La drammatica vicenda della disperata ricerca di Jay Bontinck, già raccontata in un libro che ha fatto il giro del mondo, sta per diventare un film grazie alla società italiana ‘Ralian Research & Consultancy’
Uno dei compiti della cultura e dell’impresa culturale in genere è quello di generare nell’opinione pubblica una corrente di emancipazione dalla demagogia, che anima ogni forma di fondamentalismo e di integralismo. Gli estremismi possono solo fare male e, forse per questo, le numerose opere letterarie e politiche, così come le nuove prospettive imprenditoriali legate alla cinematografia impegnata, vanno viste come un tentativo di metterci in guardia da qualunque corrente di pensiero che si trasformi in un’ideologia radicale.
Rendere evidenti i rischi connessi a una società dove cultura e politica si ibridino in modo sbagliato e dove il dialogo tra ideologie diverse venga soppresso, è un’operazione drammaticamente attuale. Le vicende storiche legate all’emergere, alla diffusione e alla propaganda on line dello Stato islamico, capace di veicolare a migliaia di chilometri di distanza messaggi di morte creati appositamente per trovare capillare diffusione nel mondo occidentale, possono far comprendere efficacemente l’importanza di tale fenomeno. L’estremismo violento rappresenta un attacco diretto ai valori contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, nonché una grave minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Gruppi terroristici come Daesh, Boko Haram e altri, sul tipo di Al Qaeida e, da ultimo, della stessa Isis, hanno tutto l’interesse alla diffusione mondiale del loro credo, i cui pilastri possono individuarsi nella negazione sistematica dei diritti delle donne, nella distruzione di patrimoni culturali millenari, nello svilimento del messaggio universale di pace insito in tutte le religioni e nell’uccisione sistematica di migliaia di innocenti in tutto il mondo. Questi gruppi sono diventati un’attrazione per i cosiddetti ‘foreign fighters’: combattenti stranieri reclutati tramite appelli semplicistici, che cercano di sfruttare per i loro macabri fini le incertezze, il relativismo dei valori e i malesseri cui si trovano di fronte i giovani occidentali in questo momento storico. La minaccia che l’estremismo porta avanti da anni nei confronti del mondo occidentale non ha come obiettivo la distruzione di un’unica religione o di una specifica nazionalità, né tende all’emergere dispotico di un gruppo etnico. E’, al contrario, una sfida innanzitutto culturale, che ha come scopo la sostituzione dell’attuale assetto internazionale basato - pur con le sue innegabili disfunzioni – sui valori della democrazia e della tolleranza, con un altro fondato sull’oscurantismo e sulla repressione, oltre che sulla negazione del passato. Di fronte a questa sfida c’è bisogno di una risposta comune, che affronti i problemi per risolverli, piuttosto che per amplificarli, creando condivisione e non ulteriore odio. Molti anni di esperienza nella lotta al terrorismo hanno dimostrato come politiche autoritarie, leadership fallimentari, approcci eccessivamente duri e un’esclusiva attenzione alle misure di sicurezza, spesso accompagnate dalla compressione più o meno accentuata dei diritti umani, abbiano avuto come unico risultato un deciso inasprirsi di quell’integralismo che si voleva combattere. Quando la classe politica non riesce a innescare meccanismi sociali di riflessione, può riuscirci lo spettacolo, il teatro, il cinema formativo e la cultura, che insieme alla comprensione e al dialogo possono concretizzare il cambiamento anche attraverso misure di sviluppo dell’occupazione e del tessuto economico e sociale, favorendo la nascita di nuovi strumenti produttivi.
Esempio emblematico, in tal senso, è la vicenda della famiglia Bontinck: in Belgio, a pochi metri dalla casa dove essa conduceva la sua vita tranquilla, era ubicato il quartier generale di ‘Sharia4Belgium’, uno dei ‘network jihadisti’ più articolati ed efficaci d’Europa, la cui la rete del terrore era guidata, nel 2013, da Fouad Belkacem, predicatore estremista molto noto alle ‘intelligence’ europee. Quando Dimitri Bontinck scopre che il figlio Jay, appena maggiorenne, partito da casa per un viaggio di istruzione ha in realtà raggiunto il fronte siriano, la sua vita cambia. Dimitri rifiuta di accettare tale crudele destino per il figlio e capisce che deve agire in prima persona per liberare Jay, il quale, dal canto suo, resosi conto dell’enorme divario esistente tra quanto inculcatogli dalla propaganda estremista e la crudeltà che muove le milizie dello Stato islamico, decide di rientrare a casa, finendo prigioniero dai suoi stessi compagni ad Aleppo. Di fronte all’impotenza mostrata dalle autorità belghe nel mettere in atto un intervento utile a ritrovare il ragazzo, Bontinck va in Siria per riportarlo a casa, mettendo in gioco la sua stesa vita. Per ben tre volte raggiunge lo scenario di guerra siriano e, solo dopo esser stato fatto prigioniero, torturato e poi rilasciato, riesce a ricongiungersi con il figlio. La drammatica storia della disperata ricerca di Jay Bontinck, già raccontata in un libro che ha fatto il giro del mondo (‘Il cacciatore di terroristi. La storia vera di un padre che ha salvato suo figlio dall’Isis’, New Compton Editore, ndr), sta per divenire un film grazie alla società italiana ‘Ralian Research & Consultancy’, che è riuscita ad avere un contratto di incarico in esclusiva con l’autore per la commercializzazione dei diritti. E’ in corso la trattativa con le case di produzione italiane per trasformare l’opera in un film o in una serie televisiva. L’intento è quello di abbattere l’estremismo attraverso la narrazione cinematografica. In tal senso, le industrie culturali e creative rappresentano una ‘fetta’ importante e, soprattutto, in continua espansione dell’economia globale, con la capacità di generare riflessione, coscienza e pensiero. Ed è proprio questa la missione di Ralian in rapporto al progetto del film.
Oggi, possiamo facilmente affermare che l’impresa culturale è in grado di determinare un’inversione di tendenza nel concetto di economia: una sorta di ‘cultural mood’, di apprendimento, di sostenibilità ambientale e sociale, nonché di rivoluzione umana, che aggiunge valore e lo distribuisce sul territorio attraverso le generazioni che crescono in un ambiente con stimoli estremamente inclusivi. Si può così definire un’ipotesi di ‘umanesimo economico’, che rende perfettamente l’idea del fenomeno di cui l’intera filiera dell’industria culturale può e deve farsi carico: la creazione di una rete di valori umani, di solidarietà e di contrasto all’estremismo posta al centro di un progetto economico di diffusione di bellezza culturale, artistica, creativa e, dunque, professionale.