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A Colobraro, piccolo comune lucano noto per la sua fama di luogo sinistro e portatore di sfortuna, la superstizione si combatte con l’autoironia:‘magici’ percorsi teatrali e musica‘metal’ – per ‘toccare ferro’ metaforicamente – rivolti ai turisti
La superstizione è ‘dura a morire’. E questo perché le sue radici affondano nella notte dei tempi, irrobustite poi da secoli e secoli di riti, storie e credenze. Così, non di rado, accade che quei racconti in cui si narra di strani personaggi dotati di proprietà magiche/malefiche o di località famigerate per la loro ‘capacità’ di portare sfortuna, diventino non solo parte integrante e inscindibile del patrimonio storico, culturale e folkloristico di un luogo, ma anche e assolutamente reali al punto che se una persona o un luogo sono considerati ‘Iettatori’, state pur certi che nei loro confronti verranno utilizzati tutti i metodi, i rimedi e i gesti scaramantici possibili. In alcuni luoghi la superstizione è talmente radicata che si arriva anche ad evitare di pronunciare il nome della ‘cosa’ che porta sfiga e ad escludere (ovviamente!) contatti con essa. Non stiamo esagerando. Chiedetelo agli abitanti di Colobraro. Questa piccola località in provincia di Matera è conosciuta nell’intero immaginario della Basilicata (e non solo), come un luogo che porta ‘jella’ (tanto che in molti consigliano di evitare di pronunciarne il nome chiamandolo ‘quel paese’ – meglio se accompagnato a una palpatina di scongiuro). Con tutto ciò devono convivere i colobraresi. Vittime, da lungo tempo, dei pregiudizi e delle discriminazioni che non li fanno certo godere di una buona stima. La loro compagnia, infatti, non è proprio considerata ‘ottima’ o fortunata e né, tanto meno, di buon auspicio. Ma i colobraresi sono stufi di questa condizione. Come si può continuare a credere ciecamente, dopo secoli di evoluzione antropica e nel pieno della maturità della ‘coscienza razionale’, a quella che è solo una leggenda? Eppure questo paese dovrebbe essere famoso per altri ‘meriti’: le sue bellezze e le sue eccellenze, poiché, per chi non lo sapesse, Colobraro può vantare un bellissimo centro storico e una deliziosa tradizione gastronomica. Invece continua ad essere oggetto di scherno e cattiva fama. Così la cittadinanza, in segno di ribellione, ha iniziato a pensare: “Portiamo sfiga? Allora la esorcizzeremo!” . Nasce così, nel 2004, l’idea di aderire a un tour musicale (organizzato in tutta Italia). Una serata battezzata ‘Touching metal’ (tocca metallo, ferro) con gruppi metal e musica live. L’organizzazione ha giocato sull’autoironia tranquillizzando i visitatori più superstiziosi: con tanto ferro ‘da toccare’, non c’è nulla da temere. E, a giudicare dal numero delle presenze, il metal(lo) si è rivelato un ottimo conduttore.Reduci dell’esperienza ‘metallara’, negli ultimi anni il comune ha favorito l’incremento di altre iniziative che giocassero con la cattiva fama del posto. Una in particolare, denominata “Magiche serate a Colobraro. Sogno di una notte a… Quel paese”, si è mostrata molto intelligente ed efficace. L’evento, con il fine unitario di studiare, spiegare e ironizzare sulla superstizione e sulla nomea del paese, concentra il suo momento principale nella messa in scena di un percorso teatralizzato sul tema della magia e si sviluppa nel cuore del centro storico del paese, dal Palazzo delle esposizioni fino al Castello. Anche in questo caso, l’amministrazione si è ‘preoccupata’ di dotare i visitatori delle dovute precauzioni anti-sfiga. I turisti giunti per lo spettacolo, vengono accolti con un regalo: un ‘cincjokk’ (abitino) che deve essere legato al collo. In tempi passati, a Colobraro (ma di fatto in tutto il sud), l’abitino costituiva una vera ‘protezione’ e veniva appeso al collo dei neonati contro il malocchio e le forze del male. E così, rigorosamente solo dopo essere stati avvolti dall’aurea protettiva del sacchettino, i turisti possono finalmente cominciare il percorso ‘nel magico e nel fantastico’. La rappresentazione si chiude con gli spettatori che urlano ‘Colobraro’ mentre sventolano le mani alzate per aria, mostrando, in questo modo, di non ‘toccarsi’, contribuendo a sfatare la superstizione sull’innominabilità. L’evento è riuscito ad attirare molti visitatori: “Mai visti così tanti ‘stranieri’ dal tempo delle invasioni barbariche o longobarde”, dichiarano gli abitanti del borgo. A detta del Primo cittadino, più di 15.000 presenze: numeri notevoli per un paese di poco più di mille anime e considerato ‘maligno’. “La vera magia - aggiunge il sindaco - è stata riuscire ad attirare molti curiosi che, poi, alla fine hanno potuto ammirare e assaporare ciò che veramente di incantevole c’è a Colobraro: i paesaggi, le bellezze naturalistiche ed architettoniche, le tradizioni, l’ospitalità, l’accoglienza e la degustazione dei prodotti locali”.
