Le operazioni in cryptovalute stanno cambiando il rapporto tra donatori ed enti del Terzo settore, assicurando che il denaro versato venga realmente speso per i fini indicati senza rischiare di perdersi in chissà quali ‘rivoli’ e ‘rigagnoli’
Già da qualche anno, le operazioni in cryptovalute stanno cambiando il rapporto tra donatori ed enti del Terzo settore, assicurando che i soldi versati dai primi siano realmente spesi per i fini indicati e non finiscano invece per perdersi in altri rivoli. Anche i canali per finanziare la ‘solidarietà’ si sono arricchiti di nuovi strumenti. Secondo l’Osservatorio Gfk 2017, le erogazioni on line al ‘no profit’ si sono attestate sul 5,4% del traffico complessivo degli aiuti o delle raccolte di beneficenza, ma l’ingresso delle cryptovalute nei mercati ha ‘rivoluzionato’ il rapporto tra donatori ed enti del Terzo settore grazie ai concetti di tracciabilità e disintermediazione, intorno ai quali si basa il sistema ‘blockchain’. Fra le varie realtà che già utilizzano questa tecnologia c’è ‘Helperbit’, una start-up pluripremiata, in Italia e all’estero, già inserita tra i cento progetti innovativi per il ‘World Humanitarian Summit’ dell’Onu. Sulla sua piattaforma. gli utenti versano in moneta digitale con carta di credito/debito o prepagata. Dopodiché, la donazione viene convertita in Bitcoin e subito inviata all’associazione prescelta, detratti i costi di acquisto e conversione specificati all’utente sin dall’inizio dell’operazione. Gli enti beneficiari potranno poi trasformare in moneta ‘locale’ le somme ricevute in Bitcoin. Tutto il percorso dell’operazione rimane tracciato e visibile ai donatori, all’interno della ‘blockchain’. Tutto molto bello. E certamente assai migliore dei soldi del Monopoli.