Il mensile di informazione e approfondimento che
intende riunire culturalmente il nostro Paese nel pieno rispetto di tutte le sue tradizioni, vocazioni e ispirazioni ideologiche e politiche.
diretto da Vittorio Lussana
Area Riservata
4 Dicembre 2024

Il segreto di Italia, film revisionista sull'eccidio di Codevigo

di Vittorio Lussana
Condividi
Il segreto di Italia, film revisionista sull'eccidio di Codevigo

Il film di Antonello Belluco, nelle sale italiane da un paio di settimane, è una pellicola revisionista ispirata a fatti realmente accaduti nella primavera del 1945: un 'punto di vista' storico che ha destato qualche polemica 

Italia Martin è una ragazzina di 15 anni che sta vivendo una delicata fase di crescita: quella del ‘primo amore’. Emozioni nuove si mescolano con la passione e la fretta di essere considerata, finalmente, una donna adulta. Il ragazzo verso cui sono indirizzati i suoi sentimenti si chiama Farinacci. Il giovane si ritrova questo nome poiché il padre, Silvio, capo di una banda di squadristi, ha inteso rendere omaggio in questo modo al Ras di Cremona, nonché popolare Segretario del Partito nazionale fascista. Lo sfondo di questo film, tuttavia, non è la provincia cremonese, bensì Codevigo, una località del vicino Veneto rurale e contadino in provincia di Padova. Un ambiente semplice, caratterizzato da un paesaggio bucolico, che ha avuto la fortuna di non essere nemmeno ‘sfiorato’ dalla guerra. Proprio per la sua relativa tranquillità, il Pnf invia in paese Ada, la moglie di un eroe di guerra dato per disperso. La donna viene affidata proprio ai Martin, considerata famiglia di fiducia, poiché convintamene fascista sin dalla ‘prima ora’. Ada è la classica ragazza di città, carina e sofisticata, che finisce col diventare un modello di riferimento per Italia: l’amica e la donna che lei stessa vorrebbe un giorno diventare. Ma di Ada si innamora proprio Farinacci, che considera Italia solamente una ragazzina. 
Qui c’è un primo ‘snodo’ che questo film, ben diretto da Antonello Belluco, affronta con una certa schiettezza, senza ipocrisie: il giovane Farinacci, orgoglioso della sua camicia nera, nei confronti di Italia ha un atteggiamento ambiguo. Da una parte, la considera solamente una compagna di giochi, ma dall’altra, risultando Ada un obiettivo ‘proibito’, tende ad alimentare le speranze dell’adolescente, rappresentando in tal modo l’ambiguità stessa del fascismo, che per un verso si professò dottrina autenticamente rivoluzionaria, ma per un altro finì col trasformarsi in un vero e proprio ‘guardiano’ delle velleità di riscatto sociale del tradizionalismo piccolo-borghese. 
Nel frattempo, in paese arriva anche Mauro, un personaggio misterioso, ottimamente interpretato da Fabrizio Romagnoli, un attore di cui sentiremo parlare spesso in futuro, in quanto autentico erede dello stile recitativo di Michele Placido. Mauro prende possesso di una stanza presso l’albergo che sovrasta la piazza principale di Codevigo. I tedeschi, per questioni di sicurezza, gli sequestrano una vecchia macchina fotografica, che l’uomo descrive come un mero ricordo di famiglia. Ma non appena si ritrova da solo nella sua camera d’albergo, Mauro tira fuori quelle, ben più moderne, che ha opportunamente tenuto nascoste, per fotografare e segnalare ai partigiani, ormai incombenti, le figure di maggior rilievo dei ‘repubblichini’ della zona, tra i quali, lo stesso Farinacci. Ormai il conflitto mondiale volge al termine. E i fascisti scappano. Ma Farinacci rifiuta di darsi alla macchia, poiché sente, in cuor suo, di non aver fatto nulla di male. 
