In Italia, la questione della laicità in politica include un problema che resta ambiguo: come affrontare il rapporto con la religione nel dibattito politico culturale? L’ambiguità del rapporto deriva da ragioni storiche e dall’abitudine a non approfondirla. Ed è importante dissolverla soprattutto per sostenere chi, credente o non credente, è fautore della laicità delle istituzioni ritenendola decisiva per migliorare la convivenza. Questo il presupposto di partenza di Raffaello Morelli, presidente della Federazione dei liberali e noto studioso di questioni inerenti alla laicità e al suo difficile radicamento storico e culturale nel nostro Paese, espressa nella sua recente ‘fatica’ intitolata: ‘Lo sguardo lungo’, edito per la pisana Ets edizioni. In questa interessante pubblicazione, infatti, l’autore si prefigge un preciso obiettivo di azione politico-culturale: dare consistenza tangibile alla diagnosi secondo cui la via per risolvere, a livello istituzionale, un problema così legato ad aspetti essenziali della libera convivenza, oggi e in prospettiva, sia quella indicata da Cavour 150 anni or sono: la netta separazione tra Stato e religioni. Tale principio non soltanto costituisce la vera, grande eredità politica dello statista piemontese, ma è talmente lungimirante da rimanere ‘sempreverde’. Nella prima parte dell’opera, l’autore decide perciò di ripercorrere, sinteticamente, l’evoluzione storica del principio di separazione in questo secolo e mezzo di vita del nostro Paese, nel quadro dei suoi principali avvenimenti pubblici coevi. L’intento è naturalmente quello di mostrare i contesti delle rispettive epoche, talvolta sfatando infondati luoghi comuni o facendo alcune constatazioni su come questo principio non sia stato accolto nel suo ‘spirito’ e su quali ne siano stati i conseguenti costi per la convivenza della nostra comunità. Nella seconda parte del libro, Morelli argomenta, anche sulla base dei precedenti avvenimenti ‘sperimentali’, l’inconsistenza delle critiche mosse al principio di separazione e le solide ragioni concettuali e operative per adoperarlo con riflessi positivi in molti campi. Nella terza, infine, l’autore conclude sostenendo l’idea che, per affrontare i problemi della convivenza attuale e per attrezzarsi al meglio in vista del domani, sia indispensabile, per i cittadini credenti e non credenti, applicare urgentemente il principio di separazione tra Stato e religioni. Il testo segue, insomma, un ordine temporale e logico (prima la carrellata storica, poi le considerazioni sui concetti, infine l’esortazione programmatica), anche se non è indispensabile leggerle nel medesimo ordine: volendo possono anche esser lette in ordine rovesciato o, comunque, combinato, poiché restano del tutto autosufficienti. Quel che più conta, infatti, è l’idea che il principio della separazione non sia una cosa ‘teorica’, astratta, destinata a una ristretta elìte di ‘amatori’, bensì un concetto concreto, legato ai fatti della convivenza viva, cioè modellata sui parametri antropologici e sociali della nostra vita quotidiana. Questa convinzione non è irrilevante, dal momento che si tratta di una convinzione spesso trascurata, perfino da chi la condivide come principio, poiché viene considerato un problema di libertà acquisito. In teoria dovrebbe essere così e, in molti altri Paesi lo è, ma in Italia no: non è affatto una prassi politica operativa. Al contrario, esso viene contraddetto e violato tutti i giorni, fino al punto di diventare il principale aspetto della crisi, in Italia, della concezione politica liberale e dei suoi strumenti costituzionali.