Quando si dice il caso... La ‘leggenda’ della sfortuna di Colobraro è talmente singolare nella sua radicata ‘verità’ e nella sua larga diffusione, da aver addirittura suscitato, negli anni, l’interesse di docenti universitari e esperti vari in etnologia e antropologia. Il paese offre tante attrattive e il resto appartiene solo alla sfera dell’ignoranza e della superstizione. Ne era pienamente convinto anche l’antropologo Ernesto De Martino che, a metà degli anni ’50 dello scorso secolo, con lo scopo di verificare le ‘chiacchiere’ su Colobraro, visitò il paese in più occasioni, incuriosito dalla vastissima diffusione assunta dalla sua famigerata fama. Lo stesso scettico studioso, però, riferì in seguito di essere stato protagonista di alcuni ‘sfortunati’ episodi insieme alla sua troupe.Ovunque risieda la verità su Colobraro, non si può negare che molti degli aneddoti che si tramandano sulle origini di questo piccolo borgo testimoniano vicende al limite, se non del mistero, certamente della sfortuna. A voi lettori, l’arduo compito di capire ove e se esista un confine tra mito e realtà. L’importante è non farsi influenzare, ricordando che tutti gli episodi sfortunati che continuano a verificarsi a Colobraro sono solo coincidenze. Usate la razionalità. Perciò: andate a ‘Quel paese’. E se siete proprio tanto scaramantici, potete sempre nascondere in tasca un pezzo di ferro. Origine della sfortuna di Colobraro Tra i numerosi aneddoti che si tramandano per cercare di spiegare l’origine della ‘maledizione di Colobraro’ e dell’innominabilità del suo nome, il più famoso (e attendibile) racconta di uno speciale ‘fluido’ emanato dal potestà del paese, Don Virgilio (in carica intorno al 1940), al termine di una sua affermazione: “Se non dico la verità, che possa cadere questo candelabro”. A quanto pare il fluido funzionava alla perfezione perchè, pochi secondi dopo aver pronunciato la frase, l’enorme lampadario pieno di aculei si staccò sul serio dal soffitto, uccidendo tutti coloro i quali avevano messo in dubbio la parola di Don Vorgilio (esiste anche una versione della storia che descrive la stanza dell’accaduto vuota). Ma la sinistra fama del paese deriverebbe anche dalla pratica delle arti magiche, molto diffusa tra alcune donne che vi dimorarono nel secolo scorso e operata, in particolar modo, da una potente ‘masciara’, ovvero una famosa (e probabilmente temuta) maga locale. Altre tradizioni identificano la ‘cattiva reputazione’ del posto all’interno dell’etimologia stessa del nome del paese. ‘Colobraro’ deriva, infatti, dal termine latino ‘coluber’, ovvero serpe e, per estensione, luogo che contiene e produce serpi. Con ciò sarebbe dimostrato quindi che, fin dalle sue origini, Colobraro abbondasse di presenze malvagie (fisiche e metaforiche). Altri storici fanno, invece, risalire l’origine del paese e del suo nome al periodo delle prime crociate. Si racconta che il barone di Caffo (della terra di Caserta), reduce dall'Oriente, diede al paese il nome del suo fedele scudiero ‘Colubrano’, morto precipitando da uno scosceso pendìo del castello. Altri studiosi ancora sostengono che ‘Colubrano’ non fosse uno scudiero, ma il capo dei soldati e che il barone avesse dato al paese lo stesso nome, per rendere omaggio e onore alla sua morte, avvenuta durante la costruzione del castello. Esiste anche un’altra ‘macabra’ versione, secondo la quale il paese fu denominato Colobraro perché edificato nelle vicinanze di una collinetta chiamata ‘Collis Librarum’ (dicunt libram esse imaginem Astreae: la Libra è l'immagine di Astrea, dea della giustizia) sulla quale, in tempi antichi, arrivavano persone dalle vicine città ioniche, per giustiziare i delinquenti. Esiste, infatti, a un chilometro di distanza dall’abitato, una collinetta che porta il nome di Cozzo della Giustizia. La puntata di Porta a porta dedicata a Colobraro