A questo punto dell’opera s’intersecano alcune tematiche appositamente inserite dagli autori: Farinacci e il padre stesso di Italia, Franco Martin, vengono dipinti come dei ‘fascisti in buona fede’, i quali hanno creduto ingenuamente in un ideale poi rivelatosi ‘centralista’, che ha finito col lasciar fuori il popolo dalla Storia. Un popolo che ora paga, in prima persona, le megalomani ambizioni di Mussolini. Così accade, per esempio, alla maestra elementare di Codevigo, che non era fascista, ma che aveva giurato la propria fedeltà al regime per poter continuare a insegnare. La povera ‘maestrina’, catturata dai partigiani, viene brutalmente picchiata, le vengono tagliati i capelli - segno inequivocabile di riconoscimento ‘femminile’ di chi, all’epoca, aveva collaborato coi nazifascisti - e trascinata sulla piazza del paese come monito di quel che sarebbe accaduto a chi non si fosse adeguato alla nuova situazione. Le fotografie di Mauro finiscono nelle mani delle ‘bande’ partigiane, che organizzano una festa da ballo per celebrare la fine della guerra ed essere accettati dalla popolazione come dei liberatori. Alla festa partecipa anche Farinacci. Italia è convinta che il ragazzo sia coraggiosamente rimasto in paese per amor suo. Invece, Farinacci è ormai innamoratissimo di Ada, in compagnia della quale, a un certo punto della serata, si dilegua. Isotta, la cagnolina della famiglia Martin, guida Italia proprio verso il fienile in cui Ada e Farinacci stanno facendo l’amore. Così, Italia scopre la verità. E le crolla il mondo addosso. Ferita e ingelosita, corre lei stessa a segnalare alla brigata comunista la presenza di Farinacci in paese. I partigiani, immediatamente approfittano del pretesto, per scatenare la loro sete di vendetta: catturato Farinacci, radunano insieme a lui tutti gli altri fascisti del circondario, sulla base, ovviamente, delle indicazioni fotografiche di Mauro. Ma tra i fascisti catturati c’è anche Franco Martin, il padre di Italia. Mauro, presente alle esecuzioni, trova il modo di salvare la vita di Franco, facendolo passare per morto. E qui il film detta un’ulteriore indicazione, che può esser letta in svariate e molteplici maniere: gli autori descrivono i partigiani come una banda di delinquenti privi di scrupoli, con l’eccezione di Mauro che, invece, è capace di distinguere chi è stato fascista per puro interesse personale da chi, in quella precisa fase storica, non poteva far altro. Anzi, Mauro fa un ragionamento in più: salva la vita al padre di Italia, poiché questi si sentiva ormai tradito da Mussolini, divenuto un semplice ‘manutengolo’ delle volontà deliranti di Hitler. 
Un’argomentazione storicamente interessante, tesa tuttavia a dimostrare una certa validità dell’ideale fascista nelle sue idee originarie, repubblicane e ‘socialisteggianti’, tradite quasi subito dal ‘Duce’ per mere finalità di potere. Il ravvedimento di Franco Martin, dunque, appare quanto meno tardivo e, forse, opportunistico. In ogni caso, superata questa ‘chiave di volta’, il film si trascina un po’ stancamente verso la fine, in cui un’Italia ormai 55enne, interpretata da un’inedita Romina Power, dopo una vita di rimorsi dettati dalla convinzione di aver sostanzialmente dato il via a un eccidio, continua a non perdonare a se stessa quanto accaduto. Ma Mauro, il partigiano ‘buono’, durante una visita al cimitero per rendere omaggio alle lapidi di Farinacci e di Ada, le spiega come questo suo rimorso sia largamente immotivato, poiché la strage risultava già premeditata ‘a monte’ dalle forze partigiane.
Fine della storia: i partigiani sono i ‘cattivi’ e la gente normale è sempre ‘buona’, moralmente al di sopra di tutto, anche del proprio ‘passivismo’ nei confronti del primo ‘buffone’ in camicia nera che si affaccia sul quadrante della Storia. 

