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24 Novembre 2024

Le polemiche sulla magistratura

di Vittorio Lussana
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Le polemiche sull’operato della magistratura nei confronti del premier e dell’uso delle intercettazioni, in generale, continuano a creare accesi dibattiti. La questione vede contrapporsi tesi contrastanti non solo a livello di ‘credo’ politico, tant’é che il confronto appare difficile anche fra noi colleghi all’interno delle redazioni. Dopo aver letto l’analisi di Nino Lorusso sulle pagine della rivista mensile ‘Liberoreporter’ in merito alle accuse mosse dalla procura di Milano al presidente del Consiglio dei ministri e dopo aver registrato la sdegnata lettera di risposta al medesimo articolo dell’amica e collega Chiara Scattone, qualche riflessione aggiuntiva sul modo di approcciare tali questioni, che appartengono peculiarmente al mondo della politica giudiziaria, dev’essere sicuramente espressa. La tesi di Lorusso, infatti, da un lato appare eccessivamente difensiva, un porsi sulle ‘barricate’ che, a prescindere dai reati contestati e dalle arringhe declamatorie che quelle stesse contestazioni hanno a loro volta provocato, sembra non voler tenere conto di una questione dirimente, che ormai si pone con piena evidenza per l’attuale premier: quella di dimettersi dal proprio incarico per motivi di evidente opportunità istituzionale. Un presidente del Consiglio che, avvalendosi del proprio ruolo istituzionale, consente il pagamento di compensi assai elevati ad alcune ragazze, le quali certamente non amano fare le commesse in un negozio di scarpe oppure mantenersi tramite dignitose occupazioni saltuarie o stagionali, mentre tanti operai disoccupati vivono grazie al misero sussidio della cassa integrazione - per non parlare dei numerosi giovani costretti a sopravvivere in una condizione di costante precarietà  - rimane un’obiezione nient’affatto di carattere morale, bensì politica, poiché risponde a modelli di comportamento talmente ‘classisti’ da giustificare persino la resurrezione di determinate figure sociologiche ‘di crisi’ di diretta discendenza marxista. 

La fortuna abbandona i troppo audaci

L’arretratezza politica che deriva dal comportamento di Silvio Berlusconi e di tutto il Pdl è infatti tipico di una piccola borghesia ‘cialtrona’ che ama fare e disfare ciò che più le pare e piace, compiacendosi persino del proprio operato da ‘libertini’ di fine ‘800, comportamenti che meritano certamente di incontrare, prima o poi, uno stop. D’altra parte, risulta altresì verificabile come le polemiche provenienti dall’universo politico progressista siano di natura fortemente burocratica, una sorta di corporativo ‘soccorso rosso’ verso un organo, la magistratura, che di certo non può considerarsi dotato del dono dell’infallibilità, soprattutto in Italia. La tesi dell’inesistenza di una ‘doppia magistratura’, quella buona e quella cattiva, rappresenta una difesa astratta, moralistica, strumentale della magistratura stessa, che in effetti svolge un ruolo arduo, difficile, composto di lunghissime giornate di sconfortanti dibattimenti e articolate sentenze. Di processo in processo, il magistrato è tuttavia tenuto a rendersi conto della difficoltà del vivere umano, della complessità del proprio ruolo giudicante. Perché è vero esattamente il contrario: è proprio il dover giudicare ciò che sconfigge l’uomo, poiché lo pone nelle condizioni morali, prima ancora che culturali, di dover analizzare la vita e i comportamenti di un proprio simile. Un sano principio di equità giuridica, in particolar modo verso quegli esponenti politici che ricoprono alti incarichi istituzionali, richiederebbe, almeno, una soglia più alta di protezione e di riserbo delle indagini in corso. Fu proprio in base a questo ragionamento, ovvero intorno all’eventualità di dover giudicare l’operato di un qualsiasi parlamentare evitando che la vita politica del Paese venisse influenzata dal potere giudiziario prevaricando, anche involontariamente o per periodi temporanei, il principio della sovranità popolare, che in sede di Assemblea Costituente si giunse al varo dell’articolo 68 della nostra Costituzione, ovvero quello relativo alla cosiddetta ‘immunità parlamentare’. Se, infatti, l’ufficio pubblico di un membro del parlamento non risulta adeguatamente protetto, anche l’accusa più falsa può essere utilizzata come strumento politico, benché in buona fede. Se non si riesce nemmeno a mantenere un minimo di riserbo nel merito di una qualsiasi indagine, per forza di cose l’effetto conseguente diviene l’accusa, nei confronti della magistratura ordinaria, di fomentare un circuito mediatico-giudiziario volto a condizionare la vita politica dell’intera comunità. Uscire da questo genere di polemiche non può non tradursi nel consigliare a tutte le parti in causa atteggiamenti più sobri. Il che significa rammentare al presidente del Consiglio che scegliere un comportamento anziché un altro può ridurre, in realtà, la durata temporale del proprio ciclo politico, anziché dilatarlo. Scrivere semplicemente questo dovrebbe bastare per chiudere ogni genere di discussione, senza far troppe polemiche. In fondo, la fortuna abbandonò persino Napoleone Bonaparte, che possedeva gli ‘speroni’ d’oro: abbandonerà presto anche Berlusconi.



freccia3.jpgLe due facce della stessa medaglia

 

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Nel suo articolo pubblicato su Libero Reporter (febbraio 2011) Nino Lorusso affermava: “Le istituzioni italiane sono state prese a calci da una banda di irresponsabili”. Ecco qui di seguito la risposta della collega Chiara Scattone.

