Viviamo in un’epoca dove molti elementi e simbolismi perdono il loro significato e vengono trasfigurati: mettere un Buddha in una discoteca implica desacralizzare e far perdere l’importanza delle cose o, peggio ancora, finire per distorcerle
Per molte persone, specialmente in occidente, la parte sacra dell’esistenza quotidiana è purtroppo venuta meno. Se pensate che nel Medioevo, spesso erroneamente ritenuta un’epoca oscura, tutto girava intorno a Dio e alla sua manifestazione è inverosimile come oggi l’aspetto divino delle cose sia divenuto invisibile agli occhi dei più.
Abbiamo perduto la capacità di accettare ciò che c’è di miracoloso nella vita e in tutto ciò che ci circonda, ma non solo. Viviamo in un’epoca dove molti elementi e simbolismi perdono il loro significato e vengono trasfigurati. Mettere un Buddha in una discoteca implica desacralizzare e far perdere l’importanza delle cose o, peggio ancora, finire per distorcerle. Non si tratta ovviamente solo di 'Siddharta', ma di qualsiasi forma spirituale che venga impiegata come decorazione senza attribuirgli un senso, decontestualizzandola, senza cioè comprenderne la sua funzione sottile, né tanto meno rispettarla. Così facendo banalizziamo ciò che così banale non è, allontanandoci dal comprendere la nostra vera essenza. Ci smarriamo a noi stessi, perché non cogliamo più chi siamo e qual è il nostro proposito nella vita, ciò che si definisce, in oriente, come 'dharma', Come scriveva, già nel 1927, l'esoterista francese René Guénon, in ‘La Crise du monde moderne’ (edito in Italia da Edizioni Mediterranee, ndr): “Il tesoro della saggezza ‘non-umana’, anteriore a ogni età, non può mai perdersi. Esso si avvolge, tuttavia, di veli sempre più impenetrabili, che lo nascondono agli sguardi e sotto i quali è estremamente difficile scoprirlo. E’ per questo che, sotto simboli diversi, dappertutto si è parlato di qualcosa che si è perduto, almeno in apparenza e per il mondo esteriore e che va ritrovato da coloro che aspirano alla conoscenza vera. Ma è stato anche detto che quel che è diventato così nascosto ridiverrà visibile alla fine di questo ciclo: fine che, in virtù della continuità che collega insieme tutte le cose, sarà in pari tempo il principio di un ciclo nuovo”. Nonostante si possano non condividere le visioni di Guénon, questa sua riflessione è utile a indicare come questa situazione non dipenda interamente da noi. La condizione del mondo moderno era già stata determinata e ha un nome: 'Kali Yuga'. Ovvero, l’epoca dell’ignoranza, dove secondo la tradizione indiana del 'Sanatana Dharma', la realtà materica diviene volgare, pesante, lontana dalla verticalità dello spirito. Simile al concetto dell’Apocalisse nel contesto del cristianesimo. Secondo questa concezione del tempo, le epoche vengono divise in quattro cicli, ognuna con le sue specifiche caratteristiche determinanti. Ogni ciclo viene chiamato 'yuga' e sono: 'Satya', 'Treta', 'Dwapara' e 'Kali'. L’ultima, appunto, è quella in cui ci troviamo adesso. In un'epoca particolare come questa, possiamo diventare coscienti o decidere di rimanere in 'pilota automatico', seguendo una vita 'adharmica' con una esistenza allontanata dal proposito della nostra anima. Un vuoto celebrato dal 'transumanesimo', dalle intelligenze artificiali, da mascherate pratiche 'new age' e da sistemi oscurantisti devoti alle energie che prevalgono nell’epoca della 'Kali Yuga'. Ma anche questa forma di passività nei confronti della vita è una scelta. Sta a noi diventare responsabili del nostro 'dharma' e decidere quale tipologia di energie vogliamo incarnare, quali qualità coltivare e, quindi, quanto portare alla coscienza gli aspetti più sottili e divini del nostro 'Sé', per dare inizio alla successiva epoca: quella della purezza ‘Satya Yuga’.
Citando la 'Bhagavad Gita' (4:7,8): “Ogni volta che la virtù diminuisce e la malvagità prevale, mi manifesto. Per stabilire la virtù, per distruggere il male, per salvare il bene vengo di Yuga in Yuga”.