Pur tenendo presente che si tratta di un buon film, ben diretto e caratterizzato da un’ottima fotografia - capace di rendere bellissimo, per esempio, il volto della mamma di Italia, la ‘mediterranea’ Elisabetta De Gasperi - il concettualismo in esso sotteso finisce con l’apparire discutibile, nel suo sforzo di dissimulare un’evidente finalità revisionista. È certamente buona cosa rileggere alcuni accadimenti della Storia, anche attraverso degli episodi particolari, secondo un punto di vista apparentemente 'inusuale', ma che non lo è affatto: quello della piccola borghesia rurale che, per lungo tempo, ha rappresentato la vera base di consenso del fascismo. Inoltre, fa piacere osservare come anche da destra, finalmente, si muova qualcosa di propositivo, tendente a ‘produrre discorso’, secondo modalità espressive decisamente distinte rispetto a un certo irriducibilismo rancoroso e reazionario. 
Tuttavia, fatti salvi questi elementi, il film non riesce a cogliere il ‘cuore’ della questione: il vero ‘spirito storico’ dei giorni immediatamente successivi all’insurrezione generale, ordinata dai Partiti del Comitato di Liberazione Alta Italia. L’eccidio perpetrato a Codevigo è senz’altro da condannare: ciò è fuori discussione. Quel che proprio non si riesce a far intendere è che anche fatti di questo genere non possano minimamente esser posti sul medesimo piano degli eccidi messi in atto dai nazi-fascisti in altre parti d’Italia. Fatti che furono il vero movente d’origine delle successive vendette, anche personali, consumatesi nei giorni immediatamente successivi al 25 aprile 1945. 
In una guerra, soprattutto una guerra civile, ci sono momenti per la commozione e per la tenerezza. E ci sono momenti per ciò che è spietato, o per ciò che spesso viene definito come tale. Ma molte volte può trattarsi solamente di sapere cosa si deve fare e di farlo: freddamente, razionalmente, con gli occhi aperti. Allorquando si trattano tematiche di questo genere, non si può non tenere in debita considerazione come il contesto oggettivo di una guerra civile rappresenti un elemento di condizionamento ‘esogeno’ di quasi tutti gli eventi che si narrano. Soprattutto, se si tiene presente che, nel nord d’Italia, alcune squadre fasciste, come la Muti o la stessa ‘banda Koch’, abbiano combattuto sino a maggio inoltrato. I cadaveri di Mussolini e della Petacci appesi per i piedi in piazzale Loreto, a Milano, rappresentano un fatto storico da considerare ‘psicodrammatico’. Ma non si può nemmeno estrapolarlo rispetto alla realtà di un fenomeno, il fascismo, che aveva preteso di ‘giuocare’ con le masse al fine di utilizzarle, senza cioè tenere in minima considerazione quali potessero essere gli esiti e le conseguenze per chi ha ritenuto di riuscire a manipolare e a manovrare il popolo a proprio piacimento.
Siamo i primi a considerare l’esistenza storica, all’interno del regime ‘mussoliniano’, di una sorta di ‘fascismo di sinistra’, quello che probabilmente ha animato il papà di Italia. Tuttavia, bisogna anche avere il coraggio di ammettere che si trattò di una corrente minoritaria, mantenuta ai margini con la colpevole e silenziosa complicità della Chiesa cattolica. La quale, a quei tempi, era quella di padre Agostino Gemelli, non dei Montini, dei Roncalli o dei Bergoglio; era quella che mise all’Indice gli ‘opera omnia’ dei Croce, dei Gramsci e perfino dello stesso Gentile; era quella che non espresse verbo alcuno in segno di protesta contro la ‘fascistizzazione’ delle scuole, delle università e dello Stato; era quella che si disinteressò di questioni come il giuramento di fedeltà al fascismo o dei docenti in ‘camicia nera’, tanto agognati dal ministro De Vecchi di Valcismon; era quella che protestò assai flebilmente nei confronti del ‘Manifesto della razza’ e della successiva legislazione che ne derivò. 
Tutto questo rende il clericofascismo italiano colpevole di favoreggiamento e di totale complicità con il nazionalsocialismo tedesco, di cui è stato storicamente precursore, ispiratore e anticipatore. 
