Una riflessione critico-letteraria sulla natura di uno dei romanzi più importanti del novecento, che fu e resta grande anche e soprattutto per il tema trattato, sfidando la rigida censura dell’epoca
Era il 1935, quando Vladimir Nabokov, scrittore russo trapiantato negli Stati Uniti, diede alle stampe il suo romanzo più famoso: ‘Lolita’. Prima di quel momento, Nabokov aveva a lungo cercato un editore che fosse disposto a pubblicare il suo romanzo, ritenuto scandaloso e perfino pornografico. Eppure, quel libro che nessuno voleva pubblicare era destinato a diventare il più celebre dell'autore, nonché uno dei più importanti romanzi americani del novecento. Ma anche il più frainteso.
Un annoso fraintendimento
Qualche anno dopo, nel 1962, il regista cinematografico Stanley Kubrik avrebbe a sua volta suscitato scandalo e indignazione a causa del suo film tratto da 'Lolita', dove la protagonista adolescente, interpretata da una giovanissima Sue Lyon, seduce il patrigno con più del doppio dei suoi anni (James Mason). Ma, così come era accaduto per il libro, lo scandalo nutrì, anziché soffocarlo, il successo del film. La figura di Lolita divenne talmente celebre che il suo nome venne usato - e lo è tuttora - per indicare qualsiasi ragazzina sessualmente precoce e smaliziata, che susciti attrazione erotica in uomini adulti. Il film di Kubrik, dunque, aveva portato Lolita alla fama e al successo, ma ne aveva stravolto la natura. Ancora una volta, la storia di Nabokov era stata, anche se non del tutto, riscritta, quantomeno pesantemente modificata, in favore di una sua versione 'romanticizzata', che valse a Lolita la fama di romanzo erotico, cosa che non era mai stato, né aveva mai voluto essere.
Lolita, storia di un abuso
Ma cosa racconta, in effetti, il romanzo di Nabokov? La storia, narrata in prima persona dal suo protagonista, è quella di Humber Humbert, un professore francese trasferitosi negli Stati Uniti. Uomo colto e affascinante, Humbert Humbert nutre però una tormentosa attrazione nei confronti di quelle che lui chiama "ninfette": vale a dire, ragazzine di età compresa tra i 9 e i 14 anni, in possesso di determinate caratteristiche fisiche che egli percepisce come attraenti. Giunto negli Stati Uniti, Humbert Humbert sposa la vedova Charlotte Haze al solo scopo di poter vivere vicino alla figlia dodicenne di lei, Dolores (Lolita, appunto), per la quale cova una passione malsana. Alla morte di Charlotte, il colto professor Humbert si trova a essere tutore legale della bambina e approfitta della sua posizione per abusare, fisicamente e psicologicamente, di lei. L'età della ‘ninfetta’ del romanzo e le stesse confessioni del protagonista rendono chiaro, oltre ogni ragionevole dubbio, che quella di Lolita sia la storia di un abuso. Nella sua lucida follia, l'abietto Humbert alterna momenti in cui tenta di giustificare la propria condotta, definendosi "innamorato" e perfino "succube" della sua giovanissima vittima ad altri di feroce autoaccusa, in cui ammette di aver fatto di Dolores la propria ''piccola schiava sessuale''. E' probabile che Nabokov abbia tratto ispirazione per il suo romanzo da un tristissimo caso di cronaca dell'epoca. Nel giugno del 1948, l'undicenne Florence Sally Horner fu rapita all'uscita di scuola dal cinquantenne Frank La Salle, che l'aveva notata il giorno precedente, quando la bambina, per una bravata tipicamente infantile, aveva rubato un quaderno da cinque centesimi in un emporio. Fingendosi un agente dell'Fbi, l'uomo convinse la piccola a seguirlo e la tenne con sé per quasi due anni, durante i quali ne abusò ripetutamente e, per sottrarsi alla giustizia, viaggiò con lei in lungo e in largo per gli Stati Uniti, spacciandosi per suo padre. Dopo 21 mesi drammatici, Florence riuscì a scappare e a tornare a casa ma, a causa di quanto subito, fu additata dalla comunità come prostituta. Morì due anni dopo, a soli quindici anni, in un incidente stradale. Nabokov conosceva di certo questa tragica storia, tanto da citarla in un passaggio del suo romanzo: ''Avevo forse fatto a Dolly quello che aveva fatto Frank Lasa/le, un meccanico cinquantenne, all'undicene Sally Horner nel 1948"? Tuttavia, negò sempre di esservisi ispirato nello scrivere Lolita. In calce al suo libro, l'autore ci racconta invece un aneddoto molto particolare: ''A quanto ricordo, l'iniziale brivido di ispirazione fu in qualche modo provocato da un articolo di giornale su una scimmia del Jardin del Plantes, la quale, dopo mesi di blandizie da parte di uno scienziato, aveva fatto il primo disegno a carboncino dovuto a un animale: il bozzetto rappresentava le sbarre della gabbia della povera creatura". Quale che sia, dunque, l'avvenimento che ispirò Lolita, si tratta di una storia di prigionia, analoga alla cattività della sua piccola protagonista. Tuttavia, quella di Lolita è entrata a far parte dell'immaginario collettivo come una storia erotica, se non addirittura pornografica, o peggio, come la storia di un amore tormentato. Ma da dove origina un così grande fraintendimento?
