E’ il grido di dolore della grande scrittrice che ha recentemente inaugurato ‘Dottor Libro’, uno spazio all’interno dell’ospedale capitolino ‘San Camillo-Forlanini’ ideato per favorire l’incontro tra pazienti e intellettuali importanti della nostra realtà culturale
Lo scorso 15 novembre, si è tenuto un incontro nell'ambito del progetto ‘Dottor Libro 2018’, promosso in collaborazione tra l’azienda ospedaliera ‘San Camillo-Forlanini’, il comitato di quartiere ‘Monteverde nuovo’, la libreria ‘I Trapezisti’ e il XII Municipio di Roma. Sono intervenuti, per l’occasione: Fabrizio D'Alba (direttore generale dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini); Silvia Crescimanno (presidente del XII Municipio del Comune di Roma); Maria D'Amico (addetta stampa dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini); Claudio Madau (responsabile della libreria ‘i Trapezisti’ di Monteverde); infine, Eugenio Murrali (giornalista e scrittore), che ha moderato la presentazione. Un incontro importante a livello culturale, tra autori famosi e i pazienti dell’ospedale, volto a migliorare le loro condizioni di vita, ma aperto anche a uditori esterni. Qui si è tenuta la prima presentazione del nuovo romanzo di Dacia Maraini: ‘Corpo felice: storie di donne, rivoluzioni e un figlio che se ne va’, edito da Rizzoli. Un incontro che ha inaugurato il progetto ‘Dottor Libro’, che vedrà al suo interno tantissime altre presentazioni di autori famosi. Nel corso della presentazione di questa sua ultima 'fatica', parzialmente autobiografica ma che vede al centro dell'analisi innanzitutto il corpo della donna, Dacia Maraini ha emozionato il pubblico presente. Il corpo, infatti, è stato spesso concepito come stereotipo che ha sempre riguardato due poli opposti, eppure complementari, nel corso dei secoli. Come nel Medioevo, per esempio, quando esso risultava totalmente osannato, oppure totalmente condannato. O come nelle condanne della Sacra Inquisizione nei confronti delle streghe, considerate nient’altro che mere concubine del demonio. Il romanzo si apre con il racconto autobiografico di quando la scrittrice, a soli sei anni, subì un’ingiustizia dal padre, che l’aveva accusata di aver sporcato d’inchiostro un suo libro. Un episodio che si concluse, dopo essere fuggita di casa, al commissariato di Kyoto, circondata da poliziotti che sorridevano dei suoi racconti nel dialetto del posto. Il tema dell’ingiustizia nel romanzo si ripete abbinato al delicato tema del corpo delle donne, sia in relazione al giudizio che gli uomini spesso esprimono, con le loro condanne e le loro censure, ma anche nella loro volontà di mantenerlo sotto controllo, visto l’immenso potere che esso genera grazie alla sua secolare correlazione con la maternità e per il rapporto che le donne stesse hanno con il proprio corpo. La vecchia struttura patriarcale, peraltro, ha ‘castrato’ per secoli il ruolo del corpo femminile. E la donna stessa ha assorbito retaggi del tutto distorti, come per esempio una percezione masochista, in cui si vede nel dolore causato dal suo aguzzino – spesso sino alla morte - quasi una sorta di piacere. Sicuramente, al centro del nuovo lavoro di questa nostra grandissima autrice, vincitrice del premio Campiello nel 1990 e del premio Strega nel 1999, vi è sicuramente la maternità. Soprattutto, quando racconta la dolorosa esperienza personale di un aborto spontaneo e dell’enorme ingiustizia che ella ritiene, ancora oggi, di aver subìto, a causa di una serie di sfortunate fatalità. Un’esperienza descritta magistralmente, utilizzando parole drammatiche, ma anche molto delicate nei confronti di quel figlio mai venuto alla luce e che lei, sin da allora, ha chiamato: ‘Perdu’. Un ‘passaggio di vita’ narrato in maniera toccante, che l’ha condotta alla convinzione che ‘Perdu’, alla fine, sia nato davvero, sino a immaginare di crescerlo per tutto il corso del romanzo, ricostruendo il proprio ruolo di madre. A margine della presentazione di questo bellissimo romanzo, abbiamo dunque incontrato Dacia Maraini al fine di porle alcune domande.
