È successo all'inglese Charlotte Tumilty, maestra tirocinante alla scuola elementare cattolica St. John Vianney, nella cittadina britannica di Hartlepool. Il tattoo sul collo spuntava leggermente dal colletto dell’abito che indossava
Ha troppi tatuaggi e non li ha coperti del tutto indossando indumenti adeguati e coprenti. Questa è stata la motivazione che ha portato Charlotte Tumilty, ventiseienne madre di due figli, ad essere licenziata il primo giorno di lavoro. La ragazza presenta effettivamente su tutto il corpo dei tatuaggi vistosi, in particolare su braccia mani e collo, ma era riuscita a nasconderne la maggior parte con l’abbigliamento; quando però si è sentita dire che una piccola parte del tatuaggio sul collo era visibile e che quindi non era idonea al lavoro nella scuola, ha deciso di raccontare la sua storia al Daily Mail. A lasciare maggiormente perplessi sono le parole del vice preside dell’istituto, Martin Boagey: “La scuola si aspetta che tutti i membri del persone proiettino un’immagine professione e che abbiano un rigido codice di condotta da rispettare. Anche altri membri del nostro staff hanno tatuaggi, ma tutti si coprono in maniera adeguata”.
Si tratta di un caso molto particolare e, in un certo senso anomalo, perché Charlotte era già tatuata al momento dell’assunzione e quindi il licenziamento risulta quantomeno una soluzione estrema. Questo comunque non è un caso isolato. Già a luglio di quest’anno Jo Perkins, impiegata inglese presso il Salisbury Group, una società di pianificazione e consulenza finanziaria, era stata licenziata perché non in grado di coprire il tatuaggio di una farfalla che aveva sul piede.
Anche nel nostro paese episodi simili si sono già verificati: nel gennaio 2014 Mickelina, una ragazza cagliaritana aveva fatto domanda di assunzione come assistente di volo presso la compagnia aerea Ryanair; nonostante il buon curriculum la ragazza è stata scartata ancora prima di poter accedere al colloquio, rea di avere un tatuaggio sul collo che la rendeva inadeguata alla professione di hostess. Casi limite? Forse. Certo è che sia a livello europeo che a livello nazionale non esiste alcuna normativa che affronti la questione dei tatuaggi e del mondo del lavoro, lasciando così che i criteri di assunzione siano a completa discrezione delle aziende e dei loro regolamenti interni. Solo in campo militare esiste una specifica direttiva, la SME 26.07.2012, nella quale viene vietato il tatuaggio, a prescindere dalla tipologia, dalla forma o dai contenuti, quando questo sia visibile con l’uniforme estiva. I tatuaggi non visibili con l’uniforme estiva sono vietati nel caso in cui contengano riferimenti sessuali, discriminatori, osceni, di odio e violenza, di appartenenza ad un gruppo politico “in contrasto con i valori della Costituzione”. Per quanto riguarda il settore pubblico, invece, non esistono limiti in quanto l’assunzione è regolata da concorso e quindi in teoria la competenza dovrebbe essere sufficiente.
Secondo i dati presentati dal Centro nazionale Ondico dell'Istituto superiore di sanità nel 2013, sono circa un milione e mezzo gli italiani che hanno almeno un tatuaggio. Ciò porterebbe a pensare che il tatuaggio sia una pratica sdoganata e accettata nella nostra cultura. Eppure i pregiudizi esistono, anche a livello europeo. Uno studio condotto dal professor Andrew Timming, docente di Management presso la University of Saint Andrew in Scozia, ha evidenziato che il pregiudizio verso i tatuaggi non è tanto da ricercare nei responsabili del personale delle aziende, ma nel timore che la body art possa rappresentare una cattiva pubblicità per l’azienda verso il pubblico. Si tratterebbe quindi di un pregiudizio sociale, particolarmente radicato nelle generazioni più anziane, che ancora vedono nel tatuaggio un associazione con il mondo criminale.
Nell'ambito dei diritti, il tatuaggio rappresenta la libertà di esprimere se stessi e la propria personalità tramite il proprio corpo. In alcuni casi raggiunge livelli estremi e, se vogliamo, al limite del “buon gusto”. Ma si tratta comunque di un gesto libero e consapevole che, come tale, non dovrebbe essere discriminato.