Una commedia nera, nerissima, che trasporta lo spettatore in un mondo stranamente surreale e, al contempo, incomprensibilmente ordinario
Il regista sudcoreano Bong Joon-ho ha conquistato, nel 2019, i grandi schermi internazionali con il suo capolavoro, ‘Parasite’: un film che ha vinto diversi premi, ma che principalmente è riuscito a entusiasmare il grande pubblico con il suo stile di regia unico. Questo stesso orientamento creativo lo si riconosce nel suo film d’esordio del 2000, ‘Cane che abbaia non morde’, uscito da poche settimane nelle sale cinematografiche italiane. Una commedia nera, nerissima, che trasporta lo spettatore in un mondo stranamente surreale, ma che, al contempo, è incomprensibilmente ordinario. I protagonisti di questa storia, oltre ai cani della palazzina, sono Yun-Ju, un ricercatore universitario non retribuito e Hyeon-nam, una giovane impiegata comunale un po’ naïve. In entrambi vengono rispecchiate delle qualità umane passive, che fanno parte della quotidianità più banale e noiosa che esista: quella delle vite vissute col 'pilota automatico'. Le intenzioni dei personaggi sfociano in un’espressione del sé esasperata, dove la passività insorge in decisioni irriflessive, che hanno come conseguenza un ‘effetto domino’ da parte degli altri personaggi, colmo di azioni inaspettate, irragionevoli, spesso immorali. I lati meschini dell’essere umano vengono a galla. Non come aspetti totalizzanti del classico ‘villano’ della storia, ma come componenti che coesistono in potenza in una persona qualsiasi, che vengono alla luce in maniera grottesca e inconsapevole. Così agiscono i personaggi del film: senza riflettere; senza avere una base di princìpi che li spinga verso una determinata direzione, se non quella del raggiungimento di un desiderio o di una necessità personale. Tutto viene scatenato apparentemente dall’abbaiare dei cani. Anche se il vero motore della storia è la frustrazione, la monotonia, la voglia di uscire dalla propria banalità per costruirsi una vita migliore e come questa incoscienza ci porti a prendere delle decisioni, pur non sapendolo.
Bong Joon-ho ci invita a osservare una condizione sociale drastica, accompagnata da una colonna sonora formidabile e in ampio contrasto con gli eventi del film. Ma è proprio questo il bello: tra le allegre note jazz che scorrono in sottofondo, vi è una tragicommedia al limite dell’accettabile. Ci si ritrova a tratti a sorridere, con un fondo di amarezza. In altri momenti, ci si scopre disgustati dai comportamenti beceri dei personaggi. Eppure, per qualche motivo, vi è empatia con loro.
Un film originale nel quale, come in tutti i suoi successivi lavori, si scorge la formazione sociologica del regista, che ci porta a riflettere sulla società e sulla nostra di amoralità.