Dacia Maraini, cominciamo da quest’iniziativa che l'ospedale San Camillo ha dedicato alla cultura, agli scrittori e al loro incontro con i pazienti: lei pensa che si tratti di una buona idea, viste le attuali condizioni di degrado sociale della capitale?
“Sicuramente, dato il bisogno di fornire sempre più un sentimento di responsabilità tra i cittadini, anche al fine di ‘rieducarli’. Fare cultura aiuta moltissimo: essa genera responsabilità, crea consapevolezza. Dobbiamo insistere sulla cultura”.
Nello spazio ‘Dottor Libro’, che lei ha inaugurato presentando il suo ultimo romanzo, ha descritto con uno sguardo tutto al femminile il rapporto tra una madre che non ha avuto il tempo di esserlo e un figlio mai nato, confermando questa sua prospettiva ‘privilegiata’, tutta al femminile: è così?
“Certamente, quella femminile è la mia prospettiva preferita. Ma qui, in particolare, ho voluto descrivere un rapporto tra una madre e un figlio perduto. Questa volta ho voluto trattare più profondamente gli aspetti relativi al corpo della donna, quello della maternità e tutto ciò che questo ha rappresentato nel corso della Storia, fino a oggi”.
Che differenza c’è tra la Roma dei ‘Ragazzi di vita’ di Pier Paolo Pasolini e quella odierna, secondo lei?
“Sicuramente, la differenza sta nel fatto che, in quegli anni, esisteva il sottoproletariato, c’erano le ‘classi’. Adesso, non esiste più nulla: è presente solo una gran confusione e c’è, soprattutto, quell’omologazione che, sin dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, Pier Paolo aveva intuito e contro cui si era scagliato. Non ci sono più quelle differenze: Roma è diventata una città caotica, in cui gente ricchissima convive fianco a fianco con altra poverissima. Ma questi ‘nuovi poveri’ non corrispondono affatto alla categoria del sottoproletariato, del proletariato o della classe operaia di ieri: oggi, i poveri sono gli ‘esclusi’, gli emarginati, gli anziani, i giovani che non trovano lavoro. E’ una società profondamente cambiata. E bisogna rendersene conto”.
Cosa dovrebbe fare chi sta guidando, oggi, la ‘città eterna’, per migliorarne la situazione complessiva?
“Chi ha le ‘redini’ della situazione dovrebbe ascoltare maggiormente i cittadini, andare a parlare con loro e chiedere cosa non va, o cosa bisognerebbe fare. In secondo luogo, è anche necessario cercare di responsabilizzare i romani stessi, perché bisogna cominciare a dire la verità: non è solo l’amministrazione che sbaglia. Anche il cittadino, a volte, se ne ‘frega’ degli altri, pensando solo a se stesso o gettando cose in mezzo alla strada. Bisogna creare questa necessità di responsabilizzazione coinvolgendo, per esempio, le scuole, proponendo delle campagne che rieduchino i cittadini, facendo loro capire che questa città è di nostra proprietà e che, quindi, appartiene a tutti. Nessuno in casa propria butterebbe per terra le ‘cicche’ delle sigarette, le ‘cartacce’ o gli stracci. Invece, non appena sono fuori di casa, molti lo fanno. Bisogna capovolgere questa visione sbagliata. E iniziare a concepire la città come la ‘casa di tutti’, perché è necessario considerarla con maggiore rispetto”.
Lei ritiene che la sindaca Raggi si stia muovendo nella giusta direzione?
“Ho paura che sia una ragazza un po’ ingenua: non si rende conto che Roma è una città molto difficile, che possiede un ‘sottobosco’ burocratico molto duro, quasi impenetrabile, che in fondo se ne ‘frega’ persino del sindaco, difendendo esclusivamente i propri interessi. Forse, Virginia Raggi non si è ancora resa conto di queste difficoltà. In ogni caso, non possiamo certo dire che Roma si trovi in un momento felice, mentre tutti dicono che Milano si stia riprendendo e che tutto funzioni un po’ meglio. Purtroppo, Roma non sta andando affatto bene”.
NELLA FOTO: DACIA MARAINI