Lolita, il cinema e l'amore
Nel 1997, il regista britannico Adrian Lyne propose una propria versione cinematografica di Lolita, con Jeremy lrons nel ruolo del professor Humbert e la giovane Dominique Swain nei panni della 'ninfetta'. Se la rigida censura degli anni '60 aveva impedito a Kubrik di mostrare sullo schermo anche solo un bacio tra i due protagonisti, trent'anni dopo Lyne poté inserire nel suo film alcune disturbanti scene d'intimità tra Humbert e la sua giovane vittima. Inoltre, alcune scene del film del '97 indugiano sull'infelicità della piccola protagonista, mantenendosi più fedeli all'opera originale, almeno nello spirito, rispetto alla pellicola di Kubrik. Tuttavia, anche questo secondo film esacerbò, più che dissipare, l'idea comune che ‘Lolita’ fosse un romanzo erotico e, perfino, una storia d'amore. Ed è proprio il cinema il principale responsabile dell'errata interpretazione del racconto di Nabokov e della 'romanticizzazione' del rapporto tra i due protagonisti. A partire dalla scelta delle attrici: sia Kubrik, sia Lyne, infatti, scelsero, per interpretare la celebre ‘ninfetta’, adolescenti ben più mature di quella descritta nel romanzo. Entrambe sedicenni all'epoca delle riprese, tanto Sue Lyon, quanto Dominique Swain sono, sebbene giovanissime, molto diverse dalla dodicenne ‘Lolita letteraria’, minuziosamente descritta come fisicamente immatura e, proprio per questo, prediletta da Humbert. L'avvenenza delle due ragazze, esasperata dalla telecamera, sembra voler legittimare , se non legalmente, almeno nell'opinione pubblica, l'attrazione dell'adulto Humbert verso di loro. Humbert, dal canto suo, viene rappresentato al cinema come un uomo romantico, talvolta perfino ingenuo, sicuramente innamorato di una compiacente 'ninfetta'. L'Humbert letterario, invece, è un personaggio abietto per sua stessa ammissione. Solo al termine del romanzo egli si accorge, o si convince, di provare tenerezza per l'infelice Dolores. Per la gran parte del racconto, la sua non è che una morbosa passione e i sentimenti, perfino il destino di lei, gli sono indifferenti. Il benessere della bambina gli sta a cuore solamente nella misura in cui più ella è sana e allegra, più facile è per lui convincerla a concedersi. Tanto che egli arriva a minacciarla e a ricattarla per ottenere da lei favori sessuali, mentre progetta di sbarazzarsene quando, superati i quattordici anni, ella perderà per lui ogni attrattiva. Per quanto riguarda Lolita stessa, il romanzo indugia sul suo malessere e sulla sua repulsione per Humbert in un modo che, su pellicola, è soltanto accennato. Le due 'ninfette' cinematografiche appaiono fin troppo spesso compiacenti o seduttive, il che ha contribuito a offrire un'idea distorta dell'infantile vittima letteraria del professor Humbert che, per tutta la durata del romanzo, non smette mai di apparire come una bambina. Una romanticizzazione della storia che ha, probabilmente, ragioni commerciali. Una passionale storia d'amore tra un'adolescente e un uomo maturo avrebbe certamente venduto molto di più rispetto a una storia di abuso. La romanticizzazione cinematografica di Lolita si è tradotta inevitabilmente in un'analoga romanticizzazione nell'immaginario collettivo: lo spettatore medio si ritrova a empatizzare con Humbert. E vede in Lolita una mitologica ‘donna-bambina’ per la quale è comprensibile, se non proprio lecito, provare attrazione. Al termine del romanzo, Humbert Humbert ci appare, per la prima volta, pienamente consapevole della gravità del crimine da lui commesso: il furto di un'infanzia e di una vita. "Ciò che udivo era soltanto la melodia dei bambini che giocavano, soltanto quello (...) e allora capii che la cosa disperatamente straziante non era l'assenza di Lolita del mio fianco, ma l'assenza della sua voce da quel concerto di suoni". Queste parole del protagonista, inserite anche nel film del 1997, fanno luce definitivamente sulla natura di uno dei romanzi più importanti del novecento, che fu e resta grande anche e soprattutto per il tema trattato, sfidando la rigida censura dell’epoca.