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21 Novembre 2024

Scrivere ‘semplice’

di Francesca Buffo
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Scrivere ‘semplice’

Goffredo Parise soleva dire che l'Italia è il Paese della politica. Pensava che lo scriver chiaro, a tutti comprensibile, era democratico e che occorresse combattere i cretini-intelligenti sfidando col senso comune e con la logica elementare tutte le astrazioni e i concettualismi. Con i suoi Sillabari ha raccontato il Bel paese come fosse un sentimento  

Alla loro pubblicazione, negli anni ‘70, i Sillabari di Goffredo Parise furono al centro di furibonde polemiche. Le storie contenute nel libro e il suo autore furono accusati di disimpegno, forse anche di diserzione. Quei racconti pubblicati sul Corriere della Sera (i primi 22 scritti dal 1971, editi nel ‘72 da Einaudi in Sillabari n.1 e gli altri, 32 scritti dal 1973 all’1980, editi da Mondadori in Sillabari n.2) in ordine alfabetico (dalla A di Amore alla S di Solitudine, la lettera che segnò di colpo la fine dell’ispirazione), erano solo storie che raccontavano, una alla volta, un sentimento. Cesare Garboli, nella sua prefazione li definisce 'romanzi virtuali' («Intendo dire che pochi, insignificanti particolari contengono in sé virtualmente delle architetture complesse, degli intrecci, dei rapporti romanzeschi. Sono dunque cellule, cellule da cui potrebbero scaturire innumerevoli romanzi possibili») per anticiparne lo stile narrante. Un susseguirsi di personaggi, luoghi e situazioni che potrebbero vivere ovunque, tanto universale è il loro esistere, tanto indefiniti e vaghi appaiono nella loro pur minuziosa descrizione. L’approccio dello scrittore resta nel corso di tutte le storie – salvo che verso le ultime - quello poetico, con in più il dono impareggiabile della sintesi e dell’ assoluta asetticità dalla retorica. D’altronde, come spiega lui stesso in alcune interviste, il romanzo come tecnica non gli interessava («Quello che è interessante è scrivere un libro che è necessario, che si senta necessario scrivere»). Ecco, i Sillabari, ieri come oggi sono una lettura necessaria. A spiegarci il perché è Nanni Moretti (che oggi ne è voce narrante nell’edizione audiolibro) in un'intervista di Antonio D’Orrico: «Parise scriveva quei racconti in un’altra Italia. Forse quel sentimento è legato a un’idea di società e a un Paese che non c’è più. Un Paese spezzato da tutte le parti e in cui a fatica i cittadini si sentono parte di una comunità». Un’idea di società della quale noi non dovremmo perdere memoria. 


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Questo articolo è tratto dal numero 1 di Periodico italiano magazine versione sfogliabile

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