Il nuovo film di Francesca Comencini è un’ode all’amore paterno che segnala la maturazione narrativa della regista romana dai tempi di 'Pianoforte' (1984), vincitore del premio 'Vittorio De Sica' al Festival del cinema di Venezia e del docufilm 'Carlo Giuliani, ragazzo' (2002), basato sui fatti del G8 di Genova, passando per 'In fabbrica' (2007), 'Lo spazio bianco' (2009) e 'Un giorno speciale' (2012)
'Tutto il tempo che ci vuole' è un film che la regista Francesca Comencini ha scelto di dedicare al padre Luigi, grande regista del cinema italiano del dopoguerra. Tra le sue opere storiche, 'Tutti a casa' del 1960, sul traumatico 8 settembre 1943 per le truppe dell’Esercito italiano nella seconda guerra mondiale, 'Incompreso' del 1966 e la serie tv 'Le avventure di Pinocchio' del 1972. Pur essendo un omaggio al cinema, il film non si erge a manifesto autocelebrativo, semmai trasmette un profondo senso esperienziale. Fin dalle prime sequenze nella casa paterna, le inquadrature a grandangolo, le profondità di campo e il girato prevalentemente in interno allude a una sorta di 'incubatrice di sogno': un luogo femminile dove è concepita e dove nascerà l’opera futura della giovanissima Francesca. Il tutore di questa genesi/gestazione è il benefico maschile paterno di Luigi (un ottimo Fabrizio Gifuni, attore-feticcio del maestro Bellocchio, ndr), che guida con autorevolezza e dà fiducia. Durante la visione, lo spettatore è invitato a scardinare, con semplicità ed efficacia, i propri meccanismi di difesa, lasciando andare i flussi della memoria legati all’infanzia in un intimo e segreto un 'tete- à -tete': ciascuno potrà identificarsi con Francesca 'bambina' (una bravissima Anna Mangiocavallo, ndr), che teme la spaventosa balena di Pinocchio. A interrompere l’idillio tra padre e figlia, solo le voci dei telegiornali di quell’epoca, che annunciano un susseguirsi di fatti politici dell'Italia dei primi anni ‘70 del secolo scorso, eco di una realtà in pieno mutamento.
La magia del set
Nel film, la ricostruzione del set di 'Pinocchio', tra le stradine sterrate del parco archeologico di Veio (Rm), ripercorre le memorie di Francesca che accompagnava il padre Luigi al lavoro. “Ricordati che è una tutta un’illusione, una finzione: non c’è niente di vero”, dice il padre alla figlioletta Francesca durante la splendida sequenza della 'luce a cavallo': un termine tecnico, che si utilizza nella fotografia durante un girato. "Ma è bellissimo”, risponde lei, utilizzata sul set come piccola attrice. Come per dire che quel viaggio è una sublimazione onirica: “Che cos’è il cinema, se non un sogno a occhi aperti”?
La bambina cresce e s’innamora: esterni appena accennati
Come già raccontato dalla stessa Comencini nella sua opera prima 'Pianoforte' del 1984, non è semplice per la ormai adolescente Francesca (una promettente Romana Maggiora Vergano, ndr) affrontare l’esterno insidioso, per liberarsi dall’interno rassicurante della casa del padre, Luigi: nella suggestiva sequenza di Francesca che abbraccia il suo compagno, si passa da un vorticoso movimento di 'carrellata circolare', in cui i contorni dell’ambiente sono volutamente sfocati, a uno 'zoom out' che fa salire in verticale l’inquadratura - il cosiddetto 'effetto drone' - distanziandosi velocemente come fosse una 'navicella' che si proietta nello spazio e guarda la Terra da lontano. Gli esterni, in generale, soprattutto durante i primi racconti della vita adolescenziale di Francesca, sono appena accennati.
La vocazione di famiglia
Luigi e Francesca sono a Parigi. E il padre confessa alla figlia di aver scoperto la sua vocazione entrando in una sala cinematografica in cui si proiettava il film 'L’Atlantide' (1932): un riadattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Pierre Benoit del 1921, diretto George Wihellem Pubst. Il primissimo piano dell’affascinante regina Antinea e, soprattutto, lo spettacolare 'effetto d'improvviso' delle immagini del deserto e quelle di un teatro, lo avevano ammaliato. “Da quel momento, la mia vita ebbe una svolta”, sussurra sognante, perché, attraverso il cinema sarebbe fuggito dalla realtà.
La sintassi cinematografica
Il film, insomma, è impreziosito da una sintassi cinematografica efficace. Se pensiamo alla macchina da presa che segue o precede i due protagonisti, durante le loro passeggiate parigine, le atmosfere drammatiche non si lasciano attrarre dal melò. Grazie alle ottime interpretazioni attoriali e alla bella fotografia - si pensi ai campi lunghissimi sul set di Pinocchio - all’ottima sceneggiatura, 'Tutto il tempo che ci vuole' è un film riuscito, ben fatto, interessante. Da non perdere.
Tutto il tempo che ci vuole
Fuori concorso alla Mostra internazionale d’Arte cinematografica 'La Biennale' di Venezia 2024
Regia: Francesca Comencini
Sceneggiatura: Francesca Comencini
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Francesca Calvelli, Stefano Mariotti
Musica: Fabio Massimo Capogrosso
Scenografia: Paola Comencini
Costumi: Daria Calvelli
Suono: Lavinia Burcheri
Produzione: Kavac Film con Rai Cinema, Les Films du Worso, IBC Movie, One Art
Prodotto da: Simone Gattoni, Marco Bellocchio, Beppe Caschetto, Bruno Benetti
Con il sostegno del MiC e il contributo di Lazio Film Commission
Durata: 110 minuti
LE FOTO UTILIZZATE NEL PRESENTE SERVIZIO SONO DI VALERIA GIFUNI E FRANCESCA LUCIDI