Il 22 ottobre scorso, degli enormi, curiosi ed eccentrici scarponi hanno ‘preso possesso’ del centro di Roma: si tratta del progetto artistico ‘Le Bèbè Gèant’ di Sara Lovari, creativa toscana originaria di Arezzo, classe 1979
L'inaspettata emozione che molti provano da bambini nel mettere indosso le scarpe dei ‘grandi’, nella fretta e nella volontà di diventare ‘subito adulti': è questo lo spirito, l’idea che muove la curiosa performance portata dall’artista toscana Sara Lovari in diverse regioni del nostro Paese. Un progetto itinerante, nel quale delle 'scarpe giganti' – di oltre un metro di lunghezza – vengono esposte nelle strade e nelle piazze di diverse località italiane per essere ‘indossate’ dal pubblico, il quale, contestualmente, viene interrogato dall’artista sulle emozioni percepite durante la ‘prova’ e intorno ad alcuni aspetti che riguardano l'infanzia. Il progetto, al momento, è stato presentato a Bologna, Venezia, Milano e Napoli. E il 22 ottobre scorso è approdato anche nella capitale, che sembra averlo accolto con grande ilarità. L’esperimento artistico romano – che evidentemente possiede una connotazione sociologica – ha coinvolto cittadini e turisti, tra cui cinesi e olandesi incontrati in particolare al Colosseo, in piazza di Spagna, presso il Pantheon e a piazza San Pietro. “Cosa è rimasto di quel bambino che amava indossare le scarpe dei ‘grandi’? Cosa non esiste più di quel particolare momento della nostra infanzia? Cosa è andato perduto, e cosa è cambiato nel tempo? Quali sensazioni sono state provate durante la prova delle scarpe giganti? Sono queste”, ci ha spiegato la Lovari, “le principali domande che vengono poste al pubblico durante le mie performance. Un pubblico al quale amo spiegare il mio progetto solo in un secondo momento, per non influenzarne le percezioni. Noto che vi è molta curiosità intorno ai miei lavori”, ha proseguito l’artista, “e che le persone vogliono ‘sapere’, che hanno un gran bisogno di parlare e condividere realmente alcuni aspetti della loro vita con qualcuno, anche se, di fatto, sono un’estranea”. Alla domanda sulle reazioni del pubblico rispetto al suo progetto, la ‘performer’ chiarisce: “Durante la mia performance del 24 settembre scorso a Bologna, che ha riguardato tre punti diversi della città (piazza Maggiore, via Pescherie Vecchie e l’Osteria del Sole), le emozioni che la gente ha manifestato sono state molto positive. In risposta al mio quesito sulle percezioni provate calzando le mie enormi scarpe, in molti hanno risposto: ‘Gioia’. Oppure: ‘Nostalgia’. E, in linea di massima, hanno utilizzato la parola: ‘Emozione’. Più di 20 volontari hanno partecipato alla performance di Bologna, tra cui ciclisti, turisti e perfino frati e suore. E un numero simile di persone ha interessato anche la mia ‘trasferta romana’, dove un violinista ha deciso di suonare ‘dentro le scarpe’ e diversi cittadini e turisti hanno voluto immortalarsi con quegli strani e famigliari oggetti ai piedi. A questo proposito, permettetemi di ringraziare Luigi Torreggiani, il fotografo che sempre accompagna i miei esprimenti e Magini di Cortona, senza il cui sostegno il mio progetto sarebbe impossibile da realizzare”.
Sara, ovviamente, non è l’unica creativa a utilizzare questo tipo di accessorio in un contesto artistico: sono molteplici gli esempi in cui la ‘scarpa’ è diventata protagonista di una ‘site-specific’ o di un’installazione. Basta farsi un giro su ‘Pinterest’ per trovare oltre mille immagini fotografiche che immortalano, in tutto il mondo, progetti installativi composti da ‘calzature’. Come per esempio ‘Road to heaven’ dell’artista Kaisa Salmi, in cui le scarpe, sospese per aria, formano idealmente una strada, un percorso incentrato sulla memoria e il recupero dei vecchi valori. In tema, si deve ricordare anche l’installazione dell’artista giapponese di fama internazionale Chiharu Shiota, dal titolo ‘Breath of the spirit’: un’installazione con circa 600 esemplari di scarpe, nella quale il ‘soffio dello spirito’ nostalgicamente rievoca gli antichi possessori di quelle vecchie calzature che venivano 'calate' giù dalla finestra di un edificio. O, ancora, il progetto d’arte pubblica ‘Zapatos rojos’, della messicana Elina Chauve, curato da Francesca Guerisoli e approdato, nel 2013, in diverse città italiane. Un progetto che ha previsto l’installazione per strada di centinaia di paia di scarpe rosse femminili, per lo più decolletes, ballerine, sandali e ‘zeppe’, per contestare l’omertà che circonda le stragi di donne nella messicana Ciudad Juárez e per dire ‘No’ alla violenza di genere. Sistemate ordinatamente lungo un percorso urbano, le calzature, in questo caso, intendevano visualizzare una marcia di ‘donne-fantasma’, per sottolineare il senso del dolore e di perdita dato dalla loro assenza. Altro progetto interessante - e tutto italiano - che di recente ha previsto l’uso delle scarpe in contesti artistici, ma non solo, è ‘Aliveshoes’: nato dalla mente di Luca Botticelli e, in verità, a metà strada fra l’arte contemporanea e la moda, esso ha visto l’installazione di particolari calzature, progettate da talentuosi artisti internazionali e rigorosamente fatte a mano, con materiali ecologici e processi sostenibili, in ambienti urbani e naturali, allo scopo di promuovere l'industria calzaturiera italiana. In ogni caso, la particolarità del lavoro di Sara Lovari sussiste nell’evidente ricerca d’interazione con il pubblico, il quale, raccontando all’artista - e a se stesso - le proprie emozioni, viene chiamato a ‘far parte dell’opera’ con cui entra in evidente empatia.
Nata ad Avena, nei pressi di Arezzo, nel 1979, Sara Lovari si occupa di pittura dal 2007, portando avanti un percorso artistico che l’ha condotta a esporre in Italia e all’estero. La sua personale sperimentazione si caratterizza per l’uso di colori acrilici e applicazioni ‘polimateriche’ su supporti eterogenei. Da sempre è interessata alla manipolazione degli oggetti che appartengono alla ‘quotidianità’ e al materiale di recupero, ovvero intesi come “elementi di memoria collettiva”, afferma la Lovari. Proprio all’utilizzo dell’oggettistica più comune, al riciclo dei materiali e al concetto di memoria si lega questo suo ultimo progetto itinerante. Le scarpe, infatti, sono realizzate con carta da pacchi, colla, sughero e corda: materiali umili e semplici, proprio come le sensazioni che abbiamo provato durante l’infanzia indossando le calzature dei nostri genitori o, più in generale, delle persone a noi care. Emozioni pure e sincere, che ogni tanto vorremmo rivivere anche da adulti, immergendo, per esempio, i nostri piedi nelle buffe e smisurate ‘Bèbè Gèant’ di Sara Lovari.
Link utile:
http://www.saralovari.it/
Salva