L’agile contributo poetico e filosofico edito da Adelphi e tradotto da Simona Mambrini è quanto di più folgorante si possa leggere in merito all’opera di Omero
A volte, si apre un mondo. E anche la vita personale acquisisce un nuovo senso: non ti senti più sola sotto un cielo che diventa sempre più nero, in questo secolo buio. E’ quello che capita entrando in contatto con il travaglio di una vita che si fa filosofia e poesia: Rachel Bespaloff. Il suo agile contributo, edito da Adelphi e tradotto in Italia da Simona Mambrini, ‘Sull’Iliade’, è quanto di più folgorante si possa leggere in merito all’opera di Omero. Il pensiero subito corre all’omonima opera di Simone Weil, con la quale la Bespaloff condivide non poco, a partire dalla comune origine ebraica, all’esperienza parigina, alle amicizie condivise, al trasferimento coatto negli Stati Uniti. Le coincidenze biografiche e intellettuali sono di tal rilievo che si è parlato, a ben ragione, di vite parallele. Eppure, le due filosofe non si sono mai incontrate. La Bespaloff, però, prima di consegnare alle stampe il suo studio ‘Sull’Iliade’, nel 1943, lo ha ben messo a punto per non incorrere nell’accusa di plagio dell’opera di Simone Weil del 1939, vista la condivisione dello stile vibrante di pathos e di contenuti influenzati concettualmente dal contesto storico bellico e nazista, in cui le due si trovarono a vivere e a subire. Inoltre, mentre è certo che la Bespaloff sia morta suicida, sospetti cadono su Simone Weil, che di certo non fece nulla per sottrarsi alla morte, venendo meno alle cure necessarie. Che entrambe non abbiamo sopportato di essere sopravvissute agli orrori del nazismo, come è occorso all’altrettanto geniale e profondo torinese, Primo Levi?
Quel che è certo è che gli approfondimenti critici delle due filosofe ebree sull’opera di Omero sono un’espressione ‘alta’ della loro riflessione sull’essere e sul divenire dell’uomo nella Storia, sul centro vitale del loro pensiero, sul tema che le accomuna a Nietzsche e che si può definire la ‘crux philosophorum’. Tale riflessione ha una forte impronta storica, non immune dal condizionamento di aver vissuto in un’epoca in cui violenza, colpa, responsabilità dell’orrore e barbarie la facevano da padrone. Si suol dire che l’opera della Weil abbia la forza, al centro del suo interesse, mentre in quella della Bespaloff il vero fulcro è la resistenza, incarnata da Ettore, il vero eroe che perde tutto, tranne la dignità. Noi preferiamo pensare che entrambe le opere esprimano la vanità della forza che va oltre le trincee dei vincitori e dei vinti, poiché tutti risultano vinti, preda della sete di dominio. Che i vincitori di oggi possano essere i vinti di domani, annullando ‘verganamente’ la fiumana del progresso, risulta pateticamente lampante nell’opera di entrambe. Ma concentrandosi sulla Bespaloff non vince Ettore e non vince Achille: entrambi si portano dentro la caducità dell’Essere, pur nella differenziazione tra la dignità dell’uno e la brutalità dell’altro. Solo la poesia rende eterno ciò che perisce e consente nel perdono la contemplazione alla Tolstoj della sovrapposizione ‘Verità/Bellezza’. Quanta bellezza c’è nel corpo di Ettore restituito al padre Priamo; quanta ricomposizione degli opposti nel Tutto/Uno, in quel “soma” tornato intatto per la protezione degli dei, specie di Apollo e per la bravura del cantore Omero. E’ la poesia che eleva il suo canto, attraverso la prosa poetica della filosofa ebrea nata in Ucraina. E se la sue parole vibrano, lo deve all’ispirazione divina del rapsodo più grande. Osiamo affermare che un dio parli attraverso l’opera della Bespaloff e risuonino le sue parole nell’etere, arrivando a pungere il cuore, la mente, quando tutti, nessun escluso, cadono nel senso di colpa e di responsabilità. Anche in un epoca quale quella micenea, chiamata “della vergogna”, in cui sembra che l’uomo non sia “faber fortunae suae” in quanto oggetto della volontà divina. Eppure, questo è il paradosso: l’uomo non è responsabile di nulla e colpevole di tutto, mentre gli dei sono responsabili di tutto, ma colpevoli di nulla. Tragico è, per la filosofa, il destino dell’uomo: così come eroina tragica è Elena, strumento della volontà divina e pur colpevole, dato che lei stessa è l’incarnazione dell’impossibilità di vivere in autonomia, soggetta alla dea Afrodite. Bellissima e infelice, incanta tutti i maschi di Ilio e di Grecia: lei la rea, la ‘cagna’, la ‘sgualdrina’. Lei, la causa della guerra di Troia, pur instrumentum deae. Sostiene, infatti, la filosofa che, al di là di tutte le interpretazioni storico-economiche, le guerre antiche si combattono anche per le donne e a causa di queste. Cosa c’è di più tragico di essere non svincolabile dall’arbitrio divino? Le donne come Elena o come Cassandra sono le più devastate dalla volontà degli dei. Eppur si legge, qui e lì nella loro storia, il riconsolidarsi degli affetti più veri, come quello che lega la peccatrice a Ettore, unico vero principe troiano: l’unico degno tra i tanti scoloriti figli di Priamo. Un sovrano che assolve Elena dalla colpa feroce che dentro la dilania: tanto bella, quanto disperata. Gli affetti nell’opera della Bespaloff contengono anche i sentimenti più feroci, come quelli nutriti da Achille: di fronte a Teti, questi si placa, pur consapevole di non poter sfuggire al proprio destino di morte. E come è materna la ninfa; come si piega con dolore ad abbracciare la nera morìa del figlio; come è vicina in questo sentire di madre a una donna umana, terribilmente umana.
Al confronto, appare insignificante e convenzionale la figura di Ecuba, che non sa e non può comprendere l’abisso nel quale vive il figlio Ettore, costretto a combattere dall’areté e dalla dignità da difendere, che gli impone la civiltà della vergogna: se non combattesse, dovrebbe infatti vergognarsi; e con lui tutti i Troiani e le Troiane dai lunghi pepli. Ecuba non può e non sa abbracciare il dolore funesto del figlio, ma il poeta Omero sì. E con la lui la filosofia: “Ettore ha sofferto tutto e ha perduto tutto tranne se stesso… Né superuomo, né semidio, né simile agli dei, ma uomo e principe tra gli uomini”. Lui è il resistente, lui abbraccia l’unico valore che, nei tempi bui della Bespaloff, ha avuto ragion di esistere.
QUI SOPRA: LA FILOSOFA UCRAINA DI ORIGINI EBREE, RACHEL BESPALOFF
AL CENTRO: LA SAGGISTA IN UNA FOTO PRECENDENTE ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
IN APERTURA: LA RISTAMPA DEL SUO CELEBRE SAGGIO 'SULL'ILIADE' EDITO DA ADELPHi