La pistola fumante dei qualunquisti
Un atteggiamento qualunquistico e il desiderio irrefrenabile di condannare una magistratura considerata talvolta troppo ‘aggressiva’ sono due degli elementi che si affacciano spesso nei discorsi con gli amici e nelle pagine dei giornali. Il ritornello suona con lo stesso ritmo, la magistratura svolge le proprie indagini con il fucile spianato, l’obiettivo perseguito è unicamente quello di destabilizzare il Paese e la politica nazionale, conducendo indagini farraginose e inutili che non portano alla scoperta della verità dei fatti (sic!) bensì allo “sputtanamento” del soggetto indagato. Le prove di un simile comportamento? Per esempio la richiesta di autorizzazione inoltrata al Parlamento a eseguire una perquisizione nell’ufficio del ragioniere Spinelli, ufficio facente parte della segreteria dell’onorevole Silvio Berlusconi. Già, perché lo stesso atto di richiedere l’autorizzazione, secondo alcuni, avrebbe concesso la possibilità al titolare dell’ufficio perquisendo a nascondere e compromettere le prove del presunto reato. E pertanto la magistratura avrebbe operato inutilmente, perseguendo un obiettivo alterato e dunque totalmente inefficace ai fini dell’inchiesta. L’inchiesta, secondo questa tesi, ha quale scopo solamente quello di destabilizzare il Paese – la strategia della tensione? –, peraltro già destabilizzato al suo interno da un crescente disagio per l’assenza delle riforme auspicate e mai conclusesi, per l’instabilità sociale sortita da una crisi economica che probabilmente dovrà ancora mostrarci il suo lato più duro. La magistratura si arroga dunque il ruolo di deus ex machina, il compito di gestire e regolamentare le regole del gioco del potere e della politica. Nel nostro Paese, allora, esistono due magistrature: una buona che combatte, al costo talvolta di sacrificare la propria vita, contro le mafie, la malavita organizzata, contro le violenze e le ingiustizie; e un’altra magistratura, cattiva, che invece organizza operazioni para-golpiste al fine di manipolare l’andamento politico del Paese. Entrambe sono spesso incarnate dalle stesse persone, dagli stessi pubblici ministeri, un caso di schizofrenia? La magistratura, si dice, non ha prove, solo chiacchiere e pettegolezzi, millanterie e voci di corridoio di alcune delle ragazze che avrebbero partecipato al presunto ‘bunga bunga’ delle notti di Arcore. Quelle chiacchiere talvolta possono divenire prove di indagine, così come le deposizioni formali possono essere semplicisticamente considerate delle ‘chiacchiere’. I percorsi seguiti durante le inchieste della magistratura possono apparire incoerenti, illogici e probabilmente talvolta pretestuosi, soprattutto quando a tali indagini fanno seguito fuoriuscite di notizie, succose per un’opinione pubblica oramai voyeristica grazie ai supporti mediatici. I resoconti delle intercettazioni telefoniche piacciono, permettono a chiunque di entrare nella vita personale di uno sconosciuto più o meno noto, che spesso viene ammirato o invidiato per il proprio potere, per il proprio aspetto fisico o per le proprie possibilità economiche. Ma le intercettazioni che fanno vendere copie ai giornali e che sembrano gli scoop delle gole profonde dei tribunali in realtà rappresentano elementi spesso giudicati ininfluenti dagli inquirenti ai fini dell’indagine oppure già depositate negli atti e rese pertanto pubbliche e pubblicabili. “Le istituzioni italiane sono state prese a calci da una banda di irresponsabili”. E questi responsabili sono i magistrati che conducono un’inchiesta per vie poco lecite, condizionate dal giudizio personale e politico degli stessi pubblici ministeri. Nei tribunali, così come ribadito in questi giorni più volte dal Presidente della Repubblica, i responsabili delle inchieste perseguono la via imposta loro dalle leggi – emanate dal Parlamento – che garantiscono l’imparzialità delle procedure e del giudizio finale rilasciato dai giudici incaricati. Nel caso qui discusso e sotto gli occhi di tutti, le accuse sono a carico del Presidente del Consiglio sono circoscritte al reato di concussione e a quello di prostituzione minorile. Accuse queste che debbono essere esposte nella sede appropriata – il tribunale – e per le quali gli inquirenti stanno seguendo, tra l’altro, la via delle deposizioni dei possibili testimoni. La raccolta dei dati, dei fatti e delle circostanze in cui sono presumibilmente avvenuti i reati contestati spetta agli organi competenti che operano in circostanze di libertà all’interno dei vincoli imposti loro dalla legge. L’utilizzo di un metodo antidemocratico non è previsto, né tanto meno garantito dalle istituzioni poste sotto la lente di ingrandimento del giudizio politico. La proc edura perseguita segue un percorso preciso, stabilito dalle leggi, uguale per tutti. La legislazione penale, civile, amministrativa e commerciale non ammette distinzioni di censo, di sesso, di religione, di provenienza o appartenenza politica. Tutti i cittadini sono sottoposti alla legge, senza esclusione alcuna, forse questa uniformità della garanzia legislativa e giudiziaria è l’elemento destabilizzante del nostro sistema politico. C.S.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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