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24 Novembre 2024

Rinascere dalla bellezza

di Carla De Leo – cdeleo@periodicoitalianomagazine.it
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Rinascere dalla bellezza

Si è svolta nelle scorse settimane, al MAXXI di Roma, l’esposizione fotografica e olografica che ha raccontato il percorso di salvaguardia, tutela e restauro del patrimonio artistico iracheno: un risultato tutto italiano, conforme alla convinzione che salvare la cultura di un popolo equivale a preservarne l’identità

Partiamo dal titolo di questa interessante esposizione 'Rinascere dalla bellezza', che di per sé già molto racconta della storia di questo viaggio alla scoperta dei tesori tutelati, restaurati e salvaguardati in Iraq dall’Italia. L’idea di intitolarla in questo modo è nata  quando il dottor Spinelli, curatore della mostra, si è imbattuto in un gruppo di bambini che giocavano vicino a dei resti archeologici, in un punto impervio e lontano dalla città più vicina. Alla domanda: “Come mai avete deciso di giocare in questo luogo invece che in un campo di calcio o sulle rive del fiume?”, i bambini hanno risposto: “Perché qui troviamo la bellezza”. Restituire, pertanto, la bellezza, ovvero il patrimonio artistico e culturale a quei popoli i cui tesori sono stati trafugati o distrutti, significa restituire loro la loro storia e tradizioni. In due parole: la propria identità e il proprio futuro. Ed è questo il ‘filo rosso’ che unisce il lavoro recentemente ospitato al MAXXI di Roma, che ha avuto come protagonista la storia della passione dei nostri archeologi, ricercatori e restauratori impegnati nell’attività di ricognizione, preservazione e recupero del patrimonio artistico iracheno. Forti della convinzione che salvare l’arte dei diversi popoli significa preservare un tratto fondamentale della ricchezza culturale, che si nutre di pluralità e diversità. Dunque, non una vera e propria mostra, ma un racconto. Una narrazione che si è avvalsa della tecnologia più all’avanguardia e che, attraverso la presentazione multimediale, è risultato di grande impatto emotivo. Un percorso audio-visivo immerso in un ambiente raccolto e intimo, reso suggestivo e penetrante dal dosaggio ‘caldo’ delle luci e della musica avvolgente, che hanno fatto da incipit e integrato l’esposizione vera e propria: raccolte fotografiche ad altissima risoluzione, proiezioni in 3D e ologrammi, il tutto funzionale alla narrazione del lavoro svolto dai nostri esperti che, con tecnologie e strumenti estremamente sofisticati, sono andati in giro per città, luoghi e siti archeologici iracheni distrutti e martoriati dalla ferita della guerra, con l’obiettivo e la speranza di ricostruire ciò che la furia umana aveva distrutto.
All’interno dello spazio espositivo abbiamo potuto ammirare: l’ologramma a grandezza naturale del vaso di Warka (3200 a.C.), distrutto nel 2003 durante i bombardamenti subiti dal museo di Baghdad (oggi restaurato dall’Italia ed esposto sempre nel museo di origine); una videoanimazione tratta da immagini satellitari di Mosul, per la mappatura e l’analisi dei beni storico-artistici e dei danni provocati dall’occupazione del Daesh; un ambiente in 3D del sito archeologico di Ur e la ricostruzione degli interventi svolti dalla cooperazione italiana; un ambiente in 3D di quattro bassorilievi di Maltai nella provincia di Duhok e la ricostruzione degli interventi svolti; un ambiente in 3D della casa di Rashid Agha nell’antica cittadella di Erbil (un’opera architettonica di grande suggestione in quanto spazio privato e segno quotidiano della vitalità culturale della regione, al di là della religione e della politica); l’ologramma in scala del Leone in terracotta di Tell Harmal; un ambiente in 3D del busto riscoperto di Narseh.    
La grande potenzialità di questo racconto risiede, quindi, nell’evocazione dell’inizio di quella civiltà: una storia di speranza (e non solo per il recupero del patrimonio), perché ogni recupero è un segno di rinascita civile e sociale. Un punto molto importante perché una delle aspirazioni dell’Italia è quella di aiutare i popoli che si sono trovati in difficoltà (a prescindere dalla natura della crisi: sociale, ambientale, politica) a rinascere, riconnettendoli con le loro tradizioni culturali e permettendo loro di ritrovare l’esperienza della bellezza. Un’operazione che mentre, da un lato, aiuta a preservare l’identità di un popolo (contrastando chi voglia eliminare la ricchezza della bellezza e della diversità), dall’altro facilita le possibilità di sviluppo e di futuro dello stesso. In che modo? Basti pensare che attraverso l’attività svolta dalle varie equipe di esperti inviate sul territorio non ci si limita soltanto al recupero del tesoro artistico distrutto: lo stretto contatto con la popolazione locale favorisce, parallelamente, il trasferimento e la diffusione di nozioni e conoscenze. In questo caso, si trasmettono (e si acquistano dall’altra parte) competenze nella gestione e nella salvaguardia dei beni culturali: anche in questo modo si fa formazione, sia nelle modalità di conduzione dei musei, sia nella creazione di una generazione di giovani archeologi e restauratori iracheni.
Un fatto che inevitabilmente si ricollega alla possibilità di gettare anche le basi per una ‘rinascita’ che sia altresì economica, poiché avere luoghi d’arte significa aprire le porte a un maggior flusso turistico.  
La mostra del MAXXI ha raccontato tutto questo: lo sforzo di chi crede che l’arte possa salvare e interconnettere i popoli. E che operazioni con un focus incentrato sulla cultura possano realmente aiutare lo sviluppo dei Paesi, soprattutto di quelli più deboli o in crisi. In questo caso, l’intervento è durato ben 13 anni ed è costato circa 15 milioni di euro. Ma i risultati si possono definire positivi, anche per una serie di porte che si potrebbero aprire per l’Italia stessa. Il successo di questa mostra (tra l’altro già destinata ad essere esposta anche a Parigi, in una delle sale dell’Unesco), come ha orgogliosamente sottolineato il viceministro degli Affari Esteri, Mario Giro, sia nel suo intervento durante la ‘tavola rotonda’, sia nell’intervista che ci ha rilasciato in occasione della serata di chiusura dell’evento, non è stato decretato soltanto dalla grande (e forse anche inaspettata) affluenza di pubblico, ma anche dall’aver preso consapevolezza che questo indiscusso potenziale e primato italiano nel campo dell’arte possa gettare le basi per l’internazionalizzazione delle nostre imprese della cultura, quindi ‘sfruttato’ per generare occupazione e flussi economici che giovino all’Italia stessa. E per un Paese i cui giovani soffrono la disoccupazione cronica, il nostro augurio è che questa visione non resti soltanto un sogno.

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