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24 Novembre 2024

Ingmar Bergman: lo stile della sua arte

di Giuseppe Lorin
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Ingmar Bergman: lo stile della sua arte

L'Ambasciata di Svezia, dal 2 maggio 2018, presso la ‘Casa del Cinema’ di largo Marcello Mastroianni 1 in Roma, propone una mostra di spessore per ricordare un regista intellettualmente sofisticato, ma estremamente importante

Non tutte le iniziative culturali della capitale, in questi strani tempi, sono realmente interessanti. Non è questo il caso della rassegna dedicata al regista cinematografico svedede: 'Ingmar Bergman: la sua eredità nella moda e nell’arte'. Una sorta di 'omaggio-tributo' nei riguardi di uno stile ‘filmico’ molto raffinato, che pure ha saputo coinvolgere il grande pubblico ricordandoci di osservare le cose della vita nella loro essenzialità e profonditò. Un suggerimento prezioso, soprattutto nella fase di ‘boom’ economico che stava vivendo l’Europa nella seconda metà del secolo scorso. Ecco perché è importante tornare a riflettere intorno a un regista intellettualmente sofisticato, ma estremamente importante. Ernst Ingmar Bergman nacque ad Uppsala, in Svezia, il 14 luglio 1918. È stato il più prestigioso regista mondiale degli anni ’50 del secolo scorso, anche se esordì con il suo primo film, ‘Crisi’, già nel 1945. Una pellicola che in realtà era già un 'quadro' perfetto della gioventù disorientata dalla guerra, che reagisce con disordinata violenza ai problemi della vita quotidiana. Sceneggiatore, drammaturgo, scrittore e produttore cinematografico, Bergman si è distinto per la sua capacita di rendere libera l’espressione dei sentimenti delle varie personalità del genere umano, con tutte le contraddizioni che lo identificano. Critico e scrittore, oltre che regista, è stato un osservatore preciso dell’umanità che lo circondava. La crisi dei sentimenti e l’incomunicabilità diventano così gli effetti delle contraddizioni della società industriale avanzata, dando però un respiro più ampio alle varie situazioni, definendo con maggiore consapevolezza politica i termini delle crisi individuali, anche se la sua vocazione per i temi sociali non si esaurisce nell’esaminare i rapporti tra la lotta di classe e la crisi della coppia, ma comprende una serie di problemi che, oltrepassando i limiti delle contraddizioni sociali nazionali, diventano comuni con le altre società industrialmente sviluppate. Le migliori opere prodotte dalla Svenska Film, specialmente quelli di Gustaf Molander, portavano la firma, per la sceneggiatura, di Ingmar Bergman, come per esempio ‘Swedenhielms’. Bergman ha raccontato molte volte la sua infanzia: il padre, pastore protestante; i primi dilemmi religiosi; le suggestioni che operavano su di lui gli affreschi sulle pareti delle chiese campestri. A quesIl_posto_delle_fragole.jpgti si ispirò per l’ideazione del suo più conosciuto film, ‘Il settimo sigillo’, non tanto e non solo figurativamente, quanto per la particolare fantasia nella costruzione del film stesso. C’è da ricordare che a quella iconografia popolare e suggestiva, decorativa e bizzarra, si era ispirato più direttamente un altro regista, che fu tra i maestri di Bergman e di cui l'artista scandinavo fu, a volte, sceneggiatore: Alf Sjöberg, per il suo ‘Strada di ferro’ del 1942, con Rune Lindström, Eivor Landström, Anders Henrikson e Holger Löwenadler. Il film era tratto da un testo teatrale che ricordava una sacra rappresentazione un pochino profana. E ‘Il settimo sigillo’ lontanamente s'ispira a quel film, così come il ‘Dies Irae’ di Dreyer. Sia come sia, 'Il settimo sigillo' ebbe un successo strabiliante tra gli intellettuali e la società borghese italiana del dopoguerra, così come lo ebbero ‘Il posto delle fragole’, molto apprezzato al Festival di Berlino del 1958 e ‘Sorrisi di una notte d’estate’. Bergman e Sjöberg furono i ‘grandi’ del rinnovato cinema svedese. Furono questi film quelli che ci presentarono una Svezia protestante e socialdemocratica, riformata e riformista. E la sua cultura ci sembrò libertaria, libertina, invidiabile e, finalmente, avvicinabile. Ingmar Bergman tutt’oggi è considerato una delle personalità più eminenti della storia della cinematografia mondiale e fu un ‘mediatore ideale’: egli infatti mediava anche tra gli aspetti più estremi della tradizione svedese e le esigenze della comunicazione cinematografica, riuscendo ad avvicinarsi al suo nord senza tradire e senza svendere la propria tradizione, ma semplicemente vivificandola, spettacolarizzandola, con suprema disinvoltura e calorosa vitalità. Bergman era un ‘artista totale’, uno dei migliori registi sul lato tecnico/visivo e, allo stesso tempo, uno degli sceneggiatori più complessi e raffinati che siano mai esistiti. Il terrore della morte, la fede e la crisi spirituale, i traumi del passato e in generale il ricordo della giovinezza perduta o della magia della fanciullezza, sono alcuni dei temi che è riuscito a trattare con efficacia, se non con perfezione formale. Bergman sedusse i giovani che, nati e cresciuti superficialmente cattolici e diventati quindi atei e poi marxisti, si sbalordivano della disinvoltura della quotidianità, contemporaneamente alla profondità con cui i giovani protagonisti de ‘Il posto delle fragole’ parlavano di teologia e di laicismo, o per il modo in cui ne ‘Il settimo sigillo’ tante visioni si incrociavano, tanti modi di intendere la vita e il bisogno di spiegarsela, di darle un senso, di investigare sugli enti ultimi e su Dio. Bergman è riuscito a trasmettere l’angoscia esistenziale, il dolore, l’ipocondria, la nevrastenia. Deriva da questa sua inconscia capacità, quella che il regista di Uppsala risulta avere insieme al pregio della 'simpatia-antipatia', il grande apprezzamento che in tanti nutrirono e nutrono nelle sue opere cinematografiche e non solo. Un autore ferace e vorace, autocentrico, non sempre poeta e non sempre totalmente convincente, ma sempre prepotente, anche nei silenzi, nelle pause, nei sofferti ritrarsi, nelle attese. Il suo stile interpretativo e filosofico oggi potremmo paragonarlo a quello di certi film di Robert Bresson, di Luis Buñuel, di Federico Fellini, di Andrej Tarkovskij o di Woody Allen. Ingmar Bergman, spentosi nella sua villa di Fårö il 30 luglio 2007, è stato certamente un autore personalissimo che ha fatto scuola. Ma è probabile che molti finiscano per ricordarlo come un nevrotico narcisista, benché certamente non fosse così.  

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NELLA FOTO: IL GRANDE REGISTA SVEDESE INGMAR BERGMAN

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