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Mentre l’Italia è ancora alle prese con le manifestazioni per il riconoscimento dei diritti civili, il Regno Unito per la comunità transessuale conia un nuovo pronome. La città di Brighton apre le porte a Mx Trans
Il termine ‘omosessuale’ fu utilizzato per la prima volta nel 1869 da un letterato ungherese, Karl-Maria Kertbeny, in un pamphlet contro il ministero della Giustizia prussiano per una legge che puniva coloro che compivano atti sessuali fra persone dello stesso sesso, prevalentemente maschile. Kertbeny introdusse, inoltre, i termini ‘normosessualità’ e ‘bisessualità’, che lasciarono poi spazio, intorno agli anni ’20, a ‘eterosessualità’ e ‘omosessualità’. Da allora la terminologia che specifica l’orientamento sessuale ha vissuto una sua evoluzione, ma le accezioni negative e i tabù sono restati immutati. Certo, nei contesti più politically correct, è di uso comune il termine LGBT (Lesbiche-Gay-Bisessuali-Transgender) per descrivere la non-eterosessualità, ma nel parlato (e pensato) comune c’è sempre un certo disagio al trattare l’argomento. Si è parlato molto di come i giovanissimi siano più aperti alle differenze di genere. Dovremmo esserlo un po’ tutti a dire il vero, visto che le serie tv e molte celebrities ne parlano apertamente. Eppure le chiusure e gli stereotipi che ci condizionano sono ancora moltissimi. D’altronde, anche negli Stati Uniti, c’è voluto oltre un ventennio di battaglie del movimento di liberazione sessuale per vedere riconosciuti i diritti degli omosessuali, i matrimoni e le adozioni. Ma che una società che cambia richieda nuove leggi, non è una questione che riguarda solo il nostro Paese. Ci riferiamo, in questo caso, al riconoscimento dei transgender. È recente l’iniziativa della The Royal Bank of Scotland (RBS), rivolta ai clienti transessuali o che intendono cambiare sesso, ai quali ci si rivolgerà – nella corrispondenza e nel dialogo – con la sigla Mx. La sigla è stata introdotta, lo scorso anno, all’anagrafe di Brighton, città nota per avere accolto con grande anticipo i vari temi della liberazione sessuale. L’iniziativa ha destato un certo clamore nel Regno Unito tanto che altre due sedi bancarie del Paese, Barclays e Lloyd, stanno provvedendo ad aggiornare i metodi comunicativi per integrare al meglio la comunità LGBT. Per definizione il termine ‘transgender’ è definibile come ‘termine ombrello’, ovvero una iperonimia – specifica relazione semantica di due termini che indicano un campo semantico esteso n.d.r.– che racchiude tutti i soggetti singoli che rientrano in questo modello sessuale. Il pensiero ‘transgenderista’ sostiene che, genericamente, il binomio uomo/donna non è da considerarsi come due entità separate e a se stanti ma come un’unità inscindibile di essere. La logica genderista, che ha introdotto un nuovo modello politico, sociale e culturale, ha una visione dei diritti umani più ‘elastica’. E si può classificare come una sfumatura della rigida dicotomia maschio/femmina. Difficile è il coming out (letteralmente ‘uscir fuori’) del soggetto transgender poiché significa rendere pubblico il proprio orientamento sessuale e, talvolta, ciò comporta una discriminazione da parte di coloro che ritengono che la normalità risieda nell’eterosessualità, causando così, a livello psicologico, psichiatrico ed endocrinologico, una netta differenziazione della declinazione naturale del genere maschile e femminile. Occorre, però, sottolineare una differenziazione concettuale. A livello medico e legale, parallelamente a quanto accade agli eterosessuali, anche in quest’ambito vi è una distinzione di genere: salvo rare eccezioni, il passaggio da uomo a donna è descritto con il termine androginoide, o viceversa, ginandroide. Al di là della terminologia medica, è chiaro che in termini di integrazione sociale le cose si fanno un po’ complicate. L’identità transgender ha portato alla nascita della costruzione popolare e collettiva della ‘transfobia’ (l’avversione nei confronti degli individui che scoprono di appartenere a un sesso diverso da quello della nascita). Secondo un sondaggio condotto nel 2013 dalla Comunità europea, il 35% delle persone transgender intervistate ha denunciato atti di violenza o minacce alla propria persona e il 29% di questi dichiara di essere escluso sul posto di lavoro, o persino, di non trovarne. I dati diffusi dal progetto internazionale The Trans Murder Monitoring (TGEU) – progetto che monitora costantemente, raccoglie e analizza i casi di omicidio di transessuali nel mondo – mostra che dal 2008 a oggi sono stati registrati ben 1.162 morti a causa della transfobia nel mondo. In Italia, 27. Per questo motivo, il 20 novembre ricorre annualmente il Transgender Day of Rimembrance (TDoR), la giornata internazionale in ricordo delle vittime della transfobia Secondo le ricerche TDoR, nel 2014 sono stati commessi 226 omicidi per omofobia nel mondo (il nostro Paese si classifica ai primi posti, per casi registrati). L’Italia, quest’anno, ha visto protagoniste le città di Roma, Bologna e Catania nella lotta continua affinché il disegno di legge n°405 (http://parlamento17.openpolis.it/atto/documento/id/6267) a cui si riferiscono le norme in materia di modificazione dell’attribuzione di sesso, venga approvato in parlamento e i richiedenti possano avere la possibilità di ottenere nuovi documenti con la scelta del nome scelto e del sesso anagrafico. Lo scorso ottobre, le associazioni a tutela dei diritti LGBT hanno fatto appello al presidente Renzi, ai presidenti delle due Camere (Boldrini e Grasso) e alle Commissioni della Giustizia e dei Diritti Umani, al fine di far approvare il DDL 405. Per allontanare il medioevo morale italiano e mondiale, il MIT – associazione onlus per il movimento dell’identità transessuale - (http://www.mit-italia.it/) in occasione della ricorrenza del 20 novembre ha lanciato una campagna sociale che ha come slogan: ‘Un altro genere è possibile’. L’obiettivo è quello di sostenere l’identità sessuale a prescindere dall’intervento chirurgico, come afferma la presidentessa Porpora Marcasciano. Da un punto di vista sociologico, transgender «è una nozione astratta e ideale in cui due opposti tendono ad essere un’unica identità» sostiene Anna Lisa Tota, professore straordinario alla facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tre, dove insegna Sociologia e Comunicazione. “Tale identità la costruiamo noi stessi. Infatti, chiamarlo ‘stigma’ è molto. Vi sono grandi e molti pregiudizi, perché sono persone che ‘vanno contro’ ciò che si tende a definire ‘normale’. Ognuno ha il diritto di vivere la sua sessualità, a meno che non vada a danno di altre persone. Una tale visione è una preclusione mentale e morale: essere transgender non è un crimine”.
Approfondimenti: La diversità ‘violata’ di Carla De Leo