Nove artisti italiani hanno raccontato la Repubblica turca - in una mostra collettiva svoltasi a Roma nelle scorse settimane - ritraendo la dimensione dinamica di un Paese che, seppur proiettato nel futuro, conserva tutta la forza della memoria e del rispetto della propria cultura, delle proprie tradizioni
Quella raccontata per immagini alla mostra collettiva “Permanenze - Appunti di viaggio e di paesaggio in Turchia”, è la Turchia che rimane nel cuore, quella ‘tatuata’ sotto la pelle e che resta impressa in un ricordo indelebile, nell’animo di chi la visita. A testimoniarlo sono stati nove artisti italiani con le loro 17 opere: esperienze fissate su pellicola, disegnate su tela o scolpite sulla pietra che descrivono il contatto con una cultura e un popolo intrisi di storia, di tradizioni, di paesaggi incredibilmente suggestivi e di una natura varia, mutevole e multiforme.
La mostra si è svolta a Roma, dal 23 ottobre al 22 novembre, all’interno dello spazio espositivo dell’Ufficio Cultura e Informazioni dell’Ambasciata di Turchia (sotto i portici di Piazza della Repubblica). Nel cuore della Capitale l’Italia ha incontrato la Turchia: attraverso l’evocazione di suoni, luci, colori, profumi, scorci di vita, rituali, utensili e celebrazioni soggettivamente interpretati e intimamente descritti dal personale ‘sentire’ di ogni artista. Sabrina Carletti, Lucia Ciaccia, Ugo Cossu, Valerio De Filippis, Massimo Franchi, Pasquale Nero Galante, Giancarlo Montuschi, Claudio Orlandi e Antonio Taschini hanno rappresentato la loro visione del paese mediante il resoconto delle sensazioni di cui sono rimasti permeati. Permanenza è, quindi, un’idea primordiale, una suggestione che ha già filtrato l’esperienza reale del soggiorno fisico ed è diventata permanenza ideale, mentale, quasi metafisica. È la summa di tutti i ricordi, delle sensazioni e delle emozioni vissute, fissate in un unico istante.
Come è facilmente intuibile, la mostra - curata da Angelo Andriuolo e da Francesco Giulio Farachi era estremamente variegata, perché, ovviamente, differenti sono le sensibilità degli artisti e, conseguentemente, delle opere proposte. Ma per quanto, dal punto di vista puramente estetico, la collezione abbia differito nei toni e nelle interpretazioni personali del tema ‘Turchia’, diversi elementi hanno concorso a formare una visione d’insieme unitaria: il senso dell’avventura, della scoperta di tradizioni e di luoghi incantevoli e della meraviglia, determinati da un viaggio che trascende la fisicità e diventa magia, mistero, stupore e incanto; la dimensione dinamica di un Paese che, seppur proiettato nel futuro, conserva tutta la forza della memoria e del rispetto della propria cultura, delle proprie tradizioni e del proprio passato. Un Paese che, da sempre, è stato al centro dei rapporti commerciali fra civiltà molto diverse e distanti tra loro, ergendosi anche a tramite culturale tra le diverse comunità sociali con le quali, in secoli di storia, ha intessuto relazioni.Ma cosa rappresenta la Turchia per chi l’ha ‘vissuta’ e ne custodisce l’esperienza, conservandone i ricordi? Lo abbiamo chiesto ad uno dei due curatori della mostra, Angelo Andriuolo e a uno degli artisti, Pasquale Nero Galante.
Quale apetto della vita di questo popolo ha attitato la tua curiosità?
Angelo Andriuolo: “Della Turchia, oltre i paesaggi mozzafiato e una natura incantevole, mi ha colpito la vivacità delle persone. Il popolo turco è sempre allegro e sorridente e sempre disponibile verso gli altri. Soprattutto nei confronti degli italiani, verso i quali nutrono una particolare simpatia”.
Pasquale Nero Galante: “In Turchia sopravvive ancora una ‘pratica’, alla base del vivere quotidiano, che un tempo esisteva anche in Italia, ma che oggi è completamente scomparsa. Mi riferisco alla ‘trattazione’ dei prezzi, che avviene comunemente nei bazar e nei mercati. Mercanteggiare sul prezzo di un prodotto, oltre a essere un fattore del tutto normale, è vissuto da questo popolo come momento di conversazione, di conoscenza e di scambio di idee. Il rapporto umano è fondamentale in questo Paese. E passa anche attraverso la disputa del prezzo delle merci. Questo aspetto ‘associativo’ del loro vivere quotidiano l’ho trovato molto interessante”.
Qual è la condizione dell’individuo turco?
Pasquale Nero Galante: "I turchi sono molto legati alla tradizione e a un contesto in cui devono poter avvertire la presenza di loro stessi. Sono molto consapevoli del loro potenziale e delle loro capacità. Conoscono il proprio valore e sanno, quindi, ciò che potrebbero dare, in termini di contributo, alla società. Tra l'altro, si tratta di una popolazione molto giovane e, di conseguenza, molto forte in termini di energia".
