L’obiettivo stabilito dagli accordi di Parigi, cioè quello di raggiungere emissioni nette zero entro il 2050, si allontana sempre di più mentre i colossi dell’energia europei delocalizzano per centralizzare la produzione di energia elettrica
Produrre energia elettrica partendo dall’acqua sembrava davvero una buona idea, fino a non troppi anni fa. Oggi, la tecnologia che permette l’elettrolisi e la conseguente produzione di energia a partire dalla divisione di H2 dall’atomo di ossigeno è una solida realtà, ma insostenibile dal punto di vista ambientale. È il temuto responso della ricerca a quattro mani del professor Leonardo Setti (UniBo) e della dottoressa Sofia Sandri (Centro per le comunità solari).
L’idrogeno, infatti, si dice ‘verde’ quando l’elettrolisi dell’acqua dolce è ottenibile a partire da fonti rinnovabili di energia elettrica (acqua, sole e vento). Ovviamente, costituisce uno dei cavalli di battaglia di RePower Eu, il sistema di investimenti per la conversione ecologica dell’Unione europea. Anche se fosse possibile avere un gasdotto alimentato completamente a idrogeno, quest’ultimo richiede una potenza di compressione 3 volte maggiore rispetto al metano. Ciò richiede l’installazione di ricompressori lungo la linea di distribuzione. Fortunatamente, tanto la rete di tubi, quanto gli impianti che permettono la tenuta della pressione del gas lungo la linea, già esistono e dovrebbero essere soltanto potenziate. Servirebbe l’equivalente di 20 Gigawatt di impianti fotovoltaici per la tenuta di una sola delle 13 linee di tubi che attraversano solo l’Italia, a partire dalla Tunisia e dalla Puglia, che si dirigono verso il Nord Europa. L’ipotesi di stoccaggio (deposito per periodi brevi, ndr) non può essere presa in considerazione: per ogni parte di idrogeno liquefatto stoccata, si consuma un’energia pari al 30% di quella prodotta. Quindi, per stoccare l’idrogeno complesso ne occorre dal 4 al 7%. Ipotizzare di trasportare l’idrogeno in forma liquida significa adoperarsi a portarlo alla 'modica' temperatura di 235° sotto zero e accettare il fatto che lo 0,4%, comunque, evapori. Secondo il World Energy Council Europe (sezione europea del Consiglio mondiale dell’energia, ndr) il Vecchio Continente, entro il 2030, riuscirebbe a produrre appena 2,3 milioni di tonnellate di idrogeno, mentre ne servirebbero 10; e di questi, solo 0,8 tonnellate proverrebbero da energia rinnovabile. Infine, l’idrogeno può essere prodotto anche a partire da gas metano o da altre fonti fossili, la cui elettrolisi risulta ancor più energivora. Secondo le ‘Linee guida preliminari’ della Strategia nazionale sull’idrogeno, l’Italia prevede di raggiungere una capacità di 5 gigawatt di elettrolisi, insufficienti per produrre le 700mila tonnellate di idrogeno che il Belpaese ha come obiettivo. Solo con una potenza eolica di 375 megawatt o fotovoltaica di 625 megawatt, pena consumare suolo grande quanto l’estensione delle provincie di Modena e Reggio Emilia messe insieme, si può pensare di produrre l’energia sufficiente. Ma nella nazione dove il tasso di consumo di suolo è ancora altissimo (70 km/q l’anno secondo l’ultimo rapporto Ispra), con tutto quel che comporta per gli effetti del cambiamento climatico, non possiamo permetterci di perdere terreno. Cosa fare? Snam, uno dei principali operatori d’Europa nel trasporto e nello stoccaggio di gas naturale, intende convertire le sue infrastrutture con cui distribuisce metano, beneficiando dei fondi di ‘RePower Eu’, per investimenti che vanno dagli 80 ai 143 miliardi di euro. Lungi dal proporre immobilismo, alla luce della sintesi dell’ultimo rapporto Ipcc (Convenzione internazionale per il cambiamento climatico, ndr), sarebbe necessario che sia gli Stati Uniti, che la Ue, non permettessero ai colossi energetici di utilizzare altri Stati sovrani come ‘colonie’. Le centrali nucleari ucraine – considerate strategiche, in tal senso, già prima dello scoppio della guerra – garantirebbero la produzione di H2 a bassa emissione, così come il deserto tunisino può diventare il vettore blu o grigio dell’idrogeno europeo. Affrontare seriamente, dal punto di vista politico, il discorso delle comunità energetiche, puntando su un’economia di prossimità, anche per quanto riguarda i consumi di elettricità, sembra non rientrare minimamente nell’agenda politica di nessun Paese.
QUI SOPRA: PARCO FOTOVOLTAICO
AL CENTRO: COSTRUZIONE DI UN GASDOTTO
IN APERTURA: IL CICLO ENERGETICO DELL'IDROGENO IN UNO SCHEMA DELLA SNAM