Al via a Roma la mostra della Hacker in un tripudio di opere al contempo emozionali e spirituali, dimostrando la maturità e l’apertura mentale di un’artista colta, che ha saputo interiorizzare le svariate e molteplici culture del mondo incontrate nei suoi lunghi viaggi
Il 7 giugno prossimo prenderà il via la mostra ‘Tabula rasa’, presso la galleria ‘Studio Cico’ di via Galliera 8, in Roma. L'ennesima vincente proposizione di Cinzia Cotellessa apre il sipario mettendo in scena le opere di Lalage Nydia Florio Hacker, in una varietà di dimensioni che abbaglieranno i visitatori per la loro ricchezza cromatica. Colori, colori e ancora colori, che da ogni parte lanciano ‘sussurri intriganti’, impregnando arazzi o riempiendo tele da cui la materia fuoriesce, reclamando uno spazio che a buon diritto gli appartiene, insinuandosi poco a poco nell'immaginario di chi guarda. Un materico fatto di garze, lane e porporine che, nella loro fragilità, sembrano alludere alla transitorietà delle cose del mondo (Sic transit gloria mundi?), forse contrapposta all'eternità dello spirito? Lo stile dell'artista è più comprensibile se ci si sofferma sul suo vissuto, fatto di lunghi viaggi che l'hanno condotta in giro per il mondo alla ‘vera’ scoperta di ogni singolo Paese e della loro essenza, da riprodurre filtrata, nelle sue opere, dalla propria esperienza tecnica e culturale. Ecco che il pensiero vola, per un esempio eclatante, a Gauguin, la cui pittura cambiò in modo netto e inequivocabile tra la prima parte della sua produzione e quella realizzata nelle isole dei mari del sud, così piena dei colori vivi e saturi, come quelle meravigliose terre lontane che facevano sognare gli amanti delle sue opere, perché soltanto così, in un fase storica in cui la tv non era ancora minimamente immaginabile, potevano sentirle vicine. Questo è anche l'effetto delle tele della Hacker: suggerire, benché personalmente filtrate, visioni concettuali attraverso le quali percepire un ‘Genius loci’: un'esperienza che resta dentro incancellabile e che, in mancanza di riscontri figurativi, anche soltanto approssimativi, si risolve in una tensione di conoscenza inesausta, fatta di vibrazioni che, a ondate, fanno risuonare l'anima come un ‘diapason spirituale’. Negli anni del liceo, nel laboratorio di fisica, ci fecero assistere a un esperimento in cui un diapason, percosso, ne faceva vibrare un'altro "per simpatia": un effetto che può verificarsi anche in biochimica e che, a livello inconscio, si può ingenerare tra le opere esposte e il visitatore più sensibile. Un motivo in più per non mancare all'appuntamento con la ‘Tabula rasa’ più ricca di contenuti che si possa trovare.