La finale di Coppa Italia del 3 maggio 2014, disputatasi allo stadio Olimpico di Roma e che ha visto contrapporsi sul campo Fiorentina e Napoli (con la vittoria dei partenopei per 1-3) non sarà ricordata per lo spettacolo in campo, ma per gli ennesimi episodi di violenza che hanno provocato il ferimento di un giovane tifoso napoletano. Il pre-partita è stato caratterizzato da momenti di forte tensione, con la possibilità di non giocare il match sempre pronta ad avverarsi, arrivando addirittura ad un vero e proprio confronto con il capo tifoso del Napoli, Gennaro De Tommaso (noto nell’ambiente come Genny ‘a carogna) che a molti è sembrata una vera e propria trattativa sul far giocare o meno la finale. Abbiamo chiesto ad Alberto Rimedio, telecronista di Rai Sport, di parlarci non solo dei gravi fatti che si sono verificati, ma anche di darci una sua opinione su quella che è l’attuale normativa che dovrebbe prevenire la violenza negli stadi e quali potrebbero essere delle soluzioni adottabili per migliorare la sicurezza di chi vorrebbe andare allo stadio solo per godersi la partita della propria squadra.
Alberto Rimedio, i recenti fatti avvenuti a Roma in occasione della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina sono stati una lampante dimostrazione che tutto quello che si è fatto fino a questo punto per prevenire la violenza negli stadi si è rivelato insufficiente: cosa si può fare, a questo punto, più di ciò che è già stato fatto?
“Di più si potrebbe fare tutto. Quello che viene fatto a livello istituzionale è assolutamente inefficiente ed è inutile quello che viene fatto dalle società di calcio. Per quanto riguarda le istituzioni, è necessario che vengano previste delle sanzioni più severe nei confronti di chi commette i cosiddetti “reati da stadio”, sul modello inglese; in secondo luogo, si dovrebbero applicare queste sanzioni senza avere quell’atteggiamento morbido che permette agli avvocati dei tifosi che vengono sottoposti a provvedimenti restrittivi di ottenere rapidamente una soluzione favorevole, avvalendosi di prescrizioni o altre strategie simili, che sono sicuramente previste dal nostro ordinamento, ma che impediscono un’applicazione ferrea, rigida e necessaria delle norme vigenti. Un altro problema riguarda le società calcistiche. Le faccio due esempi: ricordo che in occasione di una partita del Borussia Dortmund, in Germania, uno dei tifosi è stato sorpreso mentre eseguiva il saluto nazista. E’ stato subito individuato, dichiarato dal club persona sgradita e non potrà più entrare nello stadio del Dortmund fino al 2020. Stesso discorso è stato fatto in Spagna, dal Villareal, in occasione del famoso episodio del lancio della banana a Dani Alves del Barcellona: anche qui sono stati presi gli stessi provvedimenti. Io credo che con tutti i meccanismi presenti all’interno degli stadi per la registrazione, ovviamente faccio riferimento in primo luogo alle telecamere, non sia difficile trovare i responsabili di cori o striscioni infamanti e contrari all’ordine pubblico, prendere i responsabili, oltre alle sanzioni previste dall’autorità giudiziaria, e impedire a queste persone, ovviamente in casi molto gravi, di partecipare in futuro ad altre partite”.
Adesso, quel che tutti un po’ si aspettano è un grande polverone, un crescendo di sanzioni e una gara a chi propone la proposta più severa: ritiene che applicare questo tipo di sanzioni, come il Daspo a vita di cui si sta parlando in questi giorni (interdizione dagli stadi, ndr), possa essere una cura al problema, oppure un semplice palliativo momentaneo?
