L’oblio, il vuoto e l’incertezza possono riempire il nostro spazio mentale quando pensiamo a cosa c’è dopo la vita: una visione prettamente materialista, molto di moda negli ultimi tempi
Vi è un evento, in questa nostra esistenza, che è un'inevitabile esperienza per tutti. Nonostante ciò, come tutte le cose che temiamo, lo ignoriamo. Facciamo come se non esistesse, come se non potesse mai arrivare a toccarci. Sebbene vi sia la consapevolezza che, in realtà, ci riguarda profondamente, anche attraverso coloro che non sono più tra noi e ricordiamo da vivi. Stiamo parlando della morte: indubbiamente, un argomento ostico. Poco popolare. Si evita a tutti i costi. Non se ne parla di certo al bar o a colazione. E se lo si fa, l’argomento viene trattato in modo drammatico, a bassa voce. Spesso, in uno spazio intimo e invisibile, là dove gli occhi non possono posarsi sulla paura e su quella sofferenza che ci fa sentire impotenti. Ma è proprio l’isolamento e l’impossibilità di condividere, anche solo con se stessi, una diversa dimensione delle cose, a creare questo disagio. Infatti, la parola 'morte' incute timore in molti. Un sussulto. Quasi come se il solo fatto di nominarla la evocasse. Vogliamo proporvi un approccio diverso, forse più orientale ma meno superstizioso, che reincontri il modo in cui le antiche civiltà occidentali celebravano il passaggio dalla vita alla fine della stessa. La nostra società attuale cerca di correre contro il tempo, di 'fregarlo' creando opzioni per eliminare le rughe e per allungare la vita attraverso 'magiche' pillole e creme, che però altro non sono che la negazione di chi siamo veramente. L’invecchiamento e la morte sono elementi ineluttabili. E, dato che tutti dobbiamo farci i conti, perché non affrontarli con serenità, accettazione, comprensione dei cicli dell’esistenza? L’oblio, il vuoto e l’incertezza possono riempire il nostro spazio mentale quando pensiamo a cosa c’è dopo la vita. Una visione prettamente materialista, molto di moda negli ultimi tempi. Infatti, non c’è da stranirsi se la depressione, l’ansia e gli attacchi di panico dilagano. Siamo anche, ma non solo, un corpo fisico. Ci sentiamo impauriti, perché abbiamo dimenticato chi siamo realmente, o meglio cosa. Finché non ricorderemo la nostra vera natura e che il passaggio dalla vita alla morte altro non è che una trasmutazione che sperimentiamo per evolvere e crescere non riusciremo a 'far pace' con questo punto nella nostra storia. Dobbiamo capire che sì è una pausa, non una fine. E che, per arrivare a questa comprensione, è inevitabile trovare un percorso spirituale. Pensate al modello dell’atomo: spirito in quanto nucleo, le particelle sono lo spazio mentale. Poi viene ciò che diventa materia: il corpo, nel nostro caso. Ne 'Il piccolo principe', lo scrittore Antoine de Saint-Exupéry ci istruisce al riguardo: “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Allo stesso modo, i nostri splendidi involucri di carne e ossa sono una manifestazione di una parte più sottile di noi, che per conformazione non può avere una forma così materica e tangibile. Per questo motivo, prendiamo in prestito i nostri corpi dagli elementi della natura, ma poi dobbiamo restituirli. Così è come è anche strutturato il nostro universo: secondo il Sanātana Dharma, l’antica scuola indiana, noi siamo una 'maglia' che dal sottile va al grossolano. La trama si fa sempre più visibile, s’infittisce man mano. Ma c’è molto che non possiamo percepire con i nostri cinque sensi. Appelliamo all’intuito per divenire in grado di visualizzare la vita da un punto più elevato. Come insegnatoci dai platonici: “Filosofare è imparare a morire”. Il grande Franco Battiato affermava che la sua vita era stata un percorso per prepararsi alla morte: “Imparare a morire è una materia che dovrebbe insegnarsi nelle scuole”. Nei suoi anni di studio e pratica delle discipline esoteriche, egli cercava un ricongiungimento con i mondi sottili e una comprensione del mondo materiale. Un’armonia che poteva esser data solo da pratiche di natura spirituale. Come egli stesso diceva: “Non posso affermare di non temere la morte, ma sto lavorando per essere degno di un passaggio dell’essere umano da una dimensione all’altra. Ce la sto mettendo tutta”. Non dobbiamo evitare questo argomento: parliamone senza paura; iniziamo questa ricerca interiore verso una verità, che vada oltre le apparenze; impariamo a espanderci nell’immensità. È questo ciò che dobbiamo fare, ognuno a modo suo: mettercela tutta, per sentire quella parte di noi che vive ancora lì dove tutti quanti siamo, da dove proveniamo, dove il tempo e lo spazio non esistono, in cui ritorniamo grazie a un ciclo di rinascite che in sanscrito denominiamo: ‘Saṃsāra’. Citando l’immensità della musica del Maestro: “La vita non finisce. È come il sogno. La nascita è come il risveglio. Finché non saremo liberi, torneremo ancora, ancora e ancora”.