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21 Novembre 2024

Una favola moderna

di Chiara Genovese
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'Il robot selvaggio', nuovo film Dream Works diretto da Chris Sanders (Lilo&Stitch, Dragon Trainer) è senza dubbio la miglior pellicola di animazione dell'anno

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Capita di rado che il pubblico in sala rimanga effettivamente composto e in silenzio per tutta la durata di un film. Quasi a non voler perdere neppure un istante della proiezione. Tanto più quando detto pubblico è composto, in gran parte, da bambini. Eppure, è quanto succede con 'Il robot selvaggio', il nuovo film Dream Works diretto da Chris Sanders (Lilo&Stitch, Dragon Trainer, ndr) e pubblicizzato, negli ultimi mesi, come "il miglior film d'animazione dell'anno". In effetti, questa pellicola riesce nell'impresa in cui 'Inside Out 2', suo rivale principale, è riuscito solo in parte: muovere da un concetto già affrontato e 'rinnovarlo', affinché non si abbia l'impressione di assistere a una trama già dipanata. Perché ammettiamolo: raccontare una storia totalmente originale, nel 2024, è un'impresa quasi impossibile. Tra decine di migliaia di film e milioni di libri già scritti, è improbabile che un'idea sia del tutto nuova. In questo, 'Il robot selvaggio' non fa eccezione: attinge a piene mani da storie già conosciute e molto amate, come 'Wall-E'; 'La gabbianella e il gatto'; 'Il gigante di ferro'; 'L'uomo bicentenario'. Tuttavia, questa pellicola di animazione offre un'esperienza diversa, in confronto ai suoi predecessori. A partire dall'estetica: i personaggi si muovono su disegni digitali, volutamente meno dettagliati rispetto agli sfondi iperrealistici a cui l'animazione contemporanea ci ha abituati. Elementi quali gli alberi o l'erba appaiono, talvolta, come macchie di colore che richiamano i dipinti impressionisti, conferendo un'atmosfera fiabesca e un po' retrò a un film altrimenti modernissimo. Il ritmo è quello preferito dalle nuove generazioni: incalzante, privo di momenti morti, caratterizzato da dialoghi vivaci arricchiti da una matura ironia, che strizza l'occhio allo spettatore adulto. Di certo, 'Il robot selvaggio' non è un film per bambini. O meglio, non solo per loro. Al contrario, il suo messaggio principale - uscire dal seminato del "sono fatto così" o del "si è sempre fatto così", alla scoperta di chi si è davvero e delle proprie inattese potenzialità - è qualcosa che i bambini, solitamente, sanno fare benissimo da soli, senza che nessuno glielo insegLocandina_robot_selvaggio.jpgni. Per gli adulti, o la maggior parte di essi, invece è più complesso. Forse, per questo motivo è così facile, per loro, immedesimarsi nella superefficente, ma emotivamente goffa, protagonista di questo film d'animazione. Tratto dall'omonimo libro illustrato di Peter Brown, dal titolo 'Il robot selvaggio' (Salani Editore), narra la storia di Roz, un robot multifunzione programmato per portare a termine pressoché qualsiasi compito le venga assegnato. Un elettrodomestico 'senziente', che tanto ci ricorda 'L'uomo bicentenario' di Isaac Asimov, magistralmente interpretato dal compianto Robin Williams nel 1999. Smarrita su di una rigogliosa isola, in seguito al naufragio della nave-cargo che la trasportava, Roz entra ben presto in contatto con la variegata fauna del posto, di cui impara a decifrare e a padroneggiare il linguaggio. La qual cosa, inizialmente, non sembra servirle a molto, giacché gli animali sono ugualmente terrorizzati da lei. Fuggendo dalla fauna ostile, Roz distrugge inavvertitamente un nido di oche e assiste alla schiusa dell'unico uovo sopravvissuto. Il pulcino, appena nato, ha l'imprinting con lei. E a quel punto sarà compito di Roz - che non lascia mai un lavoro incompiuto - fargli da madre, nutrirlo, proteggerlo, insegnargli a nuotare e a volare. Il tutto con l'aiuto di un'improbabile alleato: una volpe scaltra e insincera, ma di buon cuore.
Ci troviamo, insomma, di fronte a una favola moderna, dalle molteplici 'chiavi' di lettura. Il film prende le mosse in quanto analogia del razzismo, ma poi si trasforma in una parabola sulla genitorialità e sulla vana pretesa di essere genitori perfetti - "Nessuno lo è!", dice Mamma opossum a Roz, che le confessa di non essere programmata per fare la madre: "Noi tutte improvvisiamo”. E termina con un invito ad andare oltre i propri limiti, anche quelli apparentemente invalicabili, per raggiungere il proprio obiettivo. Di più: è possibile trascendere la propria stessa natura - la 'programmazione' - per un bene superiore. È così che gli abitanti dell'isola sopravvivono ai rigori dell'inverno, rinunciando a predarsi tra loro per poter condividere un rifugio. Ed è così che Roz scopre di poter provare sentimenti per cui non era stata programmata. Ed è ancora così che Becco Lustro, l’ochetta troppo piccola per la sua specie, pertanto destinata a soccombere, può migrare insieme al resto del suo stormo. E’ così, insomma, che 'bypassando' la propria programmazione, ci si può abbandonare alle emozioni. E il pubblico, non importa quanto adulto e smaliziato, si ritrova inevitabilmente a commuoversi durante la visione: perché si trova di fronte a un film che, sebbene racconti di un robot e della sua amicizia con una popolazione di animali, ci ricorda a essere umani. E di essere umani migliori.
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Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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