Molti ambienti revisionisti, proprio in questi giorni rimarcano come questo film, ‘Il segreto di Italia’, per alcuni aspetti interessante, stia passando sotto silenzio, o non stia meritando l’attenzione della critica. A parte il fatto che scrivere una recensione serve a informare il pubblico in merito alle tematiche sollevate da una pellicola e non certo a pubblicizzarla, né direttamente, né indirettamente. Ma pur prescindendo da ciò, se proprio si vuole che qualcuno ‘alzi la penna’ si dovrebbe presentare un’opera dotata di un ‘input’ storiografico più complessivo, maggiormente approfondito: non si può presentare un eccidio partigiano senza far minimamente cenno al fatto che vi fossero ancora in circolazione gli arditi della ‘bella morte’, gli esaltati della banda Carità, lo stesso esercito tedesco in ritirata, il quale per nutrirsi e rifocillarsi depredava casolari e contadini. Altrimenti, un eccidio del genere non si spiega in altro modo se non quello dell’odio ideologico, come infatti suggerisce, erroneamente, questa pellicola. In una guerra civile, gli uomini danno il peggio di se stessi. E nel secondo conflitto mondiale ciò è quanto accaduto nelle forme più cruente e crudeli di sempre. Ma un contesto storiografico non può essere ‘giustificazionista’, o giudicato con gli occhi dell’oggi. A meno che non si voglia far intendere, in qualche modo, che gli ebrei morti nei campi di concentramento non furono 6 milioni, ma solamente due, come se la questione fosse semplicemente un problema di quantità. Oppure, che il fascismo abbia cercato di prendere le distanze dal ‘delirio hitleriano’, quando ciò non è affatto vero, poiché si era pronti a difendere la valle del Po “con le unghie e con i denti”, come disse Mussolini in persona nel suo ultimo discorso. 
Il ‘segreto di Italia’ non è un film ‘fascista’: certamente no. Ma è un film revisionista. E la critica non può far altro che registrarlo come tale, se ci si espone con un’opera così controversa. È bene che gli autori di questo film lo comprendano, nel pieno rispetto del buon lavoro, talvolta didascalico, chi ha composto le musiche. O di chi lo ha diretto, fornendogli un buon ‘taglio’ neo-verista. E anche di chi lo ha ben recitato in dialetto veneto: una scelta che rende omaggio al miglior Olmi de ‘L’albero degli zoccoli’, dopo decenni in cui si è cercato, con enorme fatica, di far comprendere alle destre - quelle romane soprattutto, ma non solo - i profondi motivi culturali di rievocazione linguistica e storica che stavano dietro a una scelta del genere da parte del grande regista bergamasco. 
Insomma, fatti salvi tutti i meriti artistici di questa pellicola - poiché ne possiede… - l’argomento era comunque rischioso. E lo era a tal punto che l’eventuale indifferenza di molti colleghi può già considerarsi, in qualche modo, un risultato, che registra un revisionismo che ha ormai raggiunto, stabilmente, una ‘terra di nessuno’ in cui il giudizio non può che rimanere sospeso per una ragione ovvia: la cultura di destra ci ha messo 70 anni per capire che, se aveva delle cose da dire, doveva esprimersi attraverso libri, opere, film e documentari. Dov’erano i suoi Zavattini, i suoi De Sica, i suoi Visconti, i suoi Rossellini e Pasolini? L’obiezione a tali argomentazioni è sempre la stessa: “Di queste cose, in passato non se ne poteva nemmeno parlare…”. E chi lo impediva? L’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche? Ben venga una nuova cultura di destra che cerca nuove forme espressive, capaci finalmente di andare al di là del ‘manganello’. Ma si eviti, per favore, di ‘scaricare’ sugli altri colpe che gli altri non hanno, poiché questa sì che risulta un’antica e cattiva abitudine. Che ben conosciamo…

IL SEGRETO DI ITALIA
di Antonello Belluco, con Romina Power, Giovanni Capalbo, Fabrizio Romagnoli.

Ispirato a fatti realmente accaduti nella primavera del 1945. A deposizione delle armi avvenuta, Codevigo, paese della bassa padovana, vive la guerra solo dopo la liberazione.. Il dramma di una famiglia in quello che è stato l’eccidio di Codevigo, commesso dai partigiani comunisti e vissuto attraverso gli occhi e i sentimenti di un agiovane ragazza: Italia.
Il film è prodotto da ERIADORFILM


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
EDITORE: Compact edizioni divisione di Phoenix associazione culturale