“Questo potrebbe aiutare, fermo restando che si tratta di un provvedimento che deve essere ancora approvato. Oggi, noi abbiamo la possibilità di infliggere un Daspo di 5 anni con la possibilità di rinnovarlo: evidentemente, questi provvedimenti hanno dato dimostrazione di essere completamente inutili, perché chi è stato “daspato” dopo 5 anni è tornato allo stadio e ha commesso le stesse cose che aveva fatto in precedenza. Il Daspo a vita, se effettivamente eseguito, in quanto ci sono ancora dei dubbi sulla effettiva applicabilità di questo provvedimento, potrebbe essere un deterrente alla violenza, ma non è sufficiente. In Inghilterra non è previsto il Daspo a vita: è previsto che di fronte a fatti gravi negli stadi, la persona che viene sorpresa sul fatto viene presa, portata all’interno delle carceri che si trovano negli stadi stessi, giudicata per direttissima e tenuta in carcere per l’esecuzione della pena. Questi sono dei provvedimenti sicuramente molto rigidi, ma indispensabili in un momento in cui il calcio italiano conferma di essere da Terzo Mondo e, del resto, lo specchio del Paese. Quello che succede sugli spalti negli stadi è lo specchio esatto di quanto capita nel resto dell’Italia. Noi abbiamo degli stadi pieni di violenza, minacce, ingiurie: una partita è solo l’occasione per violare tutte le regole del vivere civile. Un provvedimento severo, duro, è indispensabile, perché ovviamente di questo passo non si potrà più andare avanti. Non è sufficiente l’indignazione che, di volta in volta, viene proposta da parte di chi ha il compito di indignarsi”.
Lei ritiene che uno dei fattori che non consentono di mantenere l’ordine pubblico durante gli eventi sportivi possa essere la generale fatiscenza delle strutture e degli stadi italiani e che un eventuale incentivo per l’approvazione di una normativa in tal senso possa essere utile, affidando la gestione della sicurezza direttamente alle società calcistiche?
“La legge sugli stadi è stata fortemente modificata rispetto a quanto era previsto originariamente. Questa norma, all’inizio prevedeva che vi fosse un contributo economico per la costruzione dei nuovi impianti da parte dello Stato. Alla luce della situazione economica, disastrosa, del nostro Paese, questa proposta è stata completamente esclusa ed è stata prevista una seconda ipotesi, che invece ha come fine quello di accelerare l’iter per la costruzione degli stadi e ridurre le lungaggini burocratiche. Logicamente, nel momento in cui si dovesse arrivare alla costruzione di uno stadio di proprietà, ci sarebbe la possibilità di far salire in maggior misura l’attenzione del tifoso nei confronti dello stadio e della squadra, portando di conseguenza a comportamenti più maturi. Abbiamo però anche visto che, nel nuovo Juventus Stadium non sono mancate le squalifiche per la curva della Juventus in seguito a cori razzisti e multe per l’esposizione di striscioni offensivi sulla tragedia di Superga. Ritengo che la costruzione di un nuovo stadio di proprietà possa essere un palliativo, un elemento che possa aiutare la società ad avere un rapporto diverso con i propri tifosi, ma deve essere completamente reciso il cordone che lega le società agli ultras. Un cordone fatto di paura, in quanto le società temono che, prendendo dei provvedimenti rigidi nei confronti degli ultras, possano andare incontro a minacce e cose di questo genere. Questo e norme più severe, come detto prima, potrebbe portare a un miglioramento di una situazione che non accenna a cambiare oramai da vent’anni”.
L’attenzione dei media si concentrata ovviamente sul ragazzo tifoso del Napoli, Ciro Esposito. Eppure, un’altro fatto, abbastanza grave, è passato quasi sotto silenzio: mi riferisco al lancio in campo di petardi e fumogeni da parte dei tifosi del Napoli contro gli steward e i vigili del fuoco (uno di questi petardi è esploso vicino a un pompiere, provocandone lo svenimento): com’è possibile che ancora si riesca a entrare con dei petardi negli stadi, nonostante la presenza dei tornelli e dei controlli?
