Il misterioso suicidio di Viktor Smagin, uno degli ingegneri dell’impianto di Chernobyl, ha fatto riaffiorare i molti dubbi su quanto accaduto durante e, soprattutto, dopo l'incidente avvenuto nella primavera del 1986 e quanto quella vicenda sia stata coperta da una sorta di omertà di Stato imposta dall’Urss
Nei giorni scorsi è scomparso Viktor Smagin, uno degli ultimi eroi viventi di Chernobyl. Era uno degli ingegneri dell'impianto nucleare di Chernobyl che, in quel drammatico 26 aprile 1986, fu tra i primi ad accorrere alla centrale dopo l'esplosione, diventando in seguito uno dei primi 'liquidatori' della centrale nucleare ‘Lenin’, ovvero coloro che si occuparono di risolvere le conseguenze del disastro e uno dei più preziosi testimoni della vicenda. Per quasi 40 anni, l'ingegner Smagin ha dovuto convivere con le conseguenze di quella scelta sulla sua salute, riuscendo a sopravvivere nonostante tutto. Ma all'ennesima diagnosi di tumore, il 23 ottobre scorso ha deciso di farla finita e si è gettato dalla finestra del palazzo dove abitava a Mosca, riportando ‘a galla’ i tanti dubbi che son sempre circolati intorno alla sua storia, a lungo dimenticata. Erano le 01.23.40 del 26 aprile 1986, quando la centrale nucleare di Chernobyl è scossa da un'esplosione: il nucleo del reattore 4 era esploso. Fu un errore umano, in base alle varie comunicazioni date dalla centrale riguardo i rischi. Purtroppo, la dittatura sovietica non ha mai permesso la giusta e idonea formazione dei dipendenti e non ha informato tempestivamente gli altri Paesi dell’accaduto. Michail Gorbaciov è stato anche l’uomo di Chernobyl, la tragedia nucleare che dimostrò tutta la sua indecisione e quanto la sua 'perestroika' non riuscisse a scalfire la 'parete oscura' che legava il nucleare civile a quello militare e quanto l’apparato di segretezza che lo circondava (passato, armi e bagagli, prima a Boris Eltsin e poi a Vladimir Putin) fosse inglobato nel gigantesco Paese che si stava disfacendo, condizionandone il passato, il presente e il futuro. Quell’incidente venne classificato di livello 7 (come quello di Fukushima nel 2011, ndr), il massimo livello della scala Ines dei disastri nucleari: quello catastrofico. Dal reattore 4 fuoriuscirono circa cinque tonnellate di materiale radioattivo. Il resto, invece, è rimasto lì (200 tonnellate di corium radioattivo, 30 tonnellate di polvere altamente contaminata e 16 tonnellate di uranio e plutonio), sempre nell’unità numero 4, sotto uno schermo di acciaio, cemento armato e lexan: una resina termoplastica di policarbonato, in grado di prevenire l’accumulo di particelle radioattive fra i vari corpi della volta. Questa sarebbe la composizione il secondo ‘sarcofago’, poiché il primo fu costruito nel 1986 nel più breve tempo possibile, quando i russi si trovarono a dover fronteggiare un disastro senza precedenti. La decisione di sostituirlo con un nuovo confinamento sicuro è stata presa il 29 novembre 2016: il 'New Safe Confinement' (Nsc). Il regime ha dovuto mettere al corrente il resto del mondo di quello che speravano di poter contenere. La più grande costruzione precostituita, realizzata per lo più in Italia, è costata circa 1 miliardo di dollari, per isolare il reattore fuso come minimo per 100 anni. Tornando un po' indietro, ricordiamo gli eventi più salienti per raffreddare il reattore 4: 1) il test di prova dei gruppi elettrogeni, per pompare acqua di raffreddamento del reattore, iniziato all’1.00 del 25 aprile 1986; 2) il 26 aprile, alle ore 00.00, quando si stava continuando il test, il personale del turno di notte era meno esperto e non del tutto preparato; 3) all’1.23 e 40 secondi, la temperatura dell’acqua divenne altissima e i refrigeranti bollivano. Venne premuto il pulsante AZ-5 per l’emergenza di classe 5, ma dopo soli 4 secondi si ebbe la prima esplosione: il reattore aveva raggiunto una potenza 120 volte superiore a quella normale, il combustibile nucleare si disintegrò e tutto il vapore in eccesso verso le turbine fece esplodere le condutture; 4) all’1.23 e 45 secondi, una seconda esplosione: il coperchio di 1000 tonnellate del combustibile nucleare fu scagliato in aria e si scatenò il rilascio di radiazioni, l’aria raggiunse il reattore e l’ossigeno innescò uno spaventoso incendio di grafite. Il metallo dei tubi fece reazione con l’acqua, che produsse idrogeno, il