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24 Novembre 2024

L'amaro di Suburra

di Ilaria Cordì
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L'amaro di Suburra

Il film che forse si aspettava da tempo. Potere, intrighi, sparatorie, in una Roma che ha perso le speranze. Non più i tempi d’oro degli antichi Romani: ora il 'guano' ricopre i piedi dei cittadini. Una realtà scioccante, interpretata da un cast d’eccezione, rigorosamente capitolino

Lo scorso 14 ottobre è uscito nelle sale italiane il film Suburra - da sub urba in latino, ovvero ‘sotto la città’- diretto da Stefano Sollima, noto per le grandi serie televisive di Romanzo Criminale e Gomorra, oltre al film ACAB - All Cops Are Bastard. Che, forse, al regista romano premesse mettere a nudo situazioni scomode del panorama italiano, non vi è ombra di dubbio. Ma la sua bravura risiede nel riuscire a far andar via gli spettatori, dopo 2 ore e 30 minuti di pellicola, con l’amaro in bocca, immersi in un silenzio surreale, capace di far sentire solo i pensieri dei singoli soggetti: «ma veramente succedono queste cose?»; «no, non è possibile, sicuramente sarà romanzato!». Sullo sfondo abbiamo una Roma inerte, notturna e piovosa; Filippo Malgradi - interpretato da un sempre ineccepibile Pierfrancesco Favino - politico corrotto, simbolo di una realtà quotidiana da 30 anni a questa parte, in un costosissimo hotel del centro si diletta, insieme a due escort (di cui una minorenne), tra i fumi dell’alcool e della droga. Ma le bugie hanno sempre le gambe corte e l’escort minorenne non sopporta le pressioni di una nottata di sesso e rock’n roll, concludendo la sua breve vita in un letto sconosciuto con due estranei. Favino/Malgradi, spaventato, si ritira lasciando tutto nelle mani della ragazza rimasta viva, costretta a chiamare un suo amico per nascondere il misfatto e proteggere colui che, per una nottata di bagordi, rischia di pagarla più di qualsiasi lavoro onesto. Ed è in questo momento che le storie iniziano ad intrecciare le loro fila, costruendo una ragnatela scenica che porta alla luce una realtà civica e istituzionale presente nella Roma del XXI secolo. Siamo nell’era dell’Apocalisse: politici venduti, che vendono a loro volta il proprio voto per un’auto blu; bande criminali che si spartiscono Roma come se stessero giocando a Risiko, e guai a invadere il rispettivo territorio, perché si potrebbe scatenare una guerra, non fredda, non bianca, ma di sangue. Entra in scena il secondo romano doc del film, il pr Elio Germano, ‘figlio di papà’ che organizza festini nella sua villa lussuriosa. Ma, tra champagne e festini, con musica a tutto volume, sebbene sia esperto di pubbliche relazioni, Germano si dimentica di parlare con il padre, che divorato dai debiti con lo 'zingaro' Manfredi - interpretato da Adamo Dionisi e ispirato a Vittorio Casamonica - decide tristemente di terminare il suo viaggio tra le correnti del Tevere. Nasce così il rapporto ‘obbligato’ tra il pr e lo 'zingaro', che astutamente gli ricorda di essere «robba sua». Ed ecco il terzo romano della pellicola, Claudio Amendola, detto il ‘samurai’ - ispirato a Massimo Carminati - che si barcamena a mantenere la situazione sotto controllo affinchè il parlamento (e il politico Malgradi) approvi la legge sulle periferie, per rendere il lungomare di Ostia una piccola Las Vegas. Lungomare gestito dalla banda di ‘Numero 8’ (Alessandro Borghi) e la sua ragazza ‘tossica’ Viola (Greta Scarano), proprietari della discoteca Piper e del litorale laziale. Ma quelli che vorrebbero diventare i nuovi ‘Re di Roma’ si pestano i piedi a vicenda, portando avanti per tutto il tempo del film una storia da brividi, che lascia a bocca aperta, non per la bellezza ma per la tristezza della verità, concludendosi nella maniera che forse tutti ci aspettavamo e che, in fondo, non volevamo ammettere a noi stessi. Suburra nasce dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, edito nel 2013, nella quale si vuol portare a galla una realtà silenziosa, che si muove nel 'sottobosco' romano, dove i più grandi inglobano i più piccoli, ma quest’ultimi cercano di tener testa ai 'pescecani' del 'mare magnum' capitolino. Il ritmo è incalzante, veloce, accompagnato da colonne sonore moderne, ma malinconiche, confermando così le scelte intraprese per le due serie e il film precedenti: una denuncia marcata del potere, che sia esso parlamentare, mafioso o meramente clientelare. Sembra esser stato fatto apposta: dieci giorni dopo le dimissioni dell’ormai ex sindaco Ignazio Marino, Roma continua a far vedere come il trono del Re debba rimanere vuoto, dato che uno solo non può comandare una città così immensa, tanto meno lottare contro le piccole realtà criminali, veniali e occulte che siano. È l’amaro diario di una Roma che affonda, ogni giorno di più. L'esempio in piccolo di un’Italia che non ha neanche più solamente la 'punta' fuori dall’acqua. Agghiacciante, ma permette allo spettatore di riflettere.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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