“Purtroppo, siamo abituati a queste scene. Io seguo le partite di tutto il campionato e questo è un fenomeno che si verifica soprattutto in certi stadi: è normale osservare, durante una partita, specialmente quando ci sono forti tensioni tra due tifoserie, vengano fatti esplodere decine e decine di petardi. Lei sa che con i tornelli, con i filtraggi e con i controlli che si fanno all’ingresso dello stadio una persona viene sottoposta a un controllo minuzioso. Per esempio, se qualcuno provasse ad entrare allo stadio con una bottiglietta d’acqua, quest’ultima deve essere priva di tappo. Fatto sta che questi fuochi pirotecnici, queste bombe-carta che provocano delle esplosioni enormi, entrano lo stesso negli stadi senza problemi. E il fatto che una quindicina di questi ordigni sia stata fatta esplodere nell’arco di venti secondi dal settore dei tifosi del Napoli sorprende meno del colloquio tra il capitano del Napoli Marek Hamšík e Gennaro De Tommaso e, quindi, da un punto di vista mediatico, passa in secondo piano, anche se il giudice sportivo ha comunque inflitto due turni di squalifica allo stadio San Paolo di Napoli anche a causa del lancio di questi petardi”.
Ciclicamente, si continua ad avanzare la proposta di candidare l’Italia a qualche grande manifestazione calcistica, come il Mondiale o gli Europei: pensa che il nostro Paese possa permettersi di accogliere una di queste manifestazioni senza rischi?
“Io penso che la possibilità ci sia: a Roma, nel 2009, si è tenuta la finale di Champions League tra Barcellona e Manchester United e non mi sembra di ricordare particolare problemi. Il problema italiano è quello del ‘campanile’: noi possiamo far venire qui a giocare Brasile e Argentina per la finale del campionato del mondo e non ci sarebbe, secondo me, alcun problema. Il problema sorge quando la Roma affronta il Napoli, la Lazio, la Juventus, l’Inter o il Milan. È il ‘campanile’ che provoca queste reazioni esacerbate, che tra l’altro sono facilmente individuabili su internet: se lei va in rete troverà una lunga serie di insulti a tutto spiano tra tifosi opposti. Questo è il termometro di quello che è il momento attuale per quel che riguarda il rapporto sociale, non solo tra tifosi. Queste intolleranze ci sono e non dobbiamo meravigliarci se, andando allo stadio, questi insulti vengono reiterati, addirittura resi più forti dal fatto di essere in un gruppo e poi, inevitabilmente, dagli insulti si passa ai fatti e succede quel che è successo. Lo ripeto: il calcio è lo specchio di quello che accade all’interno della società. Così come è ridotta la nostra società oggi, analogamente sta lo stadio, che raccoglie il peggio della società e lo enfatizza. Questo è il mio parere.”
Per concludere, volevamo chiedere la sua opinione sulla presunta trattativa con la curva del Napoli prima della partita: pensa che sia stato giusto permettere una cosa del genere?
“No che non è giusto, perché è evidente che, in questa situazione, lo Stato manifesta la propria debolezza nei confronti degli ultras. In quel momento specifico, il timore era evidente. E’ stato considerato questo aspetto: se noi non andiamo dal capo-ultras del Napoli a fare una chiacchierata in merito a quelle che sono le condizioni del ragazzo tifoso partenopeo rimasto ferito, se non garantiamo che il tifoso non è morto questi fanno invasione di campo e succede un macello. Le istituzioni continuano a ripetere che non sia stata una trattativa: io faccio fatica a trovare un termine più appropriato di questo. Uno Stato non può arrivare a trattare: uno Stato comunica attraverso gli altoparlanti dello stadio che la partita si giocherà regolarmente e che sono del tutto infondate le voci che si riferiscono a una morte, perché queste erano le voci che giravano del tifoso del Napoli. Dopodiché, si gioca. E se qualcuno dovesse commettere degli atti che sono contro le esigenze dell’ordine pubblico viene preso, arrestato, condannato se colpevole e sconta la propria pena in base a quanto previsto dal nostro ordinamento giuridico: né di più, né di meno. Questo, però, in Italia sembra impossibile: c’è l’indignazione iniziale, per cui tutti dicono che bisogna cambiare le cose e poi, per una decina di giorni, non se ne parla più. Dopo qualche tempo si verificano gli stessi episodi e si ricomincia a fare, sempre, il solito discorso. Bisogna interrompere questa catena: siamo, dal punto di vista calcistico, una vergogna in Europa. Certi episodi accadono, praticamente, solo in Italia, a parte pochissime eccezioni”.