘pop’...”.

Entriamo adesso nel vivo della téchne: quali materiali hai utilizzato, Flavio? E come li hai manipolati per evocare la leggerezza delle nuvole?
Flavio Tiberio Petricca: “Iniziai a realizzare ‘Nuvole’ molto tempo fa, utilizzando in primo luogo il ‘dacron’ (l’imbottitura trasparente dei cuscini, ndr). Questo materiale consentiva di rendere l’impalpabilità della nuvola attraverso un’opera attaccata alla parete. Col tempo, ho imparato a ‘sporcarlo’ e appesantirlo, per approdare poi al silicone, grazie al quale la nuvola, finalmente, risulta pesante, concreta, tangibile al tatto: per l’appunto, ‘tattile’. La poesia che ne viene è, infatti, il frutto di un paradosso tra fantasia e osservazione del reale”.
Serena Di Giovanni: “Flavio ha la capacità di trasformare i materiali industriali in opere organiche. La sua sperimentazione tecnica mi ha sempre affascinato: la trovo il vero punto di forza del suo lavoro. La leggerezza, in questo caso, più che dalla materia è suggerita dal candore delle tinte chiare, che caratterizzano molti dei suoi ‘quadri scultorei’...”.
Alessandra Cagnazzo: “La prima volta che vidi un’opera di Flavio stavo attraversando, assieme a un amico, la Passeggiata di Ripetta: quel magnifico viale che racchiude uno dei più noti quartieri del centro di Roma, conosciuto per la sua tradizionale vocazione ad accogliere artisti, sede peraltro della storica Galleria Fidia che, oggi, ospita la nostra ‘Materia ed estasi’. Si trattava di una delle sue opere in silicone nero, bellissima. Mi interrogai a lungo su chi potesse esserne l’autore. Abbandonata lì, incustodita, senza alcuna indicazione, quell’opera mi catturò moltissimo. Penso che quest’immagine racconti l’arte di Flavio Petricca nella sua più intima essenza”.


E tu, Alessandra, che tipo di luce hai scelto per i tuoi ‘scatti’? E come sei intervenuta in post-produzione?
Alessandra Cagnazzo: “Ho scelto la prima luce pomeridiana, quando il ‘dopo-tempesta’ rompe le nuvole e le frammenta in gruppi di ‘cluster’ che sembrano prendere vita propria, dove le forme si allungano e si arrotondano in viaggi individuali, come se volessero prendere la scena. Secondo gli antichi, ciò che l'uomo condivide con il cielo si chiama verità. E, ancora oggi, le proiezioni umane lo guardano perché ogni forma naturale può accoglierle. Quanto alla post-produzione, essa si è limitata a interpretare il cromatismo del cielo – questo ‘grembo’ che accoglie il tutto – secondo canoni contemporanei, minimalisti, che mantengano la naturalità del sentire, senza orpelli o manipolazioni”.
Flavio Tiberio Petricca: “Chissà quanto si sarà divertita la Cagnazzo a mettersi nei panni di Dio e a colorare il cielo secondo capriccio...”.
Serena Di Giovanni: “Sottoscrivo quanto detto da Alessandra: le sue nuvole materializzano i nostri sogni più inconsci”.

In sintesi, cosa vi affascina delle nuvole? E con quale termine le descrivereste?
Alessandra Cagnazzo: “Ciò che mi affascina delle nuvole è la loro multiformità: il loro adattarsi alle circostanze dello spazio e del tempo e, dunque, a noi, alla nostra immaginazione, al nostro sentire più profondo e più vero. Il bianco, l’azzurro, il vento che le anima. Pertanto, il termine tramite il quale le descriverei è ‘leggerezza’: questo profondo senso di leggerezza nell’aria”.
Flavio Tiberio Petricca: “Io, invece, non sceglierei un termine preciso, ma un’immagine: hai presente quando d’inverno il nostro respiro, prodotto dalle narici o dalla bocca, appanna il vetro? Come lo chiameresti? Non viene istintivamente voglia di passarci le dita dentro”?

