La conduzione di manifestazioni come il David di Donatello, un riconoscimento tra i più importanti del nostro panorama artistico e culturale, è stata affidata al signor Paolo Ruffini, un comico di livello assai mediocre che, ovviamente, non ha potuto fare a meno di dimostrare la propria inadeguatezza
L’edizione 2014 del ‘Roma Fringe Festival’ che si sta tenendo in questo periodo nel cuore della capitale d’Italia sta esprimendo un folto numero di rappresentazioni artistiche, quasi tutte di altissimo livello. Ciò sta addirittura complicando - e non di poco - il compito della Giuria di tale ‘contest’, la quale si è spesso ritrovata nel doloroso compito di dover scegliere tra ‘pièce’ e monologhi tutti meritevoli di approdare sino alla serata della finalissima. Oltre all’eccellenza degli spettacoli in gara, al Roma Fringe Festival 2014 si stanno inoltre segnalando una serie di talenti emergenti in campo artistico, a testimonianza di una vivacità culturale che questo Paese continua a non voler vedere. Interpreti assai interessanti come Emanuela Bianchi, Silvio Barbiero e Alessio Zambardi, compagnie di grande competenza e affiatamento registico come il Collettivo Controcanto e il Nogu Teatro, graditissimi ritorni di attrici di indubbio spessore come Patrizia Schiavo, testimoniano l’esistenza di un patrimonio, artistico e umano, che dovrebbe rappresentare una grandissima risorsa per la cultura media del nostro Paese. Invece, la conduzione di manifestazioni come il David di Donatello, un riconoscimento tra i più importanti del nostro panorama artistico e culturale, viene affidata dalla Rai al signor Paolo Ruffini, un comico di livello assai mediocre che, ovviamente, non ha potuto fare a meno di dimostrare la propria inadeguatezza. Tuttavia, l’errore originario di quanto accaduto non è del piccolo, piccolissimo, comico livornese, bensì di chi ha avuto l’originale pensata di mettere ‘in vetrina’ la nostra produzione filmica e cinematografica di maggior livello, mescolandola con una conduzione ‘pop’. Questa confusione tra generi, livelli e persino tipologie di pubblico continua a mandare in ‘tilt’ i fumanti cervelli autoriali della nostra televisione di Stato, la quale si ostina a voler inseguire il modello di produzione ‘berlusconiano’ senza rendersi conto dei molteplici rischi di grave degenerazione qualitativa dei programmi proposti alla visione del pubblico. Ciò per la semplice incapacità di comprendere come, per riuscire a proporre un palinsesto televisivo degno di questo nome, non ci si possa unicamente basare sui dati dell’Auditel. Non è soltanto il ‘numero’ a decidere il successo di una trasmissione o di un format televisivo. L’intelligenza e la grande capacità di Carlo Freccero, tanto per fare un esempio, è dovuta al suo coraggio nel presentare, all’interno del palinsesto di Rai4, una produzione ‘fanta-horror’ assolutamente di ‘nicchia’, che tuttavia riesce a raggiungere il grande pubblico senza presupporre alcuna trasversalità ‘interclassista’. Come in numerosi altri campi della produzione artistica e culturale esistono programmazioni televisive che vengono premiate da un successo immediato. Ma spesso si tratta di forme di intrattenimento senza pretese, destinate a non lasciare alcuna traccia indelebile nell’immaginario collettivo dei telespettatori. Viceversa, altre produzioni, di svariato genere e tipo, possiedono in sé una vitalità artistica e una qualità intrinseca tale da riuscire a tornare alla mente dopo alcuni giorni di riflessione e che, con la complicità del tempo, vengono rianalizzate e apprezzate dopo un periodo di lunga ‘incubazione’. Un esempio di quanto stiamo affermando è rappresentato dalla parabola, assolutamente ascendente, che nei primi anni ’80 del secolo scorso ha avuto la trasmissione televisiva ‘L’altra domenica’, firmata da Renzo Arbore. Gli autori di quel programma erano perfettamente consapevoli del fatto che, andandosi a scontrare con una corazzata come ‘Domenica in’, presentata in quegli anni da un Pippo Baudo in pieno ‘fulgore’ professionale, avrebbero dovuto prestare assai meno attenzione ai dati di ascolto e puntare, invece, sulla capacità di proporre personaggi e contenuti originali, se non addirittura specifici e particolari. E infatti, molti di noi oggi hanno il buon gusto di andarsi a rivedere, con precipua attenzione e divertita curiosità, i primissimi monologhi di Roberto Benigni, le innovative forme di ‘gaysmo’ introdotte dalle sorelle Bandiera, le assurde sedute spiritiche che presentavano le dissacranti apparizioni di un Crostoforo Colombo, interpretato da un indolente Paolo Villaggio, raffigurato come uno squinternato navigatore di oceani che avrebbe scoperto l’America per pura sbadataggine, per un mero incidente della Storia. Abbiamo citato tale esempio per riuscire a far comprendere come non sia assolutamente obbligatorio, nei settori della produzione televisiva, puntare tutto su un target di pubblico ‘medio’, notoriamente più numeroso, pur di riuscire a ottenere un ampio successo. Anzi, molto spesso è vero l’esatto contrario: più una trasmissione risulta particolare, ricca di spunti innovativi, ironici e autoironici e più si ha l’opportunità di lasciare un segno preciso nell’immaginario collettivo dei telespettatori. Non tutti i successi sono uguali, insomma. E non tutti i ‘picchi’ dell'Auditel sono da considerare positivi, sino al punto di cercarli forzosamente attraverso ‘escamotages’ imbarazzanti o risse mostruose. Lo ‘schifo’ attira in quanto ‘schifo’: non si può considerare un successo la rappresentazione di un dramma teatrale seguita da tutti per i suoi esiti di comicità involontaria. Ed è proprio tale consapevolezza che sembra sia venuta a mancare, negli ultimi anni, tra gli autori di format televisivi della Rai: la capacità di porsi dalla parte del telespettatore-utente, che non sempre decreta il successo di un programma per i motivi supposti dagli ‘alti papaveri’ di viale Mazzini. Tornando dunque a Paolo Ruffini e alla discussa premiazione dei David di Donatello, si spera che la vicenda possa almeno risultare utile ad apprendere definitivamente la lezione: per movimentare una cerimonia seriosa e ‘ingessata’ non serve trasformarla in una farsa. Bisogna, invece, individuare conduttori più interessanti, che sappiano incuriosire il pubblico, capaci di prendere per mano i telespettatori divulgando loro aspetti, curiosità e circostanze nascoste ai più. Insomma, bisogna recuperare un concetto di professionalità che sappia tener conto delle diversità di genere e di pubblico, producendosi in forme di presentazione e di conduzione cortesi ma non noiose, colte ma, al contempo, alla portata di tutti. Non è il pubblico ‘medio’ a risultare scomparso dal mondo televisivo italiano, bensì i conduttori brillanti, gli attori autentici, gli artisti e i personaggi reali.