quale, a sua volta, esplose. Quest'ultima esplosione è stata, per anni, sottostimata nei rapporti sovietici. Un po' come la parziale fusione del nocciolo del reattore 1 di Chernobyl, già avvenuta nel 1982, ma resa pubblica solo nel 1985. “Era solo l’Effetto Cherenkov”, quella strana luminescenza che si vedeva fuoriuscire dal tetto del reattore, dovuto alla ionizzazione dell’aria da parte di particelle sprigionate dalla centrale nucleare. Così, almeno, venne detto ai primi vigili del fuoco accorsi a notte fonda, al fine di domare l’incendio del reattore numero 4. Purtroppo, furono quelle le prime vittime sacrificali: eroi da ricordare, che salvarono non solo gli abitanti di PryPjat, ma l’Europa intera e, forse, addirittura il mondo, perché riuscirono a bloccare, con sforzi sovrumani, la fuoriuscita della nube tossica che, per interi mesi di quel 1986, circolò nell’atmosfera e sopra le nostre 'teste'. Quei vigili del fuoco furono sottoposti a radiazioni ionizzanti, che normalmente causano disturbi già tra 0,2 e 0,5 Sievert, con un calo temporaneo dei globuli bianchi nel sangue e leggere cefalee. Ma quella notte, i primi soccorritori furono esposti a dosi che andavano dai 4 ai 50 Sievert, comportando un tasso di mortalità pari al 96-98%. Essi furono i primi “liquidatori di Chernobyl”: circa 600 mila furono, in totale, le persone che liquidarono le conseguenze del reattore 4 e della Centrale nucleare 'Lenin', denominati ‘Bio-Robot’ poiché neppure i robot resistevano a livelli così elevati di radiazioni. Non tutti morirono in pochi giorni, ma lentamente e negli anni, vittime di un destino annunciato. Programmi di cure, vacanze familiari, compensi altissimi e abitazioni gratuite furono predisposte nei loro confronti, ma oggi resta soprattutto il ricordo del loro sacrificio. E’ importante ricordare il significato simbolico della “medaglia all’onore dei liquidatori di Chernobyl”: il testo in cirillico nella parte superiore significa: “Partecipante alla campagna di pulizia”. E la sigla in basso, “ЧАЭС”, è la sigla che codifica l’impianto nucleare di Chernobyl; il simbolo raffigurato è una goccia di sangue che viene attraversata dai raggi alfa, beta e gamma, a rimarcare gli impatti sulla salute umana dell’incidente di Chernobyl. Ufficialmente, sono 66 le morti accertate; quelle presunte, invece, secondo l’Aiea (l’agenzia dell’Onu per i problemi legati al nucleare per uso civile, ndr) circa 4 mila; secondo i Verdi europei tra i 30 e i 60 mila; per Greenpeace, addirittura 6 milioni di persone. Una stima raggelante venne pubblicata dopo 20 anni dall’incidente nella centrale nucleare ucraina. Si tratta del rapporto: 'The Legacy of Chernobyl: Health, Environmental and Socioeconomic Impacts'. Questo rapporto è stato ricostruito e descritto in una serie televisiva del 2019 (Chernobyl: la serie tv del 2020 più amata dal pubblico, ndr). Il sito della Centrale 'Lenin' si trova a 18 chilometri dalla città di Chernobyl e a 3 chilometri da Pripyat, una delle città atomiche progettate dall’Unione Sovietica per accogliere i dipendenti e le loro famiglie alla centrale nucleare, nell’area settentrionale di un’Ucraina ancora parte dell’Urss. La zona di alienazione, attualmente, è una porzione di territorio ucraino compreso, approssimativamente, nel raggio di 30 chilometri dal sito dell'ex-centrale nucleare di Chernobyl (un’estensione pari a tutto lo Stato del Lussemburgo, ndr), istituita nel maggio del 1986 per evacuare la popolazione locale e prevenire l'ingresso nel territorio. L'area attorno alla centrale venne divisa in quattro anelli concentrici. Il più piccolo delimita il territorio più esposto alle radiazioni, entro 30 chilometri dalla centrale, la cosiddetta: ‘Quarta Zona’. Contaminato in modo disomogeneo, il territorio è ora soggetto di molteplici visite turistiche, cacciatori di reliquie e rottami. Un esempio è il sotterraneo, di cui è attualmente vietato l’ingresso, dell’Ospedale di Prypiat, che contiene oggetti e indumenti indossati dai famosi “liquidatori di Chernobyl” proprio lì dove ebbero le prime cure, dopo gli altissimi livelli di esposizione alle radiazioni.
QUI SOPRA: LA CENTRALE DI CONTROLLO DEL REATTORE 4
AL CENTRO, DAL BASSO VERSO L'ALTO: LA MEDAGLIA D'ONORE E IL NUOVO 'SARCOFAGO' DI PROTEZIONE
IN APERTURA: UNA SCENA DEL TELEFILM DEL 2019 SUL DISASTRO, MANDATO IN ONDA IN ITALIA NEL 2020