Siete orgogliosi del lavoro svolto, nonostante le difficoltà dovute alla ‘seconda ondata’ del Covid 19?
Flavio Tiberio Petricca: “Sì, perché ho avuto l’impressione di reagire nel giusto modo alla pandemia, che sembra sfidarci subdolamente ogni giorno”.
Alessandra Cagnazzo: “Inserire la realizzazione di questa serie fotografica, dare vita a queste immagini, che ritraggono nuvole luminose su ‘cieli pop’ all’interno della drammatica cornice storica che stiamo attraversando, ha rappresentato per me l’esplosione di tutte le contraddizioni. Una reazione necessaria e vitale alla paura che ‘morde i piedi’ e che rischiava di creare una distanza eccessiva fra me e il mio bisogno di leggerezza, fra me e la mia connaturata vitale spensieratezza”.
Serena Di Giovanni: "Io sono assolutamente soddisfatta. La mostra, sotto il profilo curatoriale e organizzativo, è il frutto della collaborazione sinergica di quattro donne: per la precisione, due storiche dell'arte e due architette. Senza il fondamentale apporto delle ‘co-curatrici’ Donatella Pinocci, Alessandra Libonati e Veronica Proietti, impegnate particolarmente nell'allestimento della galleria, nella comunicazione e nella gestione degli aspetti tecnici relativi alla sicurezza, l'attuazione di questo progetto sarebbe stata impensabile, vista anche l'emergenza epidemiologica in corso. Mi preme dirlo, soprattutto in un momento in cui viene ribadita la necessità di un distanziamento fisico e sociale, che non deve, però, intaccare la promozione della cultura: si può continuare a lavorare insieme anche a distanza. E mi preme, soprattutto, ringraziare Fausto Fiume, che come al solito ci ha aperto le porte di ‘casa’ - la Galleria Fidia - credendo nel nostro progetto curatoriale e promuovendo l'arte contemporanea, nonostante tutte le difficoltà del caso. Non è un momento semplice. Ma resto fermamente convinta che la cultura non possa e non debba fermarsi. E che dobbiamo continuare a progettare per il futuro e promuovere l'arte contemporanea utilizzando tutti i mezzi a disposizione affinché ciò avvenga in sicurezza”.
 
Un’ultima domanda alla curatrice: secondo lei, cosa accomuna i due artisti?
Serena Di Giovanni: “I due artisti sembrano apparentemente agli antipodi, ma in realtà entrambi prendono spunto dal dato ‘reale’ per manipolarlo. Nel caso di Alessandra, c’è un’adesione alla realtà ancora più puntuale, poiché la ritrae e poi la modifica. Il suo è un ‘taglio’ quasi ‘neoimpressionista’: riporta la realtà così com’è, scatta la foto a una nuvola in un determinato momento e, un secondo dopo, ne scatta un’altra, così da mettere in luce le differenze impercettibili che danno l’idea di una scansione temporale di due istanti diversi. È sempre il dato reale, oggettivo, quello che viene colto dallo sguardo della fotografa. Per Flavio, accade più o meno la stessa cosa: parte sempre dal dato reale, per trascenderlo. Quindi, da parte di entrambi gli artisti c’è un’adesione alla realtà che viene ‘trasmutata’ in forme concettuali, astratte, organiche. L’elemento organico è sempre presente in entrambe le produzioni. E questo è ciò che, secondo me, accomuna la ricerca dei questi due artisti”.
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QUI SOPRA: FLAVIO PETRICCA E LA COCURATRICE, ALESSANDRA LIBONATI, DURANTE L'ALLESTIMENTO

NELLE DUE FOTO AL CENTRO: LA SERIE FOTOGRAFICA DELLA CAGNAZZO E LA NUVOLA DI PETRICCA

IN APERTURA: LA BROSSURE-INVITO ALLA MOSTRA 'MATERIA ED ESTASI'


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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