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23 Novembre 2024

La grande bellezza: un magnifico atto d’accusa dell’atonìa morale italiana

di Vittorio Lussana
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La grande bellezza: un magnifico atto d’accusa dell’atonìa morale italiana

L’ultima opera cinematografica di Paolo Sorrentino è un autentico capolavoro: chi lo ha giudicato un mero documentario su Roma farebbe meglio a confessare di non averlo visto, mentre chi lo ha criticato con ferocia è vittima di quella piattezza logica che si rifiuta di comprendere le mutazioni degenerative avvenute nella nostra società, popolata di inetti totali in ogni ambiente e settore

L’ultimo film di Paolo Sorrentino, ‘La grande bellezza’, sta ormai emergendo in tutta la sua immaginifica ‘luce’ agli occhi della critica cinematografica internazionale. Forse non riuscirà a ottenere l’Oscar come miglior film straniero, ma il Golden Globe 2014 è già riuscito a portarselo a casa. La notizia di quest’importante riconoscimento pone dunque la questione della lunga serie di attacchi, violentissimi, che l’opera ha ingiustamente subito durante tutto l’anno appena conclusosi. Si tratta, invece, di un autentico film d’autore, che segnala la definitiva maturazione di un regista il quale, con molta intelligenza, ha capito di dover smettere i panni del ‘caricaturista’ (Il Divo) per affrontare una tematica ben più profonda e interessante: quella dell’atonìa morale della società italiana. Riteniamo pertanto necessario spendere due parole in difesa di tale rappresentazione cinematografica - la sola, negli ultimi anni, che sia riuscita a emergere da quel ‘piattume’ che essa stessa ha denunciato con estrema lucidità - nel tentativo di chiarire, una volta per tutte, alcuni punti fermi decisamente essenziali per stimolare, nel merito, un dibattito più ampio e articolato: 1) ‘La grande bellezza’ innanzitutto conferma e, se possibile, rilancia a livelli ‘stellari’ le quotazioni artistiche di Toni Servillo, il quale ha donato per l’ennesima volta al pubblico un’interpretazione attoriale assolutamente perfetta del disincanto personificato; 2) l’opera pone in evidenza un ‘sottobosco’ romano di sedicenti artisti, finti giornalisti, politicanti d’accatto e dame dell’alta società, fotografando perfettamente il degrado morale di un Paese appena uscito da una ‘sbornia’, quella ‘berlusconiana’, da cui stenta ancora a riprendersi; 3) i contenuti sottesi nelle varie scene dovrebbero finalmente convincere l’intellighentia progressista italiana intorno all’esigenza di dover abbandonare un inutile e velleitario ‘buonismo’ per cominciare a ‘pisciare in testa’ alla stragrande maggioranza della nostra società, popolata di inetti totali in ogni ambito e settore - artistico, politico, imprenditoriale, burocratico o professionale che sia - almeno per togliersi lo ‘sfizio’ di scavalcare a sinistra i disorganici ed estemporanei ‘vaffanculo’ di Beppe Grillo; 4) addirittura liberatoria è la denuncia di un’Italia stracolma di gente che crede di essere un’artista originale in quanto dedita a “dare le ‘capate’ al muro”, come afferma nel film lo stesso Servillo-Gambardella; 5) il concetto di democrazia proveniente da molti ambienti cosiddetti ‘in’ è sostanzialmente il tentativo di trascinare tutto e tutti nel ‘fango’; 6) ogni attitudine critica viene appiattita ad autoreferenzialità, a narcisismo piccolo borghese, ad avanzamento degenerativo; 7) Sorrentino, infine, è stato bravissimo nel descrivere la città di Roma come una donna bellissima ma indifferente di fronte allo scempio generalista e parassitario in atto ormai da decenni: il freddo cadavere di una diva meravigliosa delicatamente deposto sul ‘feretro’ della Storia. Insomma, siamo di fronte a un film eccellente, che ha avuto il coraggio di produrre dei contenuti reali. E chi non lo ha compreso dovrebbe finalmente rendersi conto della propria inferiorità morale e culturale. Di ciò, lo stesso Sorrentino, probabilmente, ne era consapevole sin dall’inizio. Ed è per questo che, stavolta, merita a pieno titolo di essere premiato: per fornire la prova provata intorno alla necessità di individuare quei nuovi linguaggi che il mondo