Angelo Andriuolo: ”Infatti, una popolazione costituita prevalentemente da giovani è maggiormente cosciente, in generale, del proprio valore e della propria forza intellettuale. Percepisce e abbraccia la necessità di rinnovamento, ma con un fermento che non abbandona, lungo la scia della modernità, i valori fondamentali e pregnanti della propria civiltà. Il moderno viene perciò percorso attraverso la rivisitazione e il recupero del passato. Un recupero che ha ‘un occhio di riguardo’ verso gli ambiti della cultura e delle arti, come testimonia, per esempio, la grande scuola di lavorazione della ceramica, che in Turchia si studia all’Accademia delle Belle Arti”.
Quali sono, secondo voi, le principali differenze con la nostra cultura?
Angelo Andriuolo: “In Italia abbiamo tradizioni millenarie, che, oggi, potrebbero contribuire alla diversificazione dell’offerta di prodotti e a un maggiore ‘scambio’ sociale. Con il tempo, queste tradizioni sono state ‘abbandonate’ in virtù dell’omologazione ai canoni della cosiddetta cultura occidentale. Credo che tutto ciò ci abbia ‘impoveriti’ e portati a una sorta di confusione culturale, a una perdita di identità. Come se avessimo dissipato la nostra energia”.
Pasquale Nero Galante: “In Turchia ho respirato una forte energia che, come una sorta di contagio, viene trasmessa anche agli altri. Infatti, le volte che ho soggiornato in questo Paese, mi sono davvero rigenerato. Un ricaricarsi che si nota ancor di più se si paragona lo stile di vita dei turchi rispetto alla nostra ‘decadenza’ e al nostro ormai fatiscente modo di vedere e vivere le cose. La gioventù di un popolo ne determina la dinamicità e, di conseguenza, la disponibilità verso il cambiamento. In Turchia si abbraccia la parte migliore del nuovo e dell’innovazione, senza dimenticare le origini e senza distacco, quindi, dal vecchio, dalla tradizione. Il nuovo è vissuto in ottica di recupero e di convivenza con il passato. Non si tratta di due filosofie in antitesi tra di loro, ma di una equilibrata e sana convivenza di due mondi confluiti l’uno nell’altro. La tradizione rende forti. E i giovani turchi lo sanno bene. Il terreno sul quale costruiscono il loro futuro è denso di storia, di memoria, di gesta memorabili. Rinnegarlo equivarrebbe a rinnegare se stessi”.
In che direzione sta andando la Turchia?
Angelo Andriuolo: “È un Paese molto forte. E questa sua forza è determinata dall’unità, dalla giovinezza e dalla coesione di un popolo con uno spiccato senso di identità nazionale. Un Paese in cui si sono sempre ‘respirate’ arie diverse, ma che è riuscito a mantenere intatti e inalterati alcuni valori fondamentali. Il nuovo, il moderno e il diverso non sono ricacciati all'indietro, ma vengono filtrati secondo le nuove esigenze culturali e assorbiti dalla tradizione”.
Pasquale Nero Galante: “La Turchia è stata, da sempre, il ‘cuore’ del Mediterraneo. Il punto di ‘mezzo’ tra culture molto distanti tra loro. Non a metà tra una cultura di stampo occidentale e una orientale, ma proprio fisicamente in mezzo tra le due. Senza che l’una o l’altra abbia mai preso il sopravvento. Questo crocevia ha permesso al Paese di respirare e conoscere più mondi. E la conoscenza è indice di apertura e di propensione nei confronti degli altri. Ma i turchi sono anche molto patriottici e nazionalisti e non amano essere confusi con nessun altro popolo. In Italia non si incontrano, per strada, persone che indossano magliette con la stampa della bandiera del Paese. In Turchia si. Perché sono coscienti del loro valore e della forza dell’unità di una nazione”.
Infine, concludiamo con una domanda rivolta solo a Pasquale Nero Galante, il quale ci ha particolarmente incuriositi perché è stato il solo, tra tutti gli artisti che hanno esposto le loro opere alla mostra, che ha dato un’interpretazione della Turchia attraverso l’uso di colori molto scuri e del nero, in particolare. Tutte e due le tele che portano la sua firma, incentrate solo sulla città di Istanbul, luogo maggiormente vissuto, conosciuto e prediletto della ‘sua’ Turchia, sono, infatti, realizzate in tonalità brune.
Pasquale, a quale esigenza artistica ha risposto la tua scelta di utilizzare colori scuri, nella rappresentazione ‘sentimentale’ della Turchia, in contrapposizione con le tonalità più chiare e sgargianti utilizzate invece dai tuoi colleghi?
“Ho una concezione del nero dissociata dall’idea che questo debba corrispondere a una prassi sentimentale o emotiva del colore. Nella mia scelta non vi è, quindi, assonanza con la volontà di rievocare un luogo cupo. Si deve intendere il nero nella sua veste originaria, cioè la summa di tutti i colori. Le atmosfere, le luci, i colori dei paesaggi e tutte le tonalità che ho ‘respirato’ in Turchia, sono riassunte nel nero, colore in cui confluiscono tutti i colori. Scelta che ha risposto a una precisa esigenza, tipica della mia arte, che non si pone come ‘rappresentazione’ reale, descrittiva del mondo da me osservato e riprodotto, ma come ‘suggestiva’ ed emozionale. Quindi, se il nero effettivamente evoca, da una parte, l’aria poco tersa che si osserva a Istanbul, dall’altra è pura suggestione emotiva, è il compendio di esperienze vissute, profumi, paesaggi e incontri che restano scolpiti in una visione sfumata. È, inoltre, testimonianza di nostalgia e malinconia per un luogo magico e indimenticabile”.