All’ex manicomio di Santa Maria della Pietà, nel quartiere Monte Mario di Roma, è approdato ‘Caleidoscopio’, progetto di street art ideato dallo scrittore Maurizio Mequio attorno al suo romanzo ‘Piccioni e farfalle fanno la rivoluzione. Neve a Primavalle’ realizzato dagli artisti di ‘Muracci Nostri’
“Le parole non sono che muri”, sosteneva lo scrittore, poeta e drammaturgo austriaco di origine boema, Rainer Maria Rilke. E i muri, talvolta, possono lasciare spazio a pensieri, concetti e immagini ‘parlanti’, come da qualche tempo sta accadendo a Monte Mario, noto quartiere a nord della capitale. E, nello specifico, all’ex manicomio di Santa Maria della Pietà, dove è approdato ‘Caleidoscopio’, progetto di Street art ideato dallo scrittore Maurizio Mequio attorno al suo romanzo ‘Piccioni e farfalle fanno la rivoluzione. Neve a Primavalle’, realizzato dagli artisti di ‘Muracci Nostri’, con l'autorizzazione e il supporto della Asl Roma E.
L’ex manicomio di Santa Maria della Pietà
Una struttura, quella dell’ex manicomio di Roma, che risale addirittura al lontano XVI secolo, preposta inizialmente all’accoglienza dei pellegrini, poi dei vagabondi, quindi dei poveri e, infine, dei malati psichiatrici presenti in città. La costruzione del manicomio provinciale risale agli inizi del novecento (1913, per la precisione) e si deve all’iniziativa del senatore Alberto Cencelli. L’ospedale, sito sulla collina di Monte Mario (località S. Onofrio), viene concepito come un monumentale ‘manicomio-villaggio’: una struttura mastodontica, imponente, estesa su circa centotrenta ettari e inclusiva di quarantuno edifici ospedalieri, di cui ventiquattro erano padiglioni di degenza. Il più grande ospedale psichiatrico d'Europa, con una capacità di più di mille posti letto e, allo stesso tempo, una piccola città divisa in due sezioni rigidamente separate, quella maschile e femminile, popolata da un insieme disomogeneo di pazienti, dalle diverse patologie ma accumunati dal contesto segregante e disumanizzante cui erano quotidianamente sottoposti. Degrado che è continuato nel tempo, anche dopo la sua chiusura nel 1999, come denunciato da una recente inchiesta condotta da Uil di Roma e del Lazio nell’ambito dell’Osservatorio sulla sanità della regione, la quale fa emergere un presidio sanitario in declino, anche se punto di incontro per i residenti del quartiere e sede di numerose associazioni occupate nei reinserimento sociale dei cittadini. In questi ultimi anni era stata proposta l’idea di farlo diventare un ostello per i giovani durante il prossimo Giubileo annunciato da papa Francesco, ma di fatto il complesso, in dotazione della Asl di Roma, presenta delle strutture completamente lasciate al degrado e all’incuria, vittima dell’abusivismo (al suo interno era stato addirittura costituito un asilo nido totalmente abusivo) e dall’abbandono istituzionale.
Il progetto ‘Caleidoscopio’
Una sorta di discarica a cielo aperto, quindi, sulla quale, però, ultimamente è tornata l’attenzione, anche grazie a ‘Caleidoscopio’, un lavoro di tre mesi ancora in progress (le attività sono iniziate a fine agosto e con ogni probabilità termineranno a fine dicembre) che prevede la riqualificazione degli spazi esterni del giardino attraverso i murales di ventotto artisti, intervenuti su più di trenta muri, con l’obiettivo di trasformare l'ex manicomio di Roma in un parco della poiesis, nel pieno senso che Erodoto attribuì al termine, inteso come ‘creazione poetica’. Da qui la scelta del nome ‘Caleidoscopio’, strumento ottico che si serve di specchi e frammenti di vetro o plastica colorati per creare una molteplicità di strutture simmetriche, ma anche, in ambito narrativo, una delle figure retoriche accostate all'entrelacement, tipo di narrazione in cui è presente un continuo intreccio di storie, dai toni costantemente mutevoli. Attraverso il mescolamento delle diverse discipline artistiche (poesia e arti figurative, in primis) e mediante il ‘bello’ insito in un’opera d’arte, Caleidoscopio intende proprio ribaltare la natura desolante di un luogo tradizionalmente legato alla sofferenza e al dolore, e vuole “aprire dei varchi oltre dei muri ciechi”, liberare un ‘non luogo’ restituendolo ai cittadini. Il tutto, coinvolgendo artisti di respiro internazionale come Gomez; Jerico; Atoche; X, Sgarbi; Roncaccia; Loiodice; Lommi; Durelli; Beetroot; Gore; Chew Z; Alvarez; Lus57; Cutrone; Russo; Farinacci; Pirone; Kenji; Zinni; Lenzi; Fast; Poeta del nulla; Carpino; Sbordoni; Sabellico; Carletti; Drao; Noire; Leone; Mobydick; Pino Volpino; Giuliacci e i Pat. Un gruppo poliedrico per formazione e ricerca, in costante evoluzione e con un ampio margine di crescita, che ha già collaborato nell’ambito del progetto ‘Muracci Nostri’ a Primavalle, quartiere della periferia di Roma. A Monte Mario, gli artisti sono stati responsabilizzati e lasciati liberi di esprimersi nell’individuazione di temi e soggetti completamente svincolati dal concetto di malattia mentale. Rispettando, tuttavia, il passato del luogo in cui erano stati chiamati a intervenire e, talvolta, relazionandosi direttamente con gli operatori sanitari e gli ex pazienti di Santa Maria della Pietà. A fine agosto, con l’inizio dei lavori, i muri del parchetto finalmente hanno iniziato a ‘parlare’, o meglio a dialogare con lo spazio circostante e con il pubblico. Come? Attraverso gli splendidi omaggi ai ‘grandi’ della storia dell’arte, della letteratura, della poesia e della filosofia: in particolare a Goya e alla sua Maja vestida, a Rivera e David Alfaro Siqueiros, a Schifano e all’opera di Alda Merini, al pensiero di Sofocle e del fisico e filosofo Albert Einstein, fino all’arte di Bacon. I muri di Monte Mario narrano al pubblico le storie di bizzarri Pinocchi bianchi posti davanti alla televisione, e di un altro, particolare, ‘Pinocchio migrante’. Dialogano attraverso vortici di mani che si intrecciano, che si abbracciano, che si mescolano, che trasmettono un senso di calore, di amore, di affetto, in un luogo dove tali sentimenti sono sempre stati negati. E, proprio come nel romanzo fantastico di ‘Alice nel paese delle meraviglie’, le figurazioni sui muri calano lo spettatore all’interno di un bosco magico e surreale, costellato da alberi favolosi e antropomorfi, da figure variopinte e a tratti inquietanti, che costruiscono una multiforme ‘foresta di immagini’, ove appaiono madri, donne, fanciullette che giocano, occhi che sognano, cetacei che inaspettatamente cercano riparo fra i pini. Spazi dove sopravvivono abbracci e sorgono porte incantate, dalle quali fuoriescono farfalle; muri ove passeggiano piccioni e si librano in alto colombe e uccelli variopinti, e sui quali in maniera del tutto surreale corrono caffettiere, crollano miti. Ed è proprio dalla contaminazione tra testo poetico e linguaggio figurativo, tra calligrafia e iconografia, che nascono le ‘poesie delle immagini’, mentre l’austerità e la desolazione dell’ex manicomio di Santa Maria della Pietà cede finalmente il passo alla bellezza.