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23 Novembre 2024

The Pills: sempre meglio che lavorare

di Giorgio Morino
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The Pills: sempre meglio che lavorare

Luca Vecchi, Luigi Di Capua e Matteo Corradini, i The Pills star di Youtube, approdano sul grande schermo con una pellicola che racchiude tutte le idiosincrasie dei ragazzi verso il lavoro e le loro angosce sul tempo che passa: tra citazioni riuscite, buchi di sceneggiatura, ingenuità alternate a gag più o meno riuscite, i ragazzi del Pigneto non riescono a convincere del tutto

Dire che la prima esperienza sul grande schermo dei The Pills, il trio comico romano nato nel 2005 dall’incontro fra tre studenti del Centro sperimentale di cinematografia e diventati famosi su Youtube grazie alla loro web series 'THEPILLSeries', fosse attesa con speranza ed entusiasmo dagli addetti ai lavori è un eufemismo. La coinvolgente intesa comica tra Matteo Corradini, Luigi Di Capua e Luca Vecchi, capace non solo di far ridere lo spettatore ma anche di portarlo a riflettere su quelli che sono i problemi dei giovani tra i venticinque e i trent’anni, avrebbe dovuto ricevere al cinema la definitiva consacrazione. Peccato che il risultato finale di 'The Pills – Sempre meglio che lavorare' sia un pasticcio indefinito e confusionario, capace di strappare solo qualche risata, ma nulla più. Seguire le gesta di questi tre ragazzi trentenni, le cui giornate ruotano attorno a un tavolo dove bevono caffè, fumano erba ed evitano accuratamente di lavorare, lascia un terribile retrogusto amaro sul palato dello spettatore, che si ritrova incapace di stabilire se quello a cui sta assistendo sia effettivamente una commedia, una tragedia o una tragedia che, qui o là, fa ridere. Il contesto di fondo, cioè che l’amicizia tra i tre protagonisti si basi sulla reciproca avversione per il lavoro e sull’evitare a ogni costo qualsivoglia responsabilità, rasenta il surreale e lo straniante: che il lavoro sia una specie di tabù, addirittura una 'droga' la cui dipendenza porta il malcapitato lavoratore su una strada senza ritorno, può risultare in prima battuta un’espediente comico convincente, capace di strappare qualche sorriso, ma se ci spostiamo sul piano della riflessione, il 'castello di carta' costruito da quest’operazione sconclusionata crolla miseramente. Guardando il film, sembra sempre di trovarsi di fronte a un affresco incompiuto, un puzzle dove i pezzi sono stati messi nel posto sbagliato: il ritmo è, a tratti, inesorabilmente lento e la vis comica dei tre protagonisti, che quando interagiscono tra loro è sempre efficace, come su Youtube, si dimezza drasticamente quando si ritrovano soli o a interagire con i personaggi di contorno che popolano questo universo fatto di lavativi, eterni 'Peter Pan' in continua attesa della 'svolta'. “A me di affrontare la vita non me va': non mi va di andare a lavora'; non mi va di mettere la sveglia alle sette e mezza, perché una vita con la sveglia alle sette e mezza non è una vita che vale la pena di essere vissuta”. Perché mettersi a cercare un lavoro, perché iniziare una vita sicuramente priva di soddisfazioni ed estraniante, quando si può aspettare seduti, affrontando la vita a colpi di dissacrante nichilismo, canne e caffè a profusione e la promessa di non affrontare mai insieme le responsabilità. Lo sfondo scelto è quello del Pigneto, quartiere della periferia romana, oggi divenuto misteriosamente 'in', che qui diventa una sorta di 'Far West': uno scenario dove i negozi gestisti dai Bangla fanno da copertura a una rete segreta internazionale che si dirama in tutto il Paese; alle feste dei ragazzi gira più erba che birra, ma la vera trasgressione è fare un turno di notte come lavapiatti; genitori che decidono di mollare tutto perché stufi di 'campare' la famiglia e si riscoprono artisti su Instagram o registi di web series. Tutto questo minestrone di situazioni paradossali è tenuto insieme dai tre protagonisti e dalle loro vicissitudini 'autobiografiche', le loro insicurezze e incapacità relazionali. Luigi affronta il passaggio verso i trenta anni regredendo allo stadio liceale, facendo occupazione al liceo, ma scoprendosi troppo 'vecchio' e non in linea con i ragazzi di oggi; Matteo non riesce più a 'fumare', trovandosi a fare i conti con un padre che non è più quello che l’ha cresciuto; Luca vorrebbe 'fare di più': vuole lavorare e aprire il proprio negozio 'bangla'. Il tutto è infarcito da un'infinita sequela di citazioni più o meno evidenti, cha spaziano da 'L’attimo fuggente' agli stalli alla messicana de 'Le Iene', passando per 'Fight Club' e 'Batman Begins', che movimentano la narrazione e riescono a strappare più di una risata allo spettatore, divertito ma mai del tutto convinto della bontà di ciò a cui sta assistendo.
In un certo senso, l’avventura di questi tre ragazzi può riassumersi nella metafora della 'cicorietta' che Luigi elabora a fine pellicola: “Hai presente quando odiavi la cicorietta ripassata in padella che ti faceva la mamma, ma poi col passare del tempo hai cominciato ad apprezzarla? Crescendo ci sono delle cose che prima pensavi non ti sarebbero mai piaciute, ma non è detto che non possano piacerti”. Dopo aver visto gli italiani ossessionati e disposti a tutto per avere il 'posto fisso' in 'Quo vado?', qui abbiamo i ragazzi che dal posto fisso sono terrorizzati, ma che prima o poi dovranno necessariamente maturare e farsi piacere la loro 'cicorietta'. Uno spaccato della realtà forse eccessivo e focalizzato su un contesto troppo specifico, interessante nelle sue premesse, ma indirizzato verso la direzione sbagliata.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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