Tradizioni secolari che descrivono una religiosità popolare autentica e gioiosa, molto lontana dai dogmatismi istituzionali
Per tre volte l’anno, la città di Napoli è avvolta da una magia. La prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre, il popolo partenopeo si pone in attesa che San Gennaro, il suo santo patrono, si manifesti attraverso la liquefazione del sangue. E’ veramente interessante osservare, in quell’occasione, l’afflato che lega da sempre il capoluogo campano al suo santo. Le donne anziane del popolo, le “parenti” prostrate in preghiera, si rivolgono a lui, chiamandolo confidenzialmente "faccia n’gelluta", dal colore della scultura che ne raffigura l’effige in Duomo. Si lamentano direttamente con il santo se il prodigio tarda a manifestarsi, rapportandosi a questi come a un figlio, in virtù del rapporto di atavica appartenenza a lui e alla sua nutrice, Eusebia.
La prima domenica di maggio, giorno in cui il sangue del santo si scioglie per la prima volta, il suo busto, con il reliquiario e le effigi argentee dei compatroni di Napoli, attraversa la città in una processione sfolgorante, per raggiungere la basilica di Santa Chiara. Gli altri due miracoli si verificano, invece, il 19 settembre e il 16 dicembre, giorni in cui, rispettivamente, è avvenuta la decapitazione di San Gennaro e, nel 1631, la sua mano ha impedito che la lava del Vesuvio travolgesse la città. Il toccante rapporto che lega il popolo napoletano a San Gennaro e che attraversa la quotidianità dei singoli cittadini, pone in evidenza due aspetti: da un lato, l’originalità del popolo napoletano e la profonda ricchezza dell’anima italiana: è come se questo evento, che si ripete annualmente, svelasse al mondo uno scrigno di tesori incastonato in un mausoleo delle meraviglie, qual è l’Italia; dall’altro, il dialogo confidenziale tra i napoletani e San Gennaro, che da taluni declassato a manifestazione mistico-tribale, da altri esaltato a connotare l’unicità della cultura partenopea. Qui si pone un tema che attiene alla fede.
E’ impossibile affrontare questa tematica senza rammentare il pensiero di Immanuel Kant. Il filosofo tedesco, per spiegare laicamente questa particolare predisposizione dell’anima, introduceva la distinzione tra ‘fenomeno’ e ‘noumeno’. Il primo è un ente la cui esistenza è possibile riscontrare sulla base delle evidenze scientifiche e dai dati dell’esperienza; il secondo è un’entità che il singolo può soltanto ipotizzare, perché non sussistono dati empirici certi a cui agganciarsi per dimostrarne l’esistenza. Il riferimento non è soltanto a Dio, ma anche ad altre fenomenologie. Si pensi al moto dei pianeti, all’atomo e alla meccanica quantistica: soltanto attraverso la ricerca scientifica è possibile spiegarne le dinamiche, facendo sì che da noumeni diventino fenomeni. La natura umana, di per sé, è vocata al dubbio e alla scoperta dell’ignoto. C’è una dimensione di infinità insita nell’uomo, che lo spinge a non accontentarsi della sua realtà, ma a sfidarne i limiti per migliorarla. Le religioni hanno cercato di dare una risposta a questo desiderio di conoscenza, sulla scia del contributo offerto sul punto già dalla filosofia. E dallo studio dei molteplici credi religiosi è possibile giungere a una conclusione comune: gli uomini hanno bisogno di Dio, come Dio degli uomini. E il prezzo di questa alleanza non è il sacrificio dell’intelligenza umana, tutt’altro.
Fede e ragione non sono separate, ma paradossalmente l’una è a servizio dell’altra. Il contributo che il singolo può offrire attraverso lo studio e la ricerca scientifica è fondamentale non solo per il progresso della collettività, ma anche per far risaltare al meglio l’intrinseca razionalità che permea le fenomenologie più misteriose ed extravaganti.
Cercare di capire scientificamente cosa si celi dietro un evento non significa privarlo della sua levatura spirituale. Perché se Dio si serve degli uomini per migliorare la società, non può prescindere dalla realtà per compiere i suoi prodigi. Per cui, poco importa se il sangue di San Gennaro si scioglie per mano del santo o per una particolare trasformazione chimica che si verifica tre volte l’anno: il miracolo risiede nell’emozione che quell’episodio genera nelle persone, suscitando un rinnovato senso di fiducia nella vita e nel futuro. Nonostante la durezza del presente suggerisca il contrario.
QUI SOPRA: IL MIRACOLO DELLA LIQUEFAZIONE DEL SANGUE DEL SANTO
AL CENTRO: IL FILOSOFO TEDESCO, IMMANUEL KANT
IN APERTURA: SAN GENNARO IN UN'OPERA DI CARAVAGGIO