intellettualmente più aperto e consapevole deve cominciare a parlare. E’ infatti preferibile, soprattutto in Italia, che qualcuno venga a domandare il significato ‘secondo’ di una scena, di un articolo giornalistico, di una rappresentazione teatrale o di un film, piuttosto che essere idolatrati ipocritamente da una collettività amorale e ‘marchettara’, totalmente priva di scrupoli, sempre pronta a scaricare le proprie responsabilità sugli altri, che assume atteggiamenti critici soltanto per darsi un ‘tono intellettualoide’ in pubblico, che denigra i giovani per la loro scarsa vocazione civile dimenticando i propri trascorsi di servilismo, di furbizia antimeritocratica, di prostituzione intellettuale e anche sessuale. La Roma descritta da Sorrentino, quando si scopre nel giusto è disperata; quando ha torto, si ritrova devastata dall’egoismo superficiale, da decenni di ‘sgomitamenti’, slealtà e bassezze. Un mondo di puttane ‘squinternate’ e mercenari pseudo-intellettuali, di parvenu e ‘puttanieri’ vaccinati verso ogni forma di sensibilità. Qualcuno sull’argomento mi chiede clemenza, sottolineandomi come non sia molto facile, oggi, donarsi completamente a qualcuno, o anche semplicemente al prossimo, a causa della grande paura di soffrire, per non rimanere feriti, per non dover patire nuove delusioni in seguito all’ennesimo ‘investimento’ sbagliato. L’amore in quanto investimento: mai sentita una ‘stronzata’ del genere! ‘La grande bellezza’, alla fin fine, denuncia come tutto sia divenuto finto, menzognero, carico di omissioni, secondo l’insegnamento cattolico-borghese della verità impartitoci dalle suore negli anni dell’infanzia: una verità che dev’essere, spesso e volentieri, ‘sorvolata’ o taciuta. Non si può proporre alcuna riflessione seria, qui da noi. Perché in Italia, la verità non si può dire, esporla è praticamente un reato, fotografarla attraverso un film addirittura uno scandalo: non è affatto un caso se siamo passati alla Storia per aver massacrato ‘Umberto D’ di Vittorio De Sica. Eppure, tutti sanno benissimo come la nostra società sia esattamente quella descritta da Sorrentino, ovverosia composta da ‘mignotte’, ‘marpioni’, imbroglioni, ‘pezzi di merda’ e quant’altro il Dio cattolico impostoci da santa madre Chiesa ci costringe a sopportare ogni giorno; eppure, non si può dire in faccia a un ladro che egli è tale, così come non si può spiegare a degli emeriti ‘buffoni’, sociologicamente immersi nella propria miserabile bramosia di denaro, sesso e cretine vacuità, in quale tunnel di cupo paganesimo continuano ad addentrarsi e a sprofondare. Qui da noi bisogna esprimersi per metafore o parabole, come faceva ‘qualcuno’ un paio di millenni fa. Una piattezza logica che ha contaminato anche il mondo più aperto e progressista, tutto intento a chiedersi cosa significhi, oggi, essere di sinistra. Ecco cosa significa! Il film di Sorrentino ha cercato di spiegarvelo per l’ennesima volta: vuol dire avere il coraggio di dichiarare esplicitamente che esiste ancora, grazie al cielo, una élite illuminata che vi disprezza tutti quanti dal primo all’ultimo, che vi conosce uno per uno, che è pronta a sputarvi in faccia per quell’atavica tendenza a voler fare i ‘manutengoli’ della più cinica malvagità, subendo lo spregio persino di quest’ultima. Vogliamo ancora parlarne? C’è ancora qualcosa che non è stato ben compreso? Non siamo di fronte a una crisi ‘passeggera’, ma sul ciglio della più deprimente disperazione. Un dramma di cui le giovani generazioni non solo non sono colpevoli, né più di tanto consapevoli - dato che, come al solito, si è avuto il terrore di ammettere di fronte a loro come stavano veramente le cose - ma alle quali si continua miserabilmente a far pagare errori altrui. Tutte questioni che non si risolvono né con gli insulti, né con la semplice propaganda e, men che meno, eleggendo in parlamento un centinaio di dilettanti allo sbaraglio, come già si era tentato, peraltro, nel 1994. La grande bellezza, noi italiani ce l’abbiamo intorno e la viviamo ogni giorno. La vera questione di fondo è che proprio non ce la meritiamo.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
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