Raffaello Morelli, noto studioso di temi laici e presidente della Federazione dei Liberali, dopo l’ottimo riscontro di critica ottenuto lo scorso anno con il libro ‘Lo sguardo lungo della laicità’, edito dalla casa editrice Ets, di recente è tornato nelle librerie con un nuovo lavoro assai interessante, per fini intenditori. Questa volta, però, non si tratta del classico approfondimento storico-politico, bensì di una complessa riflessione, esposta con gradevolezza logica e chiarezza espressiva, sul fattore ‘tempo’ all’interno della nostra realtà. L’opera s'intitola: ‘Le domande ultime e il conoscere nella convivenza’, ovvero: ‘Fuori dal tempo e dentro al tempo’, edita, anche questa volta, dalla Ets. La questione che l’eminente autore solleva, in sostanza, è la seguente: perché porsi domande ultime è una strada sterile e depistante per la conoscenza? Secondo Morelli, se si guarda ai passaggi della scienza nel corso dei secoli, l’ulteriore sviluppo della conoscenza non può eludere il tentativo di inglobare, tra i nostri strumenti descrittivi del mondo, il tempo fisico, irreversibile e trascinante. La conoscenza ha sempre avuto l’ossessione millenaria di operare su modelli del reale ‘statici’, nonché su aspirazioni all’eterno, anche nel governare la convivenza. La tesi del libro, dunque, è che queste ossessioni debbano essere abbandonate, perché il mondo in cui viviamo è impostato nel tempo e non si può conoscere di più cercando di sapere tutto, per sempre, anche a costo di negare la temporalità fisica nella strumentazione usata. Allo stesso modo, non si può governare la convivenza per mezzo delle utopie o di illusori programmi di natura ideologico-religiosa, avulsi dal passare del tempo. Già questi primi punti fermi lasciano intendere la convinzione dell’autore nelle più svariate sperimentazioni condotte dagli individui, sul confronto tra chi le conduce e coloro che le osservano. La capacità di pensare si attiva in ciascuna persona attraverso l’astrazione delle esperienze con il mondo fisico circostante ai diversi livelli dimensionali, inclusi gli altri individui, senza che sia necessario proporre l’assoluta comprensibilità razionale del mondo (perché già una supposizione di questo genere costituirebbe una domanda ‘ultima’). Inoltre, la capacità di pensare dell’uomo non sempre è stata la stessa: essa si è evoluta e si evolve di continuo, seppur in maniera assai lenta, acquisendo forme di adattamento ambientale e di trasformazione. La qual cosa sottintende un concetto intellettualmente ‘rivoluzionario’, che pone in discussione il consueto modello ‘platonico’ di ragionamento filosofico: quello fondato sullo ‘status quo’, sul pensiero schematico, fisso, ‘fotografico’, come unica ‘forma’ metodologica per impedire la ‘decadenza’. In buona sostanza, ai tempi di internet e di uno sviluppo tecnologico forsennato, Morelli ci sottolinea la relatività stessa del fattore tempo inserito nei nostri ragionamenti. La concezione di tempo che, in effetti, noi utilizziamo è essa stessa un’astrazione, individuata al fine di regolarsi convenzionalmente. Dunque, non solo il tempo non è un concetto assoluto, bensì può addirittura rendere antiscientifiche, ideologiche, in un certo senso ‘religiose’, le svariate procedure di categorizzazione culturale. Il primo passo che l’autore affronta nel libro è quello di andare a confutare il teorema di Goedel, che si pone alla base del ragionamento ‘platonico-religioso’. Non per le conclusioni in sé del teorema in questione, bensì per la circostanza che approfondire la procedura implicita del ‘TdG’ conduce a ribadire come l’interpretazione ‘platonica’ sia ormai da considerarsi improponibile, per ragioni che rendono insostenibile fornire interpretazioni analoghe alle cose del mondo. Il metodo dell’approfondimento spinge a sollecitare l’opportunità di ampliare la struttura matematica, introducendo la rappresentazione del tempo fisico e le sue caratteristiche. Se, pertanto, qualunque sistema dell’aritmetica di Peano è incompleto, non può esistere alcuna teoria formale che possa includere la spiegazione razionale, perfettamente scientifica, di tutte le parti di sé. I religiosi e i platonici, in genere, hanno utilizzato queste conclusioni come la prova dell’impossibilità della conoscenza del tutto tramite la ragione. E ne hanno fatto discendere l'assunto che solo la fede e l’intuizione possano consentire di giungere a tale ‘fine ultimo’. Ma si tratta di una visione ‘statica’, di mera rassegnazione ‘provvidenzialista’, di una ‘plumbea sfiducia’ nelle potenzialità e capacità del singolo individuo. Dunque, senza andare a scomodare il Leopardi del ‘Sabato del villaggio’, Morelli ci guida in una serie di ragionamenti che dimostrano come l’esistenza del tutto non renda affatto logico o necessario conoscere ogni cosa. Al contrario, il convincimento che la conoscenza sia fondamentale per la convivenza non implica che una versione ‘circoscritta’ di questa sia inutile. Anzi, può essere la spinta in grado di stimolare il singolo individuo a conoscere di più. L’obiezione, perciò, non è sulle conclusioni del metodo platonico, poiché appare lapalissiano che la ragione avrà sempre cose nuove da scoprire e da approfondire e che non potrà mai esaurire il tutto dell’universo, bensì nel metodo, nella procedura speculativa, nella molteplicità di strumenti della razionalità filosofica. Tutte conclusioni che ci portano a concezioni dalla natura evolutiva, dinamica, verso nuovi modelli e sistemi ‘galileiani’ - ovvero ‘in movimento’ - della speculazione intellettuale. Ricorrere alla fede o alle mere intuizioni per cercare di interpretare il tutto, al fine di completare i limiti del già conosciuto, diviene semplicemente una scelta e non una logica obbligata. Perché, al contrario, ciò inserisce nozioni ‘sofistiche’, di ‘contrasto’ all’evoluzione scientifica stessa. Allo stesso modo, non possiamo considerare il nostro modo di valutare e calcolare il tempo come metodologia unica, univoca, assoluta, bensì diviene anch'essa una semplice astrazione la quale, anche se può valere per molti o, addirittura, convincere tutti sotto il profilo convenzionale, non è detto che essa rappresenti una procedura puramente oggettiva di concepire il tempo, né che questa mantenga un grado talmente alto di scientificità da rappresentare l’esatta aderenza alla realtà. In altre parole, anche il tempo è una teoria. E ciò pone in discussione l’assunto ‘popperiano’ che definisce la teoria stessa come quell’attività mentale che può risultare smentita dai fatti, giungendo in tal modo al concetto di ‘teoria scientifica’. Ma una teoria non può essere scientifica: anche in questo caso siamo di fronte al consueto ‘ossimoro’ che tenta di unire due cose molto differenti tra loro. Ma la scienza, la vera conoscenza scientifica, non può assumere una teoria astratta come presupposto di partenza, bensì muove da elementi materiali, concreti, reali. “La scienza è un qualcosa che possiede sempre delle gambe”, dice un antico adagio siciliano: nella sostanza, questa è la conclusione a cui giunge Raffaello Morelli. Uno studioso che non rinuncia a stupirci per profondità di ragionamento, per capacità di rielaborazione del proprio pensiero, per la grande tensione intellettuale che perennemente si rinnova attraverso antìtesi sempre innovative e coerenti con il principio liberale delle grandi potenzialità del singolo individuo. Sia che questo scelga di porsi dei limiti, sia che, al contrario, decida di sviluppare la propria conoscenza.