Risale a qualche giorno fa la nota della Sami, Società degli archeologi medievisti italiani, nella quale è espressa la profonda preoccupazione per le notizie circolate in questi giorni sulla possibile chiusura del Museo Nazionale dell'Alto Medioevo di Roma, presso il Palazzo delle Scienze al quartiere dell'Eur. Inaugurato nel 1967 con l’obiettivo di dotare la capitale di un’esposizione archeologica permanente dell’età postclassica e di promuovere la ricerca sul mondo antico, la galleria espone centinaia di straordinari reperti databili tra il IV e il XIV secolo, provenienti per la maggior parte da Roma e dall’Italia centrale
“Chiediamo – scrivono gli archeologici medievisti - che si rinunci a impoverire il patrimonio museale romano e italiano. Le ricadute che un museo, un archivio o una biblioteca possono avere sono diverse e ben più “remunerative” rispetto a una malintesa visione mercantilistica del bene culturale; i vantaggi di un museo sono anche e soprattutto in termini di crescita culturale, di miglioramento del benessere e della qualità della vita. L'eventuale soluzione che si paventa, cioè il possibile trasferimento delle collezioni al prospiciente Museo Nazionale Preistorico Etnografico "Luigi Pigorini", non soddisfa; pare penalizzante anche per quest'ultimo, snaturandone storia e attuale configurazione. Sorprende che, di fronte all'impossibilità di mantenere in vita il Museo dell'Alto Medioevo, non si sia pensato caso mai ad impostare un opportuno progetto scientifico per un grande percorso conoscitivo in una realtà specifica come quella del Museo Nazionale Romano - Crypta Balbi. Qui, infatti, vengono illustrate le trasformazioni della città tra l’età tardoantica e l’ altomedioevo (V-IX secolo); inoltre il grande deposito di scarti relativi alla produzione di oggetti di lusso per l’abbigliamento e l’ornamento, da tempo, è stato riconosciuto come pertinente ad un'officina che forniva probabilmente anche i longobardi di Nocera Umbra e Castel Trosino”.
La minaccia di chiusura si deve alle necessità di spending review cui il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo si è dovuto uniformare in base alla legge 135 del 2012. Il 9 agosto 2013 il ministro Massimo Bray ha istituito la “Commissione per il Rilancio dei Beni Culturali e del Turismo e per la riforma del Ministero”, al fine di elaborare analisi e proposte su due tematiche: l’attuazione delle misure di contenimento della spesa e l’individuazione di “efficaci sinergie tra pubblici poteri e intervento di soggetti privati nella gestione dei beni culturali e delle attività legate al turismo” (punto 1). I lavori della Commissione, avente il compito di «definire le metodologie più appropriate per armonizzare la tutela, la promozione della cultura e lo sviluppo del turismo», si sono conclusi il 31 ottobre 2013. E il 5 novembre 2013 il testo è stato reso noto.
Venendo al nodo centrale della questione, nella relazione finale si legge che: “la crisi della finanza pubblica italiana […] ha imposto l’adozione negli ultimi anni di severe misure di contenimento della spesa pubblica. L’adesione agli accordi del cosiddetto fiscal compact imporrà questa politica di austerità e di rigoroso contenimento della spesa pubblica anche negli anni futuri” (2. La tutela del patrimonio culturale e l’art. 9 della Costituzione. La sussidiarietà orizzontale e i vincoli di finanza pubblica. Le linee di un possibile rilancio).
Queste “severe misure di contenimento della spesa pubblica” hanno condotto lo Stato a ritenere di dover risparmiare sugli affitti spesi ogni anno per le sue istituzioni culturali dell’Eur. Fin dalla loro inaugurazione, infatti, il Museo dell’Alto Medioevo, il preistorico etnografico L. Pigorini, il museo delle arti e tradizioni popolari e l’Archivio Centrale di Stato, tutti proprietà dello stato, versano un canone di locazione pari a 11,5 milioni annui all’Eur SpA, società partecipata dal Ministero dell’economia per il 90% e dal comune di Roma per il 10%. Come recentemente ha notato Giuliano Volpe, giornalista de “il Manifesto”, si tratta di un assurdo paradosso: lo Stato che paga allo Stato. Ma il Museo dell’Alto Medioevo, riallestito nel 2006 per la modica cifra di un milione di euro, assorbe solo una minima parte della somma su indicata. Per di più il trasferimento delle sue collezioni in altra sede, oltre a snaturare l’identità della struttura “ospitante”, comporterebbe una spesa davvero ingente se consideriamo il necessario riallestimento degli spazi.
Nel frattempo, dal Mibact e dalla Sopraintendenza archeologica di Roma tutto tace. In attesa che la situazione venga chiarita auspichiamo una risoluzione del problema nei giusti modi, ovvero nell’ambito di un progetto organico di riorganizzazione museale che tenga conto non solo delle spinose questioni burocratico-amministrative, ma soprattutto del valore culturale e dell’